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 2014  settembre 29 Lunedì calendario

JOSHUA, DA HONG KONG CON FURORE


SCORDATEVI i lineamenti duri e i modi di spicci di William Wallace e Che Guevara. La rivoluzione, a Hong Kong, ha la faccia del vicino di banco secchione, quello che – a vederlo – diresti preso in giro dai compagni per i capelli tagliati a scodella, gli occhialoni e il fisico gracile. Non poteva essere altrimenti in un mondo al contrario, come lo è – chissà ancora per quanto – l’ex colonia britannica diventata Cina, ma non del tutto, il primo luglio 1997.
Il compagno secchione si chiama Joshua Wong: a nemmeno 15 anni era già guardato a vista dalla polizia e il suo nome era sul libro nero (anche se lì lo chiamano blu) del ministero degli Interni, un record di precocità perfino in un Paese dove è facilissimo essere guardati con sospetto per le proprie idee politiche. Quando Hong Kong passò dal Regno Unito alla Cina, Wong aveva poco più di otto mesi, oggi – a nemmeno diciott’anni – non può ancora guidare l’automobile. Ma guida il movimento di protesta più grande e influente di tutto il Paese. Per questo Pechino, appena può, in tv e sui giornali, lo dipinge come il nuovo grande nemico del Paese, sostenuto nientemeno che dai servizi segreti americani: un’immagine che stride certamente con il suo volto da capoclasse, molto meno con le sue parole. «Non credo che la nostra battaglia durerà a lungo. La mentalità dei piccoli passi quando combatti per la democrazia non funziona. Se te la prendi comoda non otterrai mai il tuo obiettivo». Oppure: «Ogni battaglia devi condurla come se fosse la battaglia finale, solo così potrai avere le forze per combatterla». Finora la strategia ha funzionato. Nel 2011 il Comitato centrale decise che anche l’ex colonia britannica doveva allinearsi al resto del Paese per quanto riguardava l’insegnamento dell’“Educazione morale e nazionale”; insomma, Hong Kong doveva andare a scuola di patriottismo cinese. Indignato, Wong fondò, con un pugno di amici, un movimento chiamato “Scholarism”, dal nome nerd quanto il suo aspetto. Eppure nel giro di un anno Wong riuscì a portare in piazza 120 mila persone (13 tra questi iniziarono persino lo sciopero della fame). Risultato: le lezioni di Educazione nazionale sono state cancellate ancora prima di iniziare.
Poco dopo è arrivata la battaglia per un sistema elettivo più moderno e realmente corrispondente a una realtà più occidentale come quella di Hong Kong. In una consultazione non ufficiale, un terzo dei votanti ha detto “sì” alla riforma scritta da questo gruppo di ragazzini con tanta voglia di fare sul serio.
In questi giorni, in migliaia sono scesi in piazza chiedendo a gran voce elezioni libere a suffragio universale e una maggiore indipendenza dal malsopportato governo centrale. «Hong Kong rischia di diventare come qualsiasi altra città cinese, ribelliamoci», ha tuonato Wong. Ovviamente è stato incluso nella prima ondata di arresti, e poi rilasciato perché – essendo diventato il simbolo planetario della protesta – tenerlo in galera sarebbe stato anche peggio per Pechino. Almeno per ora.
La gente lo segue con fiducia, e lui passa ormai per un oracolo che sa leggere presente e futuro della sua Hong Kong. Niente male per un bambino cresciuto con la dislessia e bollato dai suoi primi insegnanti come uno destinato a non fare strada.
scarcella@ilsecoloxix.it