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 2014  settembre 30 Martedì calendario

BORSA NERA E SCAFFALI VUOTI, NEL PAESE DELLE SANZIONI TORNA L’UNIONE SOVIETICA

C’è un tipo dalle parti di Kitaj Gorod, di fronte alle mura del Cremlino, che ti vende tutto il parmigiano e il prosciutto spagnolo che vuoi. Devi telefonare prima, perché non può certo mostrarli sul bancone, e costano il doppio di due mesi fa, ma è roba buona. Se hai ancora un po’ di soldi da parte, fare la spesa nel Paese delle Sanzioni può perfino diventare un’esperienza eccitante. Centinaia di indirizzi “segreti” rimbalzano nel passa parola tra i russi che possono permettersi di reperire a peso d’oro formaggi francesi, salmone norvegese e pure, tanto per sfizio, yougurt e ricotte fresche della nemica Ucraina. Ma se sei, per esempio, un’insegnante di scuola media, come Olga Dmitrevna non ti resta che disperarti come fa lei davanti a un mercatino della frutta: «Mele serbe? Mai viste prima. Non sanno di niente e costano il triplo. Quelle italiane, erano già care prima e ora sono vietate. E quelle russe, che erano tanto buone, sono sparite. Troppo poche per reggere la richiesta. Se pensi solo al petrolio, poi ti ritrovi senza mele, latte, uova; pure le patate sono diventate merce rara».
Né c’è da sperare che lo Stato possa fare molto. Le sanzioni americane ed europee cominciano a fare male e a colpire soprattutto le grandi ricchezze, gli oligarchi vicini al potere si agitano e cominciano a lottare tra loro pur di salvarsi.
Non c’è molto tempo per occuparsi della gente comune. Proprio ieri mattina una batosta clamorosa è arrivata alla Rosneft, la grande compagnia statale di idrocarburi gestita da un vecchio compagno di scuola di Putin come Igor Sechin. L’americana Exxon, che ha già annullato su richiesta del suo governo la joint venture miliardaria per l’esplorazione petrolifera dell’Artico, sta pensando di ritirarsi pure da un accordo precedente che sembrava ormai irrinunciabile: lo sfruttamento del pozzo “Pobeda” (Vittoria) scoperto giusto la settimana scorsa dai tecnici russi e americani nel Mar di Kara, il giacimento più settentrionale del mondo e dalle enormi potenzialità (750 milioni di barili). Sechin tuona: «Se gli americani dovessero ritirarsi, andremo avanti da soli». Ma tutti sanno che le tecnologie della Exxon erano le sole a garantire un minimo di sicurezza sul piano ecologico e produttivo. In ogni caso per andare avanti saranno necessari altri investimenti faraonici che non faranno che rendere la situazione generale sempre più instabile. Per anni i russi hanno saputo che il previdente governo di Mosca aveva predisposto un “fondo per il benessere” accumulato con i pazzi guadagni petroliferi degli anni d’oro e che avrebbe garantito il cittadino comune in caso di crisi. Il fondo esiste e ammonta a circa 80 miliardi di euro. Ma Putin lo sta spendendo in maniera imprevista, per aiutare le grandi aziende in difficoltà a causa delle sanzioni. La stessa Rosneft ha fatto ieri stesso una grossa richiesta di finanziamento che sarà esaudita prontamente come è già stato fatto per banche private, industrie belliche e acciaierie entrate in difficoltà quando sono finite nelle liste nere di Usa e Ue.
La lotta per spartirsi il “fondo per il benessere” è appena cominciata e non riguarda minimamente la professoressa Olga Dmitrevna quasi in lacrime davanti al bancone della frutta: «I prezzi aumentano ogni giorno di più, comincio ad essere seriamente preoccupata ». La signora guadagna poco più di 250 euro al mese che equivale più o meno al salario medio russo. Sembra una cifra con cui è impossibile tirare avanti ma, fino a qualche mese fa, non era così. Tutti i russi che possiedono o hanno ereditato una casa assegnata in periodo sovietico pagano infatti una tassa comunale mensile che è intorno ai cento euro e che comprende alloggio, riscaldamento, acqua, luce, gas e spese condominali. Non era un gran vivere, ma stringendosi un po’ con figli e parenti, si poteva fare. Adesso però i prezzi al dettaglio sono cresciuti secondo la media ufficiale del 35 percento. La benzina che costa già 80 centesimi di euro al litro costerà di più prima della fine dell’anno. E soprattutto il rublo continua la sua spaventosa discesa nei confronti delle altre valute. Migliaia di russi hanno già pensato bene di ritirare i loro risparmi dalle banche e di comprare più o euro o dollari possibile. E li tengono ben nascosti a casa, sperando di guadagnarci qualcosa in futuro. Gli esperti consultati da tutti i giornali prevedono infatti che presto potrebbe tornare il mercato nero della valuta straniera che dilagava in periodo sovietico e anche nel successivo caos degli anni di Eltsin. Riportare dignità al rublo e far sparire l’antica abitudine di ragionare in dollari fu una mission quasi personale di Putin risolta con successo ma che ora sembra sul punto di naufragare.
Come cominciano a vacillare tante altre certezze. Il mercato del lavoro, rimasto finora al di fuori della crisi internazionale, dà i primi segni di disastro imminente. Aziende in difficoltà causa sanzioni cominciano a chiudere. Il primo settore a cedere è stato quello del turismo con una serie di compagnie ridotte in bancarotta nel giro di una sola estate. Adesso tocca alle aziende che si occupano di import- export che hanno perso mercati solidi come quello europeo, americano, giapponese. L’inflazione e le difficoltà di molti imprenditori a barcamenarsi tra sanzioni, contro sanzioni e conseguente calo della richiesta rischia di fare il resto. Il governo ammette che già a fine anno ci potrebbero essere oltre due milioni di nuovi disoccupati. E sono cifre che vanno lette moltiplicando almeno per due. Non resta che l’arte di arrangiarsi che è stata fonte di salvezza negli anni della Prima guerra fredda. Veri e propri “corrieri del parmigiano” volano in Italia per tornare con valigie colme di bottino da spacciare su Internet. Piccole aziende registrano il loro marchio in Bielorussia o in altri paesi esenti dalle sanzioni per acquistare prodotti “nemici” e rivenderli in Patria con etichette legali. Ma si rivolgono ai russi che possono ancora spendere, ed è una clientela che comincia ad assottigliarsi. Anche i ricchi e i potenti devono cominciare a fare economie. Lo testimonia il disperato rivenditore Bentley del centro di Mosca. A febbraio aveva venduto 27 esemplari delle lussuosissime auto britanniche per oligarchi. In luglio invece appena due.
E con la crisi appena arrivata si smorza anche il patriottismo e l’ondata nazionalistica di qualche mese fa. Se ancora in agosto oltre l’80 per cento dei russi sosteneva la lotta dei secessionisti ucraini, ieri lo stesso credibile istituto di sondaggi ne calcolava solo uno stentato 40 per cento. Olga Dmitrevna non ha dubbi: «La guerra in Ucraina? Scusate ma io ho altri problemi».
Nicola Lombardozzi