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 2014  settembre 30 Martedì calendario

PETROLIO, MOSCA PERDE IL SUO ELDORADO

Si mangeranno le mani, alla Exxon Mobil, ma quando la patria chiama bisogna ubbidire. Hanno trovato un enorme giacimento di petrolio e di metano che però ha il difetto di trovarsi nel Mare Artico russo. Ci hanno messo anni di fatica e di investimenti e di risorse tecnologiche per trivellare in quella zona così ostica, ma adesso che è arrivato il momento di passare all’incasso, la Exxon deve andarsene, perché le sanzioni occidentali vietano (fra le altre cose) di collaborare con la Russia nel settore dell’energia. Washington spera che questa mossa riduca Mosca a più miti consigli in Ucraina, e allora via. Così almeno riferivano ieri fonti russe e internazionali, mentre il quartier generale della Exxon non commentava.
Sotto al mare nella zona trivellata sono stati trovati 750 milioni di barili di petrolio e 338 miliardi di metri cubi di gas. Ma al momento della scoperta la Exxon riferiva che si tratta solo di un risultato preliminare: per il petrolio e il metano potrebbe essere il primo assaggio di un equivalente dell’Arabia Saudita fra gli orsi polari. Il giacimento è stato battezzato in russo «Probeda» (Vittoria).
A questo punto, ad approfittare del lavoro e dei soldi profusi dalla Exxon sarà in esclusiva il suo partner russo Rosneft, con il quale era stata costituita una joint-venture per esplorare quella sezione di Artico che viene chiamata Mar di Kara. Washington ritiene che i russi non abbiano le tecnologie e i capitali per andare avanti da soli con il super-giacimento. Rosneft ribatte che non avrà problemi, e se proprio ne avrà bisogno, troverà come nuova socia, al posto della Exxon, qualche azienda di Paesi che si infischiano di imporre sanzioni alla Russia (dalla Turchia alla Cina il mondo ne è pieno, e questi soggetti si stanno dando un gran da fare per sostituire le imprese occidentali in Russia, incluse purtroppo quelle italiane).
Finora nel progetto la Exxon e la Rosneft hanno investito 700 milioni di dollari, destinati a tecnologie sofisticate per trivellare a temperature bassissime. I due gruppi progettavano di arrivare a 3 miliardi di investimenti, con un ritorno atteso in parecchie decine di miliardi. Igor Sechin, capo di Rosneft, stretto alleato del presidente russo Vladimir Putin e in quanto tale personalmente colpito da sanzioni occidentali, ha detto che la sua compagnia progetta di investire 400 miliardi nell’Artico nei prossimi 15 anni: «Prevediamo di aprire un nuovo eldorado petrolifero, con riserve degne dell’Arabia Saudita».
Da notare che oltre alla Exxon nell’esplorazione del Mar di Kara sono coinvolte altre aziende americane fra cui la Halliburton. Un nome che fa accendere una lampadina: è l’azienda texana specializzata in trivellazioni in cui aveva lavorato Dick Cheney, già vicepresidente all’epoca di George W. Bush. Altri esponenti dell’ultima amministrazione repubblicana ci erano passati, al punto che la Halliburton veniva considerata (a torto o a ragione) una specie di burattinaio della politica petrolifera di Bush e addirittura dell’invasione dell’Iraq. Ma adesso anche la Halliburton dovrà lasciare la Russia e il relativo business. Quanto alla Exxon Mobil pesa ancora di più: è un gigante che ha fuso due delle famose Sette sorelle del petrolio. Una volta si diceva (ripetiamo, a torto o a ragione) che imprese come queste dettavano la politica estera americana. Ma in data 30 settembre 2014 questo non risulta più vero.
Luigi Grassia, La Stampa 30/9/2014