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 2014  ottobre 01 Mercoledì calendario

LE CAMERE TAGLIANO GLI STIPENDI AI DIPENDENTI - TOMMASO LABATE, CORRIERE DELLA SERA 1/10/2014

«Una decisione senza precedenti», scrive Laura Boldrini sulla sua pagina Facebook. Perché, spiega la presidente della Camera, «la buona politica si fa anche così». Ieri mattina, a Montecitorio, l’ufficio di presidenza della Camera dei deputati ha dato il via libera alla riforma del sistema retributivo del personale.
Il piano, che introduce il tetto massimo a 240 mila euro e sottotetti retributivi per tutte le categorie, è stato approvato con 13 sì (tra cui il grosso dei componenti del Pd, di Forza Italia e di Sel), 5 astenuti (tre del Movimento Cinquestelle, uno della Lega Nord e uno di Scelta Civica) e due non partecipanti al voto (uno di Forza Italia, uno di Fratelli d’Italia).
La riforma, considerato l’analogo provvedimento preso da Palazzo Madama, porterà a un risparmio di oltre 96,9 milioni di euro(60,1 per la Camera e 36,7 per il Senato), che si otterrà dal 2015, anno in cui entreranno in vigore i tagli, al 2018, anno in cui le misure andranno a regime. Esempi? Chi oggi guadagna 300 mila euro(come alcuni consiglieri parlamentari) ne guadagnerà 12 mila in meno nel 2015, 18 mila in meno nel 2016 fino a 33 mila in meno nel 2018. Chi oggi prende 179.400 euro (documentaristi) guadagnerà 2.680 euro in meno l’anno prossimo fino a un taglio di 7.370 euro nel 2018.
«Come primo tassello», spiega Boldrini, «è previsto un taglio consistente degli stipendi, con l’introduzione di tetti e sottotetti, per arrivare gradualmente al ruolo unico dei dipendenti del Parlamento». E questo «lo abbiamo fatto», annota la terza carica dello Stato, «per rafforzare l’istituzione, anche mettendo le retribuzioni di Camera e Senato in sintonia col resto del Paese, alla luce della grave crisi economica e sociale che stiamo attraversando».
Questa tesi, però, è contestata da un fronte inedito, composto dal Movimento Cinquestelle e da Scelta Civica. «I tagli sono troppo esigui. Inoltre, non è più condivisibile un sostanziale automatico adeguamento salariale del 2,5% ogni due anni», denuncia la deputata montiana Adriana Galgano, che difende così la scelta del «collega Stefano Dambruoso» di astenersi nel voto in ufficio di presidenza. Dello stesso avviso, anche se i toni sono decisamente più duri, è il Movimento Cinquestelle. «Il presunto tetto agli stipendi dei dipendenti di Camera e Senato è un’illusione ottica. I 240 mila euro tanto sbandierati dai partiti si riferiscono solo a una delle tante voci che compongono la busta paga dei burocrati», denunciano i parlamentari del M5S. Che aggiungono: «Con questa pseudo-riforma, i funzionari del Parlamento arriveranno a percepire anche 400 mila euro. I partiti abbiano l’onestà di ammettere che hanno salvato i privilegi delle caste».
I riferimenti di chi protesta, derubricando la «decisione senza precedenti» (Boldrini) a «pseudo-riforma» (Movimento Cinquestelle) sono soprattutto due. Il primo è il conteggio degli oneri previdenziali, che al contrario di quanto accade per qualsiasi altro dipendente pubblico o privato (parlamentari compresi, tra l’altro), nel caso dei dipendenti di Camera e Senato non è conteggiato nel «lordo». Il secondo è l’inserimento in busta paga — anch’esso scorporato dal lordo — di «un incentivo di produttività» del 10 per cento dello stipendio stesso.
Su quest’ultimo punto, ieri mattina, in ufficio di presidenza s’era materializzato un articolo (il comma 5 poi corretto). Nella prima versione si leggeva che «l’incentivo è pari al 10 per cento delle competenze lorde annue dell’anno precedente, al netto dei contributi previdenziali, escluse le erogazioni non aventi carattere fisso e compreso l’incentivo previsto dal presente articolo». Come a dire: guadagni 200 mila euro e l’anno prossimo ti tocca il bonus di 20 mila? L’anno dopo ancora il bonus si calcola su 220 mila e non sui 200 mila originari. La richiesta di chiarimenti, arrivata da Manfred Schullian del Gruppo Misto e dal leghista Davide Caparini, ha portato alla riscrittura del comma. Il bonus sarà calcolato solo sullo stipendio originario.
