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 2014  settembre 30 Martedì calendario

Petrolio per Sette - I discendenti di John D. Rockefeller Sr, l’uomo che fece fortuna fondando nel 1870 il colosso petrolifero Standard Oil (da cui derivano le moderne compagnie Exxon Mobil, Amoco e Chevron), hanno deciso di darsi all’economia verde

Petrolio per Sette - I discendenti di John D. Rockefeller Sr, l’uomo che fece fortuna fondando nel 1870 il colosso petrolifero Standard Oil (da cui derivano le moderne compagnie Exxon Mobil, Amoco e Chevron), hanno deciso di darsi all’economia verde. Con la fondazione filantropica Rockefeller Brothers Fund (patrimonio di 860 milioni di dollari) hanno deciso di unirsi al movimento Global Divest-Invest. Cominceranno a vendere le azioni di aziende che fanno profitti con il carbone e con le sabbie bituminose, due delle fonti più intense di emissioni inquinanti. Poi disinvestiranno gradualmente da tutto il settore dei combustibili fossili comprese le compagnie petrolifere. Come si formarono i principali combustibili fossili (carbone, gas naturale e petrolio). Per centinaia di milioni di anni la materia animale, vegetale e minerale si depositò sul fondo degli antichi oceani. In alcuni posti della Terra si formarono strati di rocce porose molto ricche di contenuto organico. Con il tempo queste rocce furono sepolte sotto i fondali marini. Dal momento che l’interno della Terra è caldo, le rocce porose che sprofondarono furono riscaldate sì da permettere la trasformazione della materia organica in petrolio. Il peso della roccia sovrastante spinse fuori il petrolio, come acqua da una spugna. La roccia madre sprofondata particolarmente in basso diede origine al gas naturale. In alcune zone paludose, invece, la materia vegetale morta diede origine a pantani di torba, che con l’azione della pressione e del calore si trasformarono in carbone. Il petrolio convenzionale non è l’unico esistente. Una volta estratto tutto, se ne potrebbe ottenere altro, di tipo diverso, tirando fuori dai giacimenti i depositi, chiamati “petrolio pesante”. Ci sono poi i depositi di “sabbie petrolifere” e di “sabbie catramose”: si tratta di miniere in cui il petrolio viene estratto dalla roccia anziché essere pompato da un pozzo. Ci sono poi gli scisti petroliferi: roccia madre che non è sprofondata abbastanza nel suolo da dar origine alla trasformazione della materia organica. Nel Colorado, nel Wyoming e nello Utah vi è più petrolio da scisti di quanto ce ne sia di tipo convenzionale in tutto il pianeta. Tuttavia quello che si otterrebbe dagli scisti non è proprio petrolio: si tratta di kerogene, sostanza cerosa che può diventare petrolio solo se la roccia che la contiene è frantumata e riscaldata. L’esistenza del petrolio è nota dai tempi più antichi per via delle fuoriuscite naturali dalle fenditure della superficie terrestre. Gli antichi popoli del Medio Oriente e delle Americhe usavano il petrolio a scopo medicinale. Era per esempio opinione diffusa che funzionasse come lassativo. Era inoltre utilizzato per scopi militari: nel 480 a.C. i Persiani ricorsero a frecce incendiarie imbevute nel petrolio durante l’assedio ad Atene. Plutarco nella Vita di Alessandro Magno descrive il petrolio. Parlando di una delle campagne militari del condottiero: «Attraversò l’intera Babilonia che si arrese immediatamente alle sue armi. Lo colpì soprattutto la vista della famosa voragine, da cui sgorga ininterrottamente, come una sorgente, il fuoco, e del torrente di nafta che scorre non lontano dalla voragine, tanto abbondante da formare un lago. Questa nafta assomiglia sotto molti aspetti all’asfalto; senonché è così sensibile al fuoco, che prima ancora che la fiamma la tocchi, s’incendia al solo contatto dell’irradiazione della fiamma stessa, e sovente fa bruciare anche l’aria che le separa. Per dimostrare al re le proprietà e il potere del liquido i barbari