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 2014  settembre 30 Martedì calendario

LA FED DI NEW YORK REGOLATORE «CATTURATO»

Il mondo della finanza americana è colpito da un nuovo scandalo. Al centro c’è la Federal Reserve di New York, ovvero l’istituzione che supervisiona le principali banche americane. Lo scandalo è scoppiato per le rivelazioni emerse in una causa legale per un licenziamento (esistono anche negli Stati Uniti). Carmen Segarra, un avvocato della supervisione, fa causa per essere stata mandata via dopo soli sette mesi. La New York Fed afferma di averla licenziata per cattiva performance. La Segarra invece sostiene di essere stata cacciata perché mal si adattava alla cultura della Fed, talmente permissiva nei confronti delle banche regolate da sfiorare la collusione.
Il caso non avrebbe fatto notizia se non per due importanti rivelazioni. La prima è che la Segarra era stata assunta proprio per rispondere a un’indagine interna sulla cultura prevalente nella New York Fed. Questa indagine, che doveva rimanere confidenziale, è invece finita sul web e potete trovarla qui (http://www.propublica.org/documents/item/1303305-2009-08-18-frbny-report-on-systemic-risk-and.html). Dovrebbe essere lettura obbligatoria per chiunque si occupi di supervisione, audit o compliance. Si dice chiaramente che la supervisione della Fed è inefficace a causa della cultura prevalente all’interno dell’organizzazione. «Molte persone hanno paura di sbagliare o di contraddire gli altri, specialmente i superiori». «Non vi è sufficiente comunicazione tra livelli gerarchici. Il principio del need to know (ovvero di condividere il minimo dell’informazione necessaria) è abusato». Come se non bastasse «i supervisori hanno una eccessiva deferenza verso le banche e di conseguenza sono meno aggressivi nell’individuare i problemi o nel seguirli in modo efficace».
Il rapporto della Fed parla anche negativamente della cultura del consenso prevalente tra i supervisori della Fed, soprattutto quando - come succederà poi nel caso della Segarra - la ricerca del consenso a tutti i costi porta alla «criminalizzazione» del dissenso. Il consenso tende a produrre group think, ovvero eccesso di conformismo su pozioni spesso sbagliate. Ritarda, se non elimina, la capacità di intervento. Tende a oscurare, invece che mettere in evidenza, i problemi.
Noi economisti definiamo questo atteggiamento come «cattura» dei regolatori da parte dei regolati. Invece che preoccuparsi dell’integrità del sistema finanziario (lo scopo per cui abbiamo regolamentazione), i supervisori si preoccupano di mantenere un buon rapporto con le banche che regolano, per favorire la loro carriera o semplicemente per quieto vivere. «Nel giro di tre settimana dall’assunzione, ho visto la cattura prendere piede», dichiara un dipendente della Fed citato nel rapporto. Anche per chi, come me, ha sempre creduto nel problema della cattura, queste dichiarazioni sono devastanti.
Ma ancora più devastante è la seconda parte delle rivelazioni. Subodorando come sarebbe andata a finire, la Segarra ha registrato molte delle conversazioni tra lei e i suoi superiori. Le 46 ore di registrazioni, distillate in un programma che raccomando caldamente a tutti (http://www.thisamericanlife.org/radio-archives/episode/536/the-secret-recordings-of-carmen-segarra), dipingono un’immagine terribile, ma purtroppo familiare. Nonostante i suoi superiori apprezzino le qualità della Segarra (che oltre a una laurea in legge a Cornell vanta un master in francese a Columbia, e parla cinque lingue), cominciano a rimproverarla per il suo tono e il suo atteggiamento.
«Non metto mai in dubbio la tua conoscenza e il tuo giudizio - afferma il suo superiore in una delle registrazioni - è come tu sei vista qui … Molte persone ti percepiscono come troppo tagliente, un po’ rompiscatole». Ma in un mondo di persone che si girano dall’altra parte per non vedere, come si fa a fare il proprio dovere di supervisore senza essere taglienti e rompiscatole?
Per esempio quando un dipendente di Goldman, la banca da lei supervisionata, afferma che «se un cliente è sufficientemente ricco, certe leggi di protezione del consumatore non si applicano», i suoi superiori cercano di convincerla a dichiarare di non aver sentito quella frase. Quando lei insiste, affermano che il dipendente di Goldman «non intendeva dirla» e fanno di tutto per escludere questa frase dai verbali dell’incontro. Dopo quest’episodio i «consigli» dei superiori della Segarra, tendono a diventare delle non tanto implicite minacce: «Devi cambiare rapidamente se vuoi avere successo qui dentro».
Ma la Segarra non demorde. Scopre che Goldman non solo non ha una policy sul conflitto di interesse, non ha neppure una definizione di cosa sia il conflitto di interessi, nonostante le belle frasi contenute sulla pagina web. I superiori fanno di tutto per farle cambiare il suo report. Alla fine - quasi in lacrime - lei cede, ma - come Galileo di fronte all’inquisizione - afferma: «Ma tra questi quattro muri dichiaro che sono convinta che Goldman non abbia alcuna policy». Dopo pochi giorni viene licenziata.
La storia ha un finale triste. Il suo licenziamento è un segnale fortissimo a tutti i dipendenti della Fed. Nonostante i suggerimenti del rapporto interno, chi dissente è isolato e poi espulso. Solo un eroe avrebbe il coraggio di continuare a fare il suo lavoro in modo corretto. Ma - diceva Bertold Bercht - «Felice il paese che non ha bisogno di eroi!». Speriamo che lo scandalo suscitato dalle rivelazioni delle conversazioni e del report possa cambiare la situazione. Ne va della stabilità del sistema finanziario di tutto il mondo.
Questi episodi accadono nonostante una società americana che educa i bambini a speak up quando gli insegnanti sbagliano, che protegge i denunzianti civici, anzi li ricompensa profumatamente, che crea gli incentivi anche monetari per combattere per le ingiustizie (la Segarra ha chiesto $7 milioni di risarcimento alla Fed). A questo proposito, mi permetto un consiglio al governatore Ignazio Visco. Perché non assume la Segarra? Parla italiano (oltre che inglese, francese e tedesco). È esperta di supervisione. E la sua assunzione manderebbe un segnale chiaro che da noi la cultura della supervisione è diversa.
Luigi Zingales, Il Sole 24 Ore 30/9/2014