Tommaso Labate, Corriere della Sera 1/10/2014

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CAMERE, TAGLI CON IL TRUCCO - DIODATO PIRONE, IL MESSAGGERO 1/10/2014 -
A partire dal primo gennaio 2015 un migliaio di superstipendi dei dipendenti della Camera e del Senato - che in tutto sono 2.200 circa - inizieranno a diminuire. Se ne parlava da anni e finalmente ieri gli uffici di presidenza di Camera e Senato, rappresentati in particolare dai comitati presieduti da Marina Sereni (Montecitorio) e Valeria Fedeli (Palazzo Madama), hanno dato il via libera all’operazione.
Ma, come sempre in Italia quando si getta un sasso nelle paludi, è partito anche il diluvio delle polemiche. Se infatti il taglio degli stipendi di questa nicchia superprotetta della burocrazia è un fatto epocale, è altrettanto vero che i tagli saranno graduali e saranno completi solo nel 2018. Ma soprattutto il tetto dei 240 mila euro annui che dal primo aprile del 2014 è in vigore per tutti i dirigenti pubblici non verrà rispettato proprio dai massimi funzionari del Parlamento, ovvero dell’Istituzione che ha votato la legge che ha imposto il tetto ai loro colleghi.
LE CIFRE
Pochi numeri aiutano a capire. Alla Camera (vale la pena ripeterlo: solo alla Camera) ci sono circa 90 persone - quasi tutti consiglieri parlamentari - che guadagnano più del tetto di 240 mila euro. Nei due rami del Parlamento su poco più di 2.000 dipendenti si contano ben 600 stipendi oltre la soglia dei 200.000 euro. Probabilmente si tratta della concentrazione di superstipendi pubblici più imponente d’Europa. La riduzione di questa distorsione evidente (il Capo dello Stato guadagna 240.000 euro) accompagnata dalla sforbiciata anche agli stipendi dei centralinisti, degli archivisti e dei quadri (vedi tabella) comporterà risparmi notevoli: 97 milioni in quattro anni.
E tuttavia le regole varate ieri posticipano al primo gennaio 2018 il raggiungimento del tetto di 240.000 euro per chi oggi lo supera e, sopratutto, escludono dal tetto le indennità (ben 7.200 euro annui per i consiglieri parlamentari) e i contributi sociali versati dal dipendente. In parole povere, i 90 alti dirigenti della Camera che oggi superano i 240 mila euro subiranno tagli pesanti ma continueranno a guadagnare più di 240 mila euro anche dopo il 2018. Quindi continueranno a guadagnare più del Capo dello Stato, del Capo della Polizia o del Direttore delle Agenzie delle Entrate. In particolare per il segretario generale della Camera, che oggi viaggia sui 480.000 euro annui, si prevede una riduzione (indennità compresa) a circa 360.000 euro. Quanto alla gradualità dei tagli ecco alcuni esempi: un consigliere parlamentare che oggi sta a quota 318.000 euro (con 30 anni di servizio) l’anno prossimo scenderà a 301.000 + 7.200 di indennità. E un ragioniere che oggi - sempre dopo 30 anni - guadagna 212.000 euro scenderà a quota 202.000.
Chi vede il bicchiere mezzo pieno, tuttavia, ha le sue ragioni. Marina Sereni, che è vicepresidente della Camera e che in questi mesi si è battuta costantemente per portare al traguardo i tagli fronteggiando una incredibile pressione quotidiana da parte di molti dipendenti di Montecitorio, ieri lo ha detto esplicitamente in una conferenza stampa che ha tenuto con Valeria Fedeli. «Tutto è perfettibile - ha detto - Ma le cifre parlano da sole: si tratta di quasi 100 milioni di risparmi e per la prima volta interveniamo in un settore delicatissimo senza intenti punitivi perché il Parlamento deve continuare a funzionare».
IL FRENO
Libera traduzione: se avessimo affondato il bisturi ancora di più molti alti papaveri delle Camere se ne sarebbero andati immediatamente (perché la loro pensione è legata allo stipendio) con il risultato di bloccare le riforme oppure con quello ancora peggiore di far crollare la qualità delle leggi la cui scrittura - com’è noto - spesso viene ”perfezionata” dai funzionari.
