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 2014  settembre 30 Martedì calendario

MASSIMO E PIER LUIGI I GIAPPONESI DI MATTEO

Il primato della prosa (dalemiana) sulla poesia (renziana). È una questione di età. Ieri è stato il compleanno della Cgil, 108 anni, e anche di Pier Luigi Bersani, un po’ di meno, 63. Ma il numero che Massimo D’Alema sbatte in faccia a Matteo Renzi è il 44. Sono quasi le sette di sera. D’Alema sta finendo il suo intervento, in tutto nove minuti scarsi, ed è la prima volta che si rivolge al premier, chiamandolo sarcasticamente per nome. Le sue ultime parole sono: “Non si racconta che sta lì da 44 anni, perché un po’ di persone che sanno che non è vero esistono, Matteo”. Il soggetto, ovviamente, è il fatidico articolo 18 anni. La mimica dalemiana è anomala, nervosa. Non è fermo, l’ex Generale Massimo. Il corpo oscilla tra destra e sinistra come se volesse andar via ma alla fine rimane. La rabbia e l’orgoglio di D’Alema sono monumentali, all’altezza del passaggio storico. Completa la frase finale così: “Ma tu devi anche pensare a quelli che le cose le sanno, non solo a quegli altri. Grazie”.
La faccia di Renzi è tra lo stupito e il divertito. Anche D’Alema ha camicia bianca, senza cravatta. Però ha la giacca blu. Quella del primo premier postcomunista è una lezione al giovane rottamatore arrivato da Firenze. Sempre con il sarcasmo sulle labbra: “Io sono un ammiratore dell’oratoria del segretario del nostro partito. Ma il fascino della sua oratoria non ha attinenza con la realtà e io credo che il dibattito politico debba avere un forte aggancio con la realtà”. Risultato: “Meno citazioni poetiche e più prosa”. Altro intercalare: “Scusate il ricorso alla prosa”. D’Alema smonta l’intera retorica renziana sul lavoro e sull’articolo 18: “Ci dicono che siamo prigionieri di un tabù che dura da 44 anni ma è una norma riformata due anni fa. Non è obbligatorio sapere i fatti ma sarebbe consigliabile studiarli”. Il cartellino verde da componente della direzione balla sul risvolto sinistro della giacca. In mano ha dei fogli bianchi. Dalla platea notano: “Com’è invecchiato”. D’Alema ha 65 anni e la chioma d’argento, non più sale e pepe. Lo sberleffo a Renzi è continuo: “Anche in Gran Bretagna, laddove sono passati la Thatcher e Blair, il giudice può ordinare il reintegro. Solo noi vogliamo porci fuori dal consorzio civile?”. Il crescendo finale è spettacolare e riesce a strappare un sorriso generale: “Stiglitz dice che il mercato del lavoro si riforma con la crescita non in recessione. Stiglitz forse è un vecchio rottame della sinistra ma ha vinto un premio Nobel, del quale i nostri giovani consiglieri non hanno ancora avuto la possibilità di essere insigniti”. Sintesi estrema: “Meno slogan, meno spot. Anche perché l’oratoria sinora ha avuto scarsissimi effetti e l’opinione pubblica più qualificata comincia a percepirlo”.
Il frontale di D’Alema ha l’effetto di una sveglia sui giochini delle minoranze dem che trattano sulle formule tipo astensione per non spaccarsi. I bersaniani, per esempio, si dividono tra dialoganti e no. Idem i dalemiani. Non a caso, pochi minuti dopo, lo stesso Bersani replica la durezza dell’ex amico “Massimo”. È la vecchia guardia della Ditta che si ricompone. Anche Bersani parla per dieci minuti. Pesantissimi. Sin dall’inizio: “Noi sull’orlo del baratro non ci andiamo per l’articolo 18 ma per il metodo Boffo, perché se uno dice la sua, deve poterlo fare senza perdere la dignità”. Il metodo Boffo, tradotto dal bersanese, è l’invettiva tipica renziana contro i dissidenti, marchiati con l’epiteto di “sabotatori o gufi”. Bersani impugna gli occhiali dalla montatura rossa e si allinea all’orgoglio dalemiano: “Vedo tanti neofita della Ditta, tanti neoconvertiti che vogliono insegnarmi come stare in un partito”. Poi il bersanese dalla cadenza emiliana: “Cerchiamo di raffreddarci la testa”. Oppure: “A nessuno qui trema il polso a cambiare le cose”. Per l’ex segretario, fucilato dai 101 franchi tiratori antiprodiani, la priorità non è l’articolo 18: “Con tutte le cose che ci sono da fare perché bisogna prenderla da quel lato? In Germania hanno l’articolo 18 e hanno guadagnato quattro punti di Pil”.
I duri e puri da cui riparte la minoranza dem, alla fine, sono cinque: Bersani, D’Alema, Cuperlo, Fassina, Civati. Votano tutti contro. I bersaniani dialoganti, guidati dal capogruppo Roberto Speranza, invece si astengono. Le divisioni sono figlie delle trattative durate per ore. La differenza è tra chi vuole fare l’opposizione e chi si mette a sinistra del leader, come i giovani turchi di Orfini e Orlando che votano a favore. Alle dieci e mezza della sera i numeri sono impietosi per la minoranza: 20 contrari e 11 astenuti. Contro votano anche D’Attorre e il sottosegretario Sesa Amici. Tra gli astenuti c’è la De Micheli. Ma i numeri erano scontati. Assemblea e direzione fotografano le primarie vincenti di Renzi. In Parlamento, però, come avverte Fassina, non è così. La battaglia cambia location.
Fabrizio d’Esposito, il Fatto Quotidiano 30/9/2014