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 2014  settembre 30 Martedì calendario

CHI È L’UOMO DI CUI RENZI SI FIDA

Qualche ricostruzione frettolosa l’ha inserito nel Giglio magico, il giro stretto dei collaboratori fidati di Matteo Renzi, per provenienza geografica. Raffaele Tiscar, 58 anni, dai primi di maggio vicesegretario generale di Palazzo Chigi, però, da Firenze, manca da quasi vent’anni, quando l’attuale premier era un ragazzino che si affacciava alla politica.
Ricostruzioni approssimative anche perché l’uomo, perfettamente calato nell’understatement che compete agli alti dirigenti dello Stato, non rilascia dichiarazioni. Di lui, che è il vice di Mauro Bonaretti, l’uomo cioè che Graziano Delrio ha chiamato a fare il segretario generale di Palazzo Chigi, s’è detto che sia stato fortemente voluto dal presidente del Consiglio, che dell’accoppiata emiliana, Delrio-Bonaretti appunto, non si fida fino in fondo.
Non solo, s’è scritto che Tiscar sarebbe entrato inevitabilmente in collisione con Antonella Manzione, l’ex-comandante dei vigili di Firenze, che Renzi ha messo a capo del dipartimento giuridico e legislativo-Dagl della presidenza del Consiglio anche a costo di scontrarsi col Consiglio di Stato, che ne aveva contestato la competenza. Tiscar, che è nativo di Bari ma cresciuto fra Siena e Grosseto, vive in Lombardia dal 1996. A Firenze, certo, si era formato, laureandosi alla Cesare Alfieri, prestigiosa facoltà di Scienze politiche, alla fine degli anni 70, laurendosi con Vera Zamagni, ma facendo in tempo a dare esami di economia con Mario Draghi ed Ezio Tarantelli e di scienza politica con Giovanni Sartori. Erano gli anni duri, delle contestazioni di Autonomia operaia, ma il giovanotto, cattolico di Comunione e liberazione, non rinunciava a dire la sua tant’è vero che, una volta, un gruppo di autonomi lo menò ben bene.
Lui non portò rancore, anzi una quindicina di anni più tardi, da giovane deputato della Dc, si ritrovò in una riunione all’università col segretario della Cgil che era stato, per l’appunto, uno dei più rissosi avversari a Scienze politiche, e gli dette la mano un po’ ironicamente: «Ma come, non ti ricordi?». Sì perché dai temerari interventi alle assemblee studentesche, Tiscar era passato, di slancio, alla politica attiva: con la Dc, alla quale i ciellini, pur riluttanti, s’avvicinavano perché quello passava il convento. Consigliere comunale nel 1985, secondo degli eletti nel 1990, davanti a un certo Lapo Pistelli, l’enfant prodige della sinistra Dc, diventa assessore nella giunta pentapartita che sbatte fuori il Pci da Palazzo Vecchio.
A Tiscar, i furbacchioni di via Cavour, sede dello scudocrociato fiorentino, danno una delega che è una bomba: la casa. Dopo un anno, Tiscar, invece di scoppiare lui, è deciso a fare saltare il banco delle correnti dc in città e va a congresso, praticamente in solitaria, riuscendo a coalizzare contro di sé un correntone che va dagli andreottiani alla sinistra dc. E qui c’è, se vogliamo, un punto di contatto con Renzi: politicamente, Tiscar fu un rottamatore, anche se sbagliando epoca. Perse infatti il congresso, inevitabilmente, ma quando, l’anno dopo, arrivarono le politiche, lui mollò l’assessorato e finì eletto alla Camera con oltre 10mila preferenze. Peccato che quella legislatura fosse destinata a essere brevissima, falcidiata da Tengentopoli, tanto che si rivota nel 1994. E anche Tiscar, a Firenze, non è stato indenne dall’attivismo delle Procure: come altri assessori di quella giunta viene lambito da alcune inchieste e coinvolto in altre. Un’esperienza amara, conclusasi con una raffica di archiviazioni e di assoluzioni, che lo spingerà però a mollare la politica attiva.