Di diverso parere uno dei questori della Camera, Stefano D’Ambruoso, che ieri si è astenuto nel comitato di presidenza. «In Francia uno solo degli 800 dipendenti del Parlamento supera i 200.000 euro di stipendio - ha spiegato D’Ambruoso - Dunque l’intervento sui dipendenti parlamentari non è commisurato alle gravi misure prese dal governo verso gli altri italiani che non lavorano in Parlamento».
Contrari ai tagli anche i 21 sindacati dei dipendenti delle Camere. Si annunciano ricorsi a valanga. C’è chi parla di incostituzionalità. Chi a mezza bocca minaccia azioni clamorose a destra e a manca. Si vedrà. Ma una cosa è certa: da ieri, bene o male, i duemila dipendenti delle Camere sono finalmente scesi da Marte e sono più vicini alla realtà. Che si chiama Italia. Benvenuti.
Diodato Pirone

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TAGLI A MONTECITORIO, CINQUECENTO IN TRINCEA PER I SUPER STIPENDI - TOMMASO CIRIACO, LA REPUBBLICA 1/10/2014
Una rivolta senza precedenti. I dipendenti delle Camere respingono sdegnati la ghigliottina agli stipendi e si preparano a dare battaglia contro il tetto ai salari. Troppo punitivo, sostengono, il “massimo” di 240 mila euro, troppo aggressivi gli altri “sottotetti”. Il più basso dei quali — è utile ricordare — è fissato a 99 mila euro. E così, con un gesto clamoroso 465 lavoratori (su un totale di 1.400) firmano una lettera indirizzata alla Presidenza di Montecitorio, agitando «contenziosi legali» e denunciando atteggiamenti «antisindacali » messi in atto con «assoluta noncuranza dei diritti dei lavoratori». Le conclusioni, poi, promettono fuoco e fiamme: «A nessuno — affermano — può essere consentito posporre gli interessi della nazione a non meglio precisate istanze individuali o di parte politica. A questo gioco al massacro io non ci sto!».
Capannelli, summit improvvisati e un’assemblea infuocata fanno da cornice alla protesta dei dipendenti, letteralmente sul piede di guerra. Oltre ai dubbi di natura costituzionale, promettono mosse legali che «inaspriranno inevitabilmente i rapporti con la parte datoriale ». E siccome ormai è lotta senza quartiere, i firmatari definiscono «grave» la condotta del Comitato per gli Affari del Personale e ironizzano sul «solerte supporto tecnico dei vertici amministrativi ». E questo, rilevano, nonostante i dipendenti abbiano già «accettato tagli agli stipendi» e proposto «seri e proficui provvedimenti di risparmio ». Così, invece, a loro avviso sarà inevitabile un «decadimento qualitativo dell’istituzione».
Nessun fulmine a ciel sereno, in realtà, perché la tagliola dell’ufficio di Presidenza era annunciata da mesi. L’intervento è significativo, ma gli standard retributivi superano comunque il tetto fissato per il pubblico impiego. Il tetto massimo è infatti di 240 mila euro, al netto però delle indennità di funzione e degli oneri previdenziali. Come gli altri sottotetti: i consiglieri passano da 358 mila a 240 mila euro, i documentaristi da 238 a 166 mila, i segretari da 156 a 115 mila, i collaboratori tecnici da 152 a 106 mila e, infine, gli operatori e gli assistenti (cioè i commessi) da 136 a 99 mila euro. Per chi già supera la soglia, il ridimensionamento entrerà in vigore entro quattro anni, gradualmente. E i risparmi? Dal 2015 al 2018 le Camere calcolano un taglio complessivo di quasi 97 milioni di euro, undici solo nel primo anno. Esultano, naturalmente, le Presidenze. In particolare Laura Boldrini: «È una decisione senza precedenti», sostiene. Eppure non mancano resistenze, anche tra le forze politiche: il tetto di 240 mila euro è «falso», giurano i cinquestelle, mentre il questore di Scelta civica Stefano Dambruoso, che non ha votato il testo, sostiene che i tagli non soddisfano la «richiesta forte degli elettori che vogliono l’eliminazione degli sperperi».
Il vero regista dell’operazione è però Marina Sereni, vicepresidente di Montecitorio. Non è stupita dalla veemente reazione, né dalla missiva ricevuta: «Indipendentemente da chi ha firmato, penso che nei prossimi mesi sarà possibile dialogare su alcuni punti. Certo, la decisione è presa». Un percorso «lungo e faticoso», sospira, escludendo però che i dipendenti possano adire le vie legali ordinarie: «C’è un protocollo delle relazioni sindacali, per noi è la legge perché siamo in regime di autodichia». I lavoratori, però, sperano che la Consulta bocci il tetto agli stipendi della pubblica amministrazione. Così, assicurano, si incepperà anche la ghigliottina in Parlamento.

