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 2014  settembre 29 Lunedì calendario

ANA BOTÌN PER IL SANTANDER UNA “PRESIDENTA” CHE PIACE ALLA CITY

Madrid
Una delle qualità che vengono attribuite ad Ana Botín è quella di possedere una ’eccezionale visione strategica’. Persino, dicono, più del defunto padre Emilio, artefice della straordinaria espansione del gruppo Santander negli ultimi vent’anni. Consolidata in Spagna e in America Latina, sbarcata in forze nel Regno Unito, bisognerà capire ora dove la nuova presidente punterà a far crescere ulteriormente la banca. E, forse, non è un caso che - dopo la tappa confusa della vicenda Antonveneta abbia optato per muovere i primi passi della nuova gestione proprio in Italia. L’accordo con Unicredit è ormai dietro l’angolo. lmeno questo assicura l’amministratore delegato di Unicredit, Francesco Ghizzoni: al colosso iberico dovrebbe andare, entro novembre, il 33 per cento del capitale di Pioneer (un altro 33 per cento finirà in mano di Warburg Pincus e General Atlantic, fondi alleati degli spagnoli). L’obiettivo: quello di creare un nuovo, grande player nell’asset management, che nei prossimi anni, una volta usciti i fondi, diventerebbe una società quotata con due soggetti paritetici, Unicredit e Santander. E’ solo il primo colpo di una manager già di ampia esperienza, che i record ha cominciato a polverizzarli quando era ancora la ’hija de’, la figlia del patriarca, l’erede designata di Don Emilio, com’era conosciuto negli ambienti finanziari spagnoli il numero uno del Santander. Figlia, sì, ma già con un profilo professionale talmente consolidati da farla schizzare nelle posizioni di testa delle liste e dei ranking che contano. Persino nel Regno Unito, dove la diffidenza per lo sbarco di questa signora colta e raffinata nella City - nel 2010 alla guida del Santander Uk, 25mila dipendenti - è svanita così rapidamente che, mesi fa, era già stata nominata dalla Bbc come la terza donna più potente del paese, dopo la regina Elisabetta e la ministra dell’Interno, Theresa May. Figurarsi ora che, da un giorno all’altro, morto d’infarto Emilio Botín, la 53enne Ana Patricia si è ritrovata all’improvviso catapultata ai vertici della prima banca della zona euro. Fortune non ha dubbi, al punto che l’ha subito definita come ’la donna più potente del sistema finanziario’. Di sicuro, è l’unica al mondo a dirigere una banca di simili dimensioni. Quanto alle donne che contano nella finanza internazionale, se è d’obbligo ricordare la presidente della Federal Reserve Janet Yellen e la direttrice dell’Fmi Christine Lagarde, Botín si colloca al terzo posto tra le manager che guidano le imprese d’eccellenza in quanto a capitalizzazione borsistica: la precedono solo Virginia Rometty, presidente di Ibm, e Indra Nooyi, ai vertici di PepsiCo (la numero uno del Santander, tra l’altro, fa parte del consiglio della concorrente Coca Cola). Con la sua designazione, decisa all’unanimità poche ore dopo la morte del padre, Ana Botín continua la saga familiare di banchieri che giunge, con lei, alla quarta generazione che, scommettono già parecchi analisti, è altamente probabile possa essere l’ultima, al di là delle indubbie capacità di gestione della nuova numero uno. Il fatto è che, vista la composizione attuale dell’azionariato, quello dei Botín è un vero miracolo di continuità dirigenziale: la famiglia non controlla ormai più dell’1,5 per cento del capitale del Santander (Ana è in possesso dello 0,149 per cento). Anzi, il principale investitore non è neppure spagnolo: è il fondo statunitense BlackRock, che ha in mano il 4,775% dell’istituto. Una situazione lontana anni luce da quella in cui, nel 1857, il bisnonno dell’attuale ’presidenta’ fondò una