cosparsero di uno strato sottile di nafta la strada che conduceva alla sua residenza; poi, stando all’estremità della strada, avvicinarono le loro torce alle gocce sparse sul terreno. Era ormai scesa la notte: le prime gocce presero immediatamente fuoco, poi in una frazione di tempo impercettibile e con la velocità del pensiero la fiamma arrivò all’imbocco opposto della strada, che si trasformò tutta in unico rogo». Plinio racconta che nel 68 a.C. vicino la città siriana di Samosata, c’era un lago di nafta (dall’arabo, “ciò che cola dalla terra”). Gli abitanti si difesero dalle legioni di Lucullo incendiando un fossato pieno di petrolio e gettandone secchiate infiammate sugli assedianti. Ancora Plinio racconta che a Babilonia quel liquido nero e appiccicoso era usato per pavimentare le strade. Baku, capitale dell’Azerbaijan, per gli Zoroastriani (adoratori del fuoco) la “città nera”. Un viaggiatore persiano del XIII secolo riferisce che «ardeva come una fiamma». Marco Polo ne conosceva la produzione di nafta, allora considerata un «portentoso medicamento per le dermatiti dei cammelli». Alla fine del Seicento, gli artigiani di Baku gettavano acqua nei pozzi di petrolio in modo che il liquido nero salisse a galla e potesse così essere facilmente raccolto con borse ottenute dalla pelle delle foche. Intorno al 1790, in Pennsylvania, i coloni della zona di Oil Creek ( “torrente d’olio”) scoprirono che una strana sostanza unta, puzzolente e scura, colava nei fiumi ed era usata dagli indiani irochesi della tribù Senecaper illuminare e scaldare le abitazioni e scacciare gli insetti. Presero a usarlo anche i pionieri, per esempio come lubrificante per i mozzi dei carri. Nel 1797 il generale William Wilson registrava nell’inventario di Fort Franklin, vicino a Oil Creek, l’esistenza di «n° 3 barili di “Seneca Oil” - 50 dollari». La prima quotazione del petrolio. Per i coloni il petrolio era anche una medicina: non raffinato, si vendeva in bottiglie. Poteva curare, a detta degli imbonitori, piaghe, calvizie, tosse, mal di testa, mal di denti eccetera. Samuel Kier, farmacista di Pittsburgh, aveva un magazzino pieno di bottigliette di petrolio che aveva cercato inutilmente di spacciare come tonico universale. Lo prendeva dai pozzi di salgemma che si trovavano sulle terre di suo padre. Decise di purificarlo distillandolo tramite alambicchi, per venderlo come olio per lampade (quello ricavato dalle balene era molto costoso). Lo battezzò “Pennsylvania Rock Oil” ed ebbe grande successo. Nel 1854 George H. Bissel, avvocato del New Hampshire, con un socio comprò un terreno e fondò la Pennsylvania Rock Oil Company of New York. Voleva produrre olio per lampade di ottima qualità. Fece analizzare il petrolio dal professor Benjamin Silliman Jr. dell’università di Yale: questi lo distillò in varie frazioni, poi scrisse: «Signori, vi sono fondati motivi per ritenere che la vostra società sia assolutamente in grado di trasformare il materiale grezzo di cui dispone, mediante procedimenti semplici e poco costosi, in prodotti di grande validità nel settore dell’illuminazione e della lubrificazione. Sono certo che la vostra società abbia grandi possibilità di fare affari». Edwin Drake, ex macchinista delle ferrovie, incaricato da George H. Bissel di capire come tirare fuori il petrolio dal terreno. Nel 1858, dopo un anno di vani tentativi con le trivelle per il salgemma, a Titusville (Pennsylvania), riuscì a pompare petrolio da un pozzo: la prima produzione giornaliera fu di circa 25 barili, poi calò a una decina e tale rimase per un anno circa. Tutti si misero a cercar petrolio. Per il petrolio valeva la “Regola della cattura” della caccia: il proprietario di una tenuta aveva diritto di uccidere gli animali selvatici che vi entravano. Allo stesso modo, i proprietari potevano trivellare la terra ed estrarre tutto il petrolio che volevano. Di un barile di petrolio della Pennsylvania, attraverso