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I TAGLI AL PARLAMENTO? PURE IL QUESTORE DICE CHE SONO FINTI - GIANLUCA ROSSELLI, IL FATTO QUOTIDIANO 1/10/2014
All’annuncio nel luglio scorso i dipendenti della Camera avevano protestato con forza, tanto da suscitare l’ira di Laura Boldrini. Ieri il famoso taglio degli stipendi, con l’adeguamento al tetto dei 240 mila euro come per tutti i dipendenti pubblici, è finalmente arrivato. Il vento della spending review soffia anche sul Palazzo. Ma per alcuni si tratta di una bufala. Soldi che escono dalla porta per rientrare dalla finestra. Il nuovo tetto delle retribuzioni di Montecitorio sarà di 240 mila euro per i consiglieri; 166 mila per documentaristi, ragionieri e tecnici; 115 mila per i segretari; 106 mila per collaboratori tecnici; 99 mila per collaboratori e assistenti. Un’operazione che, secondo la Boldrini, porterà a un risparmio in quattro anni di 60,15 milioni a Montecitorio e 36,76 a Palazzo Madama per un totale di 97 milioni di euro. “Abbiamo preso una decisione senza precedenti”, esulta il presidente della Camera. Le retribuzioni del Palazzo, infatti, sono altissime. Basti pensare che un semplice barbiere a Montecitorio può guadagnare 120 mila euro, mentre il segretario generale arriva a 480 mila.
Ma anche in questa riforma c’è l’inghippo. Il tetto dei 240 mila, infatti, non tiene conto degli oneri previdenziali e delle indennità di funzione. Netto invece che lordo, quindi. Se invece vengono compresi, ecco che la cifra sale a 360 mila. I tagli inoltre saranno scaglionati su quattro anni, quindi la riforma avrà piena applicazione nel 2018. Non cambia, infine, l’aumento del 2,5 per cento annuo automatico, che non ha pari in nessun’altra categoria professionale. “I tagli sono modesti. La situazione emergenziale del Paese avrebbe richiesto più coraggio. Peccato, perché era una buona occasione per accorciare la distanza siderale tra il Paese reale e le istituzioni”, afferma Stefano Dambruoso, deputato questore di Scelta civica, che si è astenuto. Ma Dambruoso ha fatto di più. Calcolatrice alla mano, ha dimostrato come un consigliere parlamentare con questi tagli nel 2015 avrà una retribuzione di 360 mila euro. Anche i grillini protestano. “È una riforma truffaldina, il taglio è un falso, un’illusione ottica”. L’azzurro Maurizio Gasparri, invece, è soddisfatto, ma chiede che la sforbiciata tocchi anche al Quirinale.

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ALLA CAMERA I TAGLI SEMBRANO AUMENTI – MARIO GIORDANO, LIBERO 1/10/2014
Tu chiamale, se vuoi, riduzioni. Dopo settimane di discussione, dopo manifestazioni di piazza, dopo incontri con 21 sindacati e svariati proclami dei presidenti, dopo tonnellate di carta scritta per denunciare lo scandalo clamoroso e decine di inchieste tv, alla fine, con una prova di coraggio senza pari Camera e Senato hanno trovato l’intesa e hanno annunciato il piano di tagli agli stipendi del personale. D’ora in avanti un barbiere guadagnerà «solo» 99mila euro l’anno (7.600 euro al mese), un segretario 115mila (8.800 al mese), un documentarista 166mila (12.700 al mese), uno stenografo 172mila (13.200 al mese) e un consigliere parlamentare 240mila (18.400 euro al mese), cioè quanto il presidente della Repubblica. Inutile dire che di fronte alla richiesta di così immani sacrifici dall’interno del Palazzo si sono levati pianti, strepiti, grida, annunci di scioperi, diffide, avvertimenti e ricorsi in tribunale. Bisogna capirli, poveretti: al giorno d’oggi come si fa a vivere con soli 18.400 euro al mese? FARE PIANO, PREGO Va detto che per riuscire a far accettare questo piano di lacrime, stenografi e sangue, sono state adottate le dovuto cautele. È ovvio, no? Mica si può tagliare lo stipendio di un documentarista a 12.700 euro al mese così di botto. Mica si può imporre al barbiere di tirar la cinghia fino a 7.600 euro al mese senza dargli prima la possibilità di adattarsi, poco a poco. Per accettare la dura realtà ci vuole