piccola banca per gestire il traffico merci nel porto del capoluogo della Cantabria, Santander appunto. La vera crescita, a una velocità vertiginosa, è cosa di questi ultimi vent’anni di presidenza di Emilio Botín, che ha fatto del Santander un ’global player’, seppure con qualche passo falso e non pochi sospetti di scarsa trasparenza. Ora, con Ana, arriva il momento di consolidare il business, confermare la tendenza alla crescita ed elevare i benefici. Sfide alle quali la nuova leader si presenta più che preparata. Probabilmente, è difficile trovare al mondo altre persone che si siano formate in modo altrettanto scrupoloso avendo ben chiaro fin dall’inizio qual era l’obiettivo, o forse il destino segnato dal peso del cognome. Educazione nel Regno Unito, nel collegio cattolico St. Mary’s di Ascot, e poi negli Stati Uniti, al Bryn Mawr College di Filadelfia e laurea in scienze economiche a Harvard. Nel 1981, a 21 anni, l’inizio della carriera in JP Morgan, prima a Madrid e poi a New York. Quindi, sette anni dopo, i primi passi nel Santander con un’ascesa, manco a dirlo, folgorante, fino a diventare direttore generale nel ’94 e, tre anni più tardi, a Buenos Aires, presidente del banco Santander Río. All’inizio del nuovo millennio, la prima vera prova del fuoco, con il ritorno in patria e la nomina alla guida di Banesto, banca che cercò in parte con successo di ristrutturare dopo le gravi vicissitudini del passato, senza tuttavia poterla sottrarre del tutto ai pericoli dell’incombente bolla immobiliare. E infine, quattro anni fa, la designazione - da parte del padre - ai vertici della branca britannica del gruppo, che aveva già il sapore di un’investitura alla successione alla guida del Santander. C’è già chi - come il Financial Times - è pronto a scommettere che la sua gestione sarà persino più efficace rispetto a quella del padre. Il quotidiano della City la definisce come ’l’ultraelegante, moderna e internazionale versione di Emilio Botín’ e ne sottolinea la grande ’esperienza, il suo inglese perfetto e la trasparenza della sua pratica professionale’. E forse proprio questo può essere uno dei principali punti a suo favore. Perché mai, nei trent’anni di attività con incarichi di responsabilità nel settore finanziario, è stata finora messa in discussione la sua condotta integerrima. Don Emilio, al contrario, non sempre è stato esente da ombre. E non solo in Spagna, dove finì sotto inchiesta per l’acquisizione di Banesto, per la fusione del Santander con il Central Hispano e dovette pagare 200 milioni di euro per regolarizzare la propria posizione fiscale quando il nome dei Botín comparve tra gli evasori eccellenti con ricchi conti in Svizzera nella Lista Lagarde filtrata da Hervé Falciani alle autorità francesi. I grattacapi, per il gruppo spagnolo, non sono mancati neppure in Italia, sin dalla prima mossa sullo scacchiere bancario nostrano, quando entrò nel Sanpaolo-Imi e, in poco tempo, entrò in rotta di collisione con la Mediobanca di Enrico Cuccia, suscitando crescenti diffidenze per le sue forti aspirazioni espansionistiche. Al punto da indurre Sanpaolo ad accelerare la fusione con Intesa, anche per prevenire una possibile Opa di Botín. Il Santander, però, è stato poi coinvolto in una delle operazioni più controverse degli ultimi anni: la cessione di Antonveneta (di cui gli spagnoli avevano acquisito il controllo nell’ambito della spartizione di Abn Amro, dopo l’Opa lanciata sul banco olandese insieme a Fortis e Rbs) al Monte dei Paschi. I toscani pagarono un prezzo eccessivo, e non è escluso che l’intenzione successiva di Botín fosse quella di prendere il controllo di Mps, ormai in sofferenza, con Antonveneta.
Alessandro Oppes, Affari&Finanza – la Repubblica 29/9/2014