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 2014  settembre 29 Lunedì calendario

LA CONTA DEI DEMOCRATICI TRA NUMERI BLINDATI E L’OMBRA DELLA ROTTURA


ROMA «La strada è molto stretta», ha ammesso Bersani. La vigilia si è chiusa senza un accordo e alle cinque della sera il Pd rischia una spaccatura profonda sull’articolo 18: la bandiera che Renzi vuole stracciare perché «non serve a niente» e che, al contrario, la sinistra del Pd ha scelto come vessillo della propria esistenza. Se non si arriverà a un’intesa, la direzione si aprirà senza rete e — salvo improbabili ripensamenti del premier — in serata ai democratici non resterà che far la conta di vincitori e vinti. D’Alema sul Corriere ha messo in guardia il premier, ha detto che un «accordo ragionevole» è ancora possibile e che «una frattura del maggior partito di governo non sarebbe un messaggio rassicurante». Ma Renzi tira dritto e mena fendenti su Bersani e compagni: ha rifiutato l’incontro con le minoranze e non appare disposto a discutere di legge di Stabilità.
I numeri sono dalla parte del segretario, il quale controlla almeno il 68% dei circa 200 membri del «parlamentino» e che potrebbe allargare ancora i suoi consensi. Oggi inviterà il Pd a valutare nel complesso la riforma senza fermarsi all’articolo 18, farà la sua proposta che verrà messa ai voti. La minoranza, che potrebbe dividersi sul grado di intransigenza, non ha le forze per capovolgere un epilogo già scritto. In caso di sconfitta potrà cercare la rivincita al Senato: lì la maggioranza ha solo sette voti di vantaggio e «se procedesse mediante un’intesa con le destre», ammonisce Chiti, «ne seguirebbe una lacerazione grave per il Pd, il governo, il Paese».
Per respingere l’accusa di essere gufi e frenatori, lasciando al «capo» il peso di una eventuale frattura, i leader antirenziani lanciano gli ultimi appelli all’unità. Bersani: «Prendere o lasciare sull’articolo 18? Non esiste. Il Pd va preservato e anche il governo, ma bisogna fare ogni sforzo per trovare la miglior sintesi». Scissione in vista? «Non esiste». E Gianni Cuperlo: «Io ho posto questioni con spirito collaborativo per rendere efficace la riforma e fino all’ultimo continuerò a sperare che, da parte del segretario, ci sia l’impegno a trovare una soluzione condivisa». Dal Nazareno, la Serracchiani invita la minoranza a «fare un passo indietro» per cancellare le «diseguaglianze» del mercato del lavoro.
Matteo Orfini ha schierato i «turchi» sulla linea morbida e vede ancora «margini» sul rafforzamento dei casi di reintegro: «Ci sono le condizioni per un accordo». E D’Alema? «Temo abbia mischiato i piani in modo improprio. Non c’entra niente il dibattito interno a un partito con l’esigenza di fare le riforme con le opposizioni». Ieri sera nel cielo del Pd era ancora nebbia fitta. La mediazione di Chiamparino è stata respinta dalla sinistra. Per D’Attorre «sarebbe ridicolo arrampicarsi sugli specchi e rifugiarsi dietro il discriminatorio, che è garantito dalla Costituzione». Riformista dell’ala dura, D’Attorre avverte: «Se si andrà alla rottura, sarà chiaro come il sole che l’ha voluta Renzi». Come voterete? «Se la linea è l’abolizione totale dell’articolo 18, mi pare complicato non dire di no». Posizione condivisa da Bindi, Boccia, Fassina e Pippo Civati, che vede volteggiare all’orizzonte il fantasma della scissione.
M.Gu.