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 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

MORTO IL GIUDICE SICA, UNA VITA CONTRO TERRORISMO E MAFIA


IL PERSONAGGIO
ROMA Era il giudice che aveva indagato sui misteri d’Italia. Dalla P2, all’omicidio di Mino Pecorelli, dal rogo di Primavalle all’attentato al Papa. Domenico Sica, ex magistrato e alto commissario Antimafia, si è spento martedì mattina a Roma. Aveva 82 anni. Era il 1988 quando, dopo una lunga carriera da giudice istruttore nella capitale, venne preferito a Giovanni Falcone nell’incarico di alto commissario. Un durissimo colpo per Falcone, candidato e favorito nella nomina. Un altro segnale di isolamento. Pochi anni dopo, Sica sarebbe finito al centro delle polemiche, nella peggiore stagione che abbia avvelenato la procura di Palermo. Il ”caso” riguardava le impronte ”rubate” al collega Alberto Di Pisa, sospettato di essere il ”corvo” che inviava lettere anonime su Giovanni Falcone, i suoi colleghi, il capo della polizia e gli investigatori. A dare la notizia della morte è stata la figlia Francesca.
LE INCHIESTE
Nel 1964, dopo una breve esperienza all’Avvocatura dello Stato, Domenico Sica ebbe il suo primo incarico alla procura di Roma. La prima inchiesta degna di nota era quella sul «Number One», locale della dolce vita romana finito al centro di uno scandalo per droga. Nel ’73 il rogo di Primavalle, attentato di matrice politica nel quale persero la vita Virgilio e Stefano Mattei di 22 e 8 anni, due figli del segretario di una sezione Msi nel quartiere di Roma: Sica individuò i responsabili negli ambienti extraparlamentari della sinistra e contigui al terrorismo e subì una dura campagna diffamatoria. Poi, le Br con e le indagini sugli omicidi dei suoi amici, Girolamo Minervini, ucciso il giorno successivo all’insediamento come direttore generale degli ex Istituti di prevenzione e pena, e il colonnello dei carabinieri Antonio Varisco. Tra il ’79 e l’81 coordina i fascicoli sull’assassinio di Mino Pecorelli, direttore dell’agenzia Op sempre informatissima su misteri e intrighi d’Italia, e sulla P2, poi l’attentato al Papa. E’ lui ad archiviare le indagini arrivate da Milano sulle intercettazioni telefoniche, tutt’altro che ortodosse, sulle linee di casa del commissario Luigi Calabresi, da poco ucciso, del procuratore capo Adolfo Beria D’Argentine, del procuratore generale Luigi Bianchi D’Espinosa e della testimone oculare dell’omicidio Calabresi.
IL CORVO
È dopo l’attentato a Falcone all’Addaura che una serie di lettere anonime, alcune composte su carta intestata della Criminalpol, aprono una nuova stagione di veleni. Piovono lettere anonime contro Giovanni Falcone, Giuseppe Ayala, l’allora procuratore Pietro Giammanco, il Capo della polizia, Vincenzo Parisi, e importanti investigatori come Gianni De Gennaro e Antonio Manganelli. Falcone veniva accusato soprattutto di avere "pilotato" il ritorno del pentito Totuccio Contorno per vendicarsi con i corleonesi, storici nemici della famiglia del boss. Furono gli informatori di polizia ad attribuire le lettere ad un "corvo", ossia un magistrato, anche sulla base dei troppi dettagli contenuti in quelle missive. I sospetti caddero su Alberto Di Pisa, e proprio Sica, con uno stratagemma aveva consentito il rilevamento delle impronte del collega. Lo aveva invitato a bere un’acqua tonica per consentire poi agli 007 il confronto con le tracce presenti sui documenti anonimi contro la procura. In primo grado il magistrato venne condannato per diffamazione. Tra i veleni, le polemiche e i misteri rimasti insoluti le impronte sparirono. Poi, i rilievi dattiloscopici, però, risultarono inutilizzabili processualmente e Di Pisa venne assolto.