la raffinazione, il 60-65% diventava olio per lampade o kerosene, il 10% benzina (che si buttava via, non essendo ancora stato inventato il motore a scoppio), il 5-10% nafta (usata come solvente) e gli scarti come lubrificanti. Le classiche torri di legno che sostenevano le trivelle americane si chiamavano “derrick”. John Davidson Rockefeller arrivò nel business del petrolio nel 1862, a 23 anni. Aveva iniziato a lavorare a 12 anni allevando tacchini e reinvestendo i soldi nei prestiti a strozzo. A nemmeno 20 anni aveva già la sua agenzia di commercio di granaglie a Cleveland, dove viveva. Con un socio si trasferì in Pennsylvania e mise in piedi una raffineria. Comprando a buon mercato, raffinando e rivendendo gli furono sufficienti tre anni per mettere da parte 100.000 dollari. Nel 1866 con suo fratello William aprì la Standard Works, un’altra raffineria, a Cleveland. Nel 1868 erano già i maggiori raffinatori del mondo Motto di Rockefeller: «Invece di diventare schiavo del denaro farò diventare il denaro mio schiavo». Una superpetroliera può trasportare fino a un milione e mezzo di barili di petrolio greggio (un barile contiene 159 litri di liquido) e viaggiare a una velocità di 10 – 16 nodi, cioè 20-30 chilometri orari. Quando è in raffineria, il greggio passa attraverso una sequenza di torri di distillazione a temperature e pressioni diverse, in un processo che viene chiamato “topping”, o raffinazione primaria. In tal modo si separa in nafta, cherosene, gasolio, gas di petrolio (o GPL) e benzina, più altri residui pesanti. Questi ultimi sono trattati ulteriormente con il “cracking termico”: sottoposti ad alte temperature (tra i 400 e i 650 gradi centigradi), le loro molecole più pesanti si spezzano e si riaggregano in altre di dimensioni minori. La benzina che si ottiene con il cracking termico è migliore di quella proveniente dalla semplice distillazione. Da uno studio Assomineraria risulta che l’Italia è il paese europeo con i più importanti giacimenti petroliferi: ha potenzialmente un miliardo di barili, riserve di metano per 200 miliardi di metri cubi e potrebbe muovere investimenti per 5 miliardi di euro l’anno. Se i giacimenti non sfruttati venissero utilizzati, alle casse dello Stato andrebbero royalty per 2,6 miliardi in cinque anni e l’Italia non dovrebbe importare energia per 100 milioni. Nel 2017 gli Stati Uniti diventeranno il primo produttore mondiale di petrolio, superando l’Arabia Saudita e la Russia. Nel 2015 gli Usa si piazzeranno davanti a Mosca per il gas. Lo prevede l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie), secondo cui nel 2030 Washington sarà in grado di soddisfare completamente il proprio fabbisogno di carburante e di diventare addirittura un esportatore di greggio. Un barile di petrolio vale 158,98 litri. Le energie degli italiani: dal gas naturale il 29,7%; dal petrolio il 47,4%; dai combustibili solidi 1,5%; idroelettrica 18,7%; da fonti rinnovabili 2,7%. 654 piramidi di Keope: l’equivalente del peso del greggio estratto in un anno, ovvero 3.928.000.000 tonnellate. Quanto petrolio si brucia nel mondo: 31.025.00.000 barili (85 cm di altezza media), equivalenti a 26 milioni di chilometri, ovvero sessantotto volte la distanza Terra-Luna. Principali Paesi produttori di petrolio: Arabia Saudita (4.073 milioni di barili, pari al 13,2% del totale); Russia (3.752 milioni di barili, 12,8% del totale); Stati Uniti (2.861 milioni di barili, 8,8% del totale). Seguono Iran (1.577 milioni di barili), Cina (1.492), Canada (1.285) eccetera. Al quarantanovesimo posto della classifica dei Paesi produttori di petrolio c’è l’Italia con 40,2 milioni di barili. Classifica dei Paesi consumatori: Stati Uniti (6.875 milioni di barili, il 20,5% del consumo totale); Cina (3.562 milioni di barili, 11,4%); Giappone (1.612 milioni di barili, 5% del totale). L’Italia è sedicesima, con 542 milioni di barili (l’1,8% del totale).