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 2014  settembre 30 Martedì calendario

ULTRÀ SÌ, BAMBINI NO LA LEGGE DEGLI STADI DI UN CALCIO MALATO

Ivan con le cesoie sì, Genny ‘a carogna pure, ma un bambino di 6 anni con la maglia della Juve no. La peggio teppaglia al mondo entra in qualunque stadio italiano, e poi ci fa quello che vuole, però se un piccolo tifoso decide di andare a vedere Atalanta- Juventus indossando la maglietta di Tevez, un paio di zelanti steward gli diranno di smammare, oppure di coprirsi. Se pensavate che il nostro povero calcio fosse arrivato al punto di più basso e di non ritorno, vi sbagliavate.
Il fatto, segnalato da un lettore dell’Eco di Bergamo, è accaduto domenica sera. Il bimbo, il papà e altri sei loro amici, tra cui un paio di sostenitori nerazzurri, sono stati fermati due volte al pre-filtraggio e poi ai tornelli sotto la tribuna Creberg. «Lui, vestito così non può entrare», hanno detto gli steward indicando il bambino. «Oppure dovete andare nel settore ospiti». Sconcerto, civile tentativo di replica. Tutto inutile. Per non aggiungere all’umiliazione la beffa di non vedere la partita, pur avendo i biglietti in tasca, il bimbo è stato costretto ad indossare una felpa. Così, senza più i segni nemici addosso, è stato finalmente fatto passare e si è gustato la vittoria della Juve e la doppietta di Tevez, prendendosi almeno una soddisfazione: sollevare la felpa nel momento dei gol. E nessuno, in quel momento, lo ha importunato. Solo qualche sfottò quando il gruppo era passato sotto la curva Nord, quella atalantina. «Guardate come li crescete bene!», era stata la frase più minacciosa, insomma uno scherzo. Molto più severi gli steward. «Ragioni di ordine pubblico» hanno detto, inflessibili.
Ora l’Atalanta lo giudica un eccesso di zelo. «Non esiste alcuna direttiva in tal senso, ci mancherebbe», afferma Pierpaolo Marino, il direttore generale. «Mica possiamo decidere noi come devono vestirsi le persone. Credo, comunque, che quel consiglio sia stato dato per garantire la sicurezza al ragazzino». Per la verità, all’Eco di Bergamo sono poi giunte altre segnalazioni: chi ha dovuto levarsi una sciarpa della Juve, chi una maglia del Genoa.
«Allo stadio non andremo più», dice adesso padre del piccolo tifoso. E c’è da capirlo. E’ stato testimone di un fatto emblematico, un episodio che purtroppo racconta alla perfezione cosa sono diventati i nostri stadi: un ghetto per le famiglie normali, una gabbia non per i delinquenti, ma per le persone civili. Lì dentro possono entrare bombe carta, coltelli, striscioni che offendono i vivi e morti, ultrà della peggior specie, non un bimbo con la maglietta della squadra avversaria. Lì dentro hanno libero accesso, e sfogo, dirigenti razzisti e offensivi, gente che se la prende con i neri o con i difetti fisici altrui: anzi, costoro fanno pure carriera. In una Federcalcio che non ha ancora deferito Claudio Lotito (tutti, non solo la Juventus, continuano ad attendere le sue scuse per l’orribile frase nei confronti di Beppe Marotta), e che ha addirittura eletto a suo capo l’autore del dileggio di Optì Pobà, è appena logico che un bambino venga trattato peggio di un teppista. E forse non è neppure così sbagliato che quel papà, la prossima volta, porti il figlio al cinema oppure alle giostre, invece che alla partita. Solo, un po’ triste.
Maurizio Crosetti, la Repubblica 30/9/2014