tempo. Ci vuole un apposito percorso. Ci vuole gradualità. La riforma, infatti, entrerà in vigore il 1 gennaio 2015, ma la riduzione completa degli stipendi scatterà solo dal 2018. Con calma, si capisce. L’altro giorno c’è parso di sentire il presidente del Senato Grasso che invitava il governo a fare le riforme in fretta. Ecco, appunto, il governo. A Palazzo Madama, invece, di fretta non ce n’è: si può aspettare anche il 2018. Il commesso va preparato alla sofferenza dei 99mila euro l’anno. Poi, oltre alla gradualità, sono state adottate anche altre cautele. Sempre in virtù di questo sacrosanto diritto delle Camere di stabilirsi da sole le proprie regole e guai a chi interferisce, sono state decise infatti alcune eccezioni rispetto alla legge nazionale. A differenza che in tutti gli altri settori del pubblico impiego, alla Camera e al Senato ci sarà così qualcuno che potrà guadagnare anche più di 240mila euro l’anno. Si tratta, in particolare, del segretario generale che, sommando indennità e contributi esclusi dal taglio, potrà arrivare a 360mila euro l’anno, che sono 120mila in meno di quello che guadagna ora, ma pur sempre 120mila euro in più di quello che guadagna il presidente della Repubblica. Roba anche qui, da cominciare a piangere miseria e non finire mai più. Infatti i dipendenti, come dicevamo, piangono. E sono sul piede di guerra. Hanno già mosso gli avvocati, spedito raccomandate, organizzato raccolte di firme. Minacciano di rivolgersi a tutti i tribunali, e forse anche alla Corte internazionale, se ci fosse non esiterebbero ad appellarsi pure al Giudice Supremo dei Commessi Parlamentari, organo monocratico per l’applicazione del Codice dei Privilegiati. Dicono che si trovano davanti a «evidenti profili di incostituzionalità» e «gravissime condotte illegittime». E come non dar loro ragione? Trovarsi, da un giorno all’altro, a mettere insieme il pranzo con la cena potendo contare su uno stipendio da stenografo di appena 13.200 euro al mese, è un trauma da cui è difficile riprendersi. Anzi, vi prego, aiutatemi: organizziamo subito una colletta di sostegno, altrimenti potremmo trovarci presto di fronte a gesti sconsiderati... Del resto i dipendenti di Camera e Senato non erano quelli che dicevano di sentirsi la «Porsche» del Paese? Ma sì, dissero proprio così: erano in una delle loro popolari manifestazioni per la difesa dello stipendio, e lo proclamarono a voce alta: «Che c’è di strano se siamo pagati più degli altri? Anche la Porsche costa di più perché è di lusso…». Ecco: il commesso di Montecitorio è il lusso che dobbiamo permetterci al modico prezzo di 99mila euro l’anno. E pazienza se quel lusso voi lo pagate solo, mentre lo usano altri: mica si può avere tutto dalla vita. Accontentatevi e non brontolate, se no vi dicono che siete demagoghi e populisti. NUMERI DA VERIFICARE Per dovere di cronaca, va detto che mentre i dipendenti piangono e gridano, esultano invece la Boldrini e Grasso. I due presidenti sostengono che con questa manovra si risparmieranno circa 96 milioni di euro, 60 a Montecitorio e 36 a Palazzo Madama. Sarà vero? Speriamo. Ma non possiamo fare a meno di ricordare che mesi fa era stato annunciato che la Camera nel 2013 avrebbe fatto risparmiare 50 milioni allo Stato. A conti fatti (luglio 2014) l’economista bocconiano Roberto Perotti, diventato consigliere economico di Palazzo Chigi, ha dimostrato che i soldi risparmiati erano solo 4, cioè meno di un decimo di quello annunciato. E che nel frattempo la spesa per i deputati (indennità più pensioni) era aumentata di 10 milioni di euro. Ora vedremo se questo intervento sarà più felice. Peccato, certo, dover aspettare fino al 2018 per verificarlo. Nel frattempo, se qualcuno vede il barbiere della Camera, gli offra un piatto di minestra. E gli spieghi, con le dovute precauzioni per non impressionarlo, che uno stipendio da 7.800 euro al mese per la maggior parte degli italiani è roba da mettersi davvero a gridare e a piangere. Ma solo di gioia.