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 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

SPATUZZA: HO UCCISO QUARANTA PERSONE, CHIEDO PERDONO

MILANO.
«Ho partecipato a cose mostruose e abbiamo venduto l’anima a Dio», sussurra. Gaspare Spatuzza, l’ex sicario prediletto del vertice di Cosa nostra, quasi si commuove quando parla davanti ai giudici che stanno processando il presunto basista della strage di via Palestro del 27 luglio 1993, Marcello Tutino. «Ora quando vado a letto mi sento onesto e in pace perché tutto quello che posso fare per la legge lo sto facendo, poi mi metto nelle mani di Dio». Spatuzza racconta di avere commesso «una quarantina di omicidi». Ancora una volta, chiede scusa ai familiari delle sue vittime. E ricorda i «due piccoli angeli», le sorelline Nadia e Caterina Nencioni, morte nell’attentato di via dei Georgofili, a Firenze. «Ma il nostro obiettivo non erano le vite umane, solo i monumenti». Per un attimo, Spatuzza prova a giustificarsi. E chiama le stragi del 1993 «incidenti di percorso».
Poi, torna a parlare della sua vita a Palermo, nella periferia di Brancaccio, che era la zona franca di Cosa nostra. «Abbiamo fatto cose orribili — ripete — accusare Marcello Tutino è doloroso per me, ma è un onore essere qui a testimoniare, anche per giustizia nei confronti dei familiari delle vittime». Tutino, anche lui era uno dei fidatissimi dei fratelli terribili di Brancaccio, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, i capimafia che hanno eseguito prima le stragi Falcone e Borsellino, nel 1992, e poi le stragi di Firenze, Roma, e Milano, nel 1993. «Con i fratelli Vittorio e Marcello Tutino siamo cresciuti insieme — così prosegue il racconto di Spatuzza davanti al collegio della corte d’assise presieduto da Guido Piffer — c’era una bellissima amicizia fra di noi, di più, una fratellanza. Cristianamente li considero ancora miei fratelli, con cui ho condiviso delle scelte sbagliate, anche se ora non condivido più i loro ideali, i loro sentimenti». Secondo la ricostruzione del pentito, Tutino sarebbe stato scelto come basista «perché conosceva Milano», sarebbe stato lui a portare il commando in piazza Duomo, a prendere l’esplosivo sistemato in un altro mezzo. «Così, Marcello ha avuto la possibilità di riabilitarsi di fronte a Cosa nostra, dopo che aveva fatto sparire un carico di sigarette a Palermo, intascandosi i soldi». I ricordi di Spatuzza sono nitidi: «Marcello era venuto a prendermi alla stazione centrale. Si era occupato lui di rubare in zona Bovisa la Fiat Uno che poi fu imbottita di esplosivo». A guidare l’autobomba fino in via Palestro fu invece il fratello di Marcello, Vittorio: «Doveva accendere la miccia, ma aveva paura di fallire perché era la prima volta che lo faceva», racconta Spatuzza. «Così abbiamo lasciato una miccia più lunga per dargli il tempo di allontanarsi».
La lunga dichiarazione di Spatuzza non piace a Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime di via dei Georgofili: «Il pentito è spesso ondivago. Oggi ha detto che per la strage di Firenze non erano previste vittime. Un’altra volta, aveva riferito delle parole di Giuseppe Graviano mentre lui piangeva per la povera Caterina: “La sai fare politica? — avrebbe esclamato il capomafia — Questi morti ci servono”».
la Repubblica 1/10/2014