Coniugando un antico amore per l’ambiente, essendo stato, negli anni dopo la laurea anche fondatore dell’associazione ambientalista cattolica «Umana dimora», Tiscar si mette a lavorare nel settore delle acque, che comincia a interessarsi dell’Italia dove, con la legge Galli, sono iniziate le privatizzazioni. E come dirigente della multinazionale francese Lyonnais des eaux. È lui a realizzare ad Arezzo il primo acquedotto privato d’Italia alla fine degli anni ’90. È così bravo che la Thames Water, del gruppo tedesco Rwe, lo chiama, ed è grazie a questa esperienza anche internazionale Roberto Formigoni, di cui fu assistente parlamentare molti anni prima, gli propone nel 2005 la direzione generale energia e reti in Regione Lombardia.
Saranno cinque anni proficui, dedicandosi ad acqua, gas ma anche ad altre infrastrutture come la banda larga, per la quale offre a Formigoni un progetto per cablare con fibra ottica la Lombardia in pochi anni. Invece, finita la legislatura, Tiscar si ritrova declassato a Finlombarda, ancora dirigente, ma solo a occuparsi della banda larga. Pare che fosse entrato in collisione con Paolo Alli, uomo di fiducia di Formigoni e attuale deputato Ncd. Dunque un ciellino trombato da ciellini ma, come detto, Tiscar non è uomo che porti rancore. Declinato l’astro di Formigoni, con la nuova giunta di Roberto Maroni, il Pdl in cerca di direttori generali non strettamente formigoniani e lui viene ripescato per guidare quello della casa, la cui assessora è Paola Bulbarelli.
Senonché anche qui, Tiscar avendo come caratteristica l’esser tipo tutto d’un pezzo, finisce in cima alle antipatie di Mario Mantovani, vicepresidente regionale pidiellino. «A chi risponde questo Tiscar?», pare che si fosse sentito sbraitare nei corridoi del Pirellone il capo del Pdl in giunta, nonché assessore alla Sanità. Cosa che suggerisce a Maroni un trasloco del direttore generale alla guida della disastrata Aler, l’agenzia regionale che gestisce le case pubbliche, anche perché il toscano aveva già presentato un piano per ristrutturarla. Dopo qualche mese però si dimette clamorosamente: s’era accorto che il suo piano non l’avrebbero adottato, né allora né mai. Siamo a dicembre dell’anno scorso, e l’ex-prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, presidente Aler, neanche ci prova a trattenerlo.
E Renzi che c’azzecca? Da sindaco di Firenze aveva provato a riportare «Lele», come lo chiamano gli amici in riva all’Arno, offrendogli la poltrona di direttore generale in Provincia, ma l’altro, coi figli cresciuti al Nord e impegnato in un’esperienza d’affido di minori in difficoltà, non se l’era sentita. Quando ad aprile, il premier comincia a mettere la testa sullo staff, avendo molto delegato a Delrio, l’idea Tiscar gli è balenata in quattro e quattrotto e quindi eccolo a Palazzo Chigi, a occuparsi di vari dossier, dalla banda larga alla sicurezza informatica, dalle infrastrutture all’Expo. Di lui si sa solo che riporta direttamente al premier, che scansa come la peste il sottogoverno e il generone romano, e che conduce vita quasi monastica: prestissimo in ufficio ne esce a tarda sera, ritirandosi in una camera ammobiliata nelle vicinanze di Palazzo Chigi, con tre coinquilini che non sanno neppure che mestiere faccia.
In breve è diventato il riferimento delle direzioni generali degli altri ministeri per dipanare le matasse amministrative che il dinamismo di Renzi spesso avviluppa. Lo scontro con la Manzione, poi rientrato, pare sia nato proprio sui garbugli dello Sblocca Italia.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 30/9/2014