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 2014  settembre 29 Lunedì calendario

«ERO COME PARALIZZATO MA NON SONO UN VIGLIACCO»

Una notte da incubo anziché di gloria. Qualcosa di mai visto. Sabato sera Diego Velardo è fuggito dal ring, prima ancora di affrontare per il titolo italiano vacante dei supermedi Andrea Di Luisa. Sul quadrato, il co-sfidante non ci è mai arrivato: al momento di scendere le scale che lo portavano sul ring davanti al pubblico è infatti tornato sui suoi passi, chiudendosi prima in bagno poi nello spogliatoio e non sono stati sufficienti incitamenti o preghiere per farlo recedere dalla decisione. Un quarto d’ora di attesa vana, con Diego chiuso da solo nello spogliatoio, sino alla decisione dell’arbitro di assegnare a tavolino il titolo a Di Luisa. Il manager Cherchi incredulo: «Non è possibile, è uno scherzo, questo non è mai accaduto». Velardo ieri è tornato a Ciampino, dove vive, e non sa darsi ancora risposte precise. Tiene solo a precisare: «Non sono un vigliacco e non mi sono mai tirato indietro nella mia carriera, sia da dilettante arrivando anche alla nazionale, che da pro’».

Allora come è maturato questo rifiuto che ha colto tutti alla sprovvista?
«E’ stato il punto di arrivo di un mese di incertezze, può sembrare strano perché parlo di persone che mi conoscono da tempo, in particolare il maestro che mi segue da sempre Massimo Ardu e poi Marcello Paciucci il mio manager. Loro non se ne sono accorti. Forse in questo periodo di avvicinamento al combattimento avevo bisogno di conforto, invece ho trovato soltanto la pressione di un appuntamento importante, che diventava via via gigantesco, una montagna insormontabile che mi ha fatto sprofondare sempre più fino ad arrivare a questo punto di rottura. Mi sono sentito come paralizzato, senza forza ed idee, come potevo salire sul quadrato in condizioni simili?».
Perché non ha rivelato prima questo disagio?
«Forse ho sbagliato, sicuramente è colpa mia. Volevo fare delle esperienze; combattere subito per il tricolore è stato un passo probabilmente troppo lungo, e non ero maturo dal punto di vista mentale. Conosco i miei limiti, sono un buon pugile e non un fuoriclasse. Mi sono ritrovato lì sulle scale e mi dicevo che non dovevo andare sul quadrato. E’ così, non so spiegarmelo e non è un fatto di paura, sono andato fuori giri».
Cosa ha detto al tecnico e al manager?
«Non li ho né visti né sentiti, dopo essere andato via dal palazzetto. E’ un mio dovere, proverò a spiegarmi e dovrò cercare di capire il come ed il perché di questa situazione del mio comportamento, spero che loro mi aiutino a farlo».
Lei allena in palestra: cosa dirà ai ragazzi?
«Quello sarà il momento più difficile ma lo affronterò, stavolta senza tentennamenti. Sono sicuro che mi capiranno, almeno lo spero. Di sicuro spiegherò che non sono un vigliacco, un termine che mi mortifica e non mi appartiene. Capisco che vista da fuori è così, ma è troppo facile dare delle etichette alle persone senza sapere nulla di loro».
Si è sentita male anche sua madre, sabato.
«Per fortuna ora sta bene, è a casa. E’ andata in ospedale, ma nulla di grave. Penso che l’accumularsi di tutta la tensione ed il dispiacere abbiano creato il problema».
Cosa c’è nel futuro di Diego Velardo? Ancora la boxe o il tentativo di cambiare?
«Al momento non lo so. Il pugilato resta il mio mondo, lavoro in palestra a Ciampino, la frequento da ragazzo, ho seguito la trafila vincendo tutto da dilettante per affrontare quindi il professionismo e mai mi era capitata una cosa del genere. Provare paura o avere un pizzico di insicurezza prima di un combattimento, a dispetto delle frasi di circostanza che si dicono sempre, è normale. Poi però trovi la forza dentro di te per andare avanti e pensare positivo. Di sicuro proverò a reagire, poi vedremo. Non so se troverò un manager ed un allenatore che ancora credano in me e non so quanto sia facile dopo sabato. Il pugilato è un mondo duro e difficile che non perdona chi commette degli errori».
La mamma di Diego era venuta in pullman con i tifosi, giovani che frequentano la palestra: la delusione è maggiore. A riguardare poi nella sua carriera pro’ iniziata ad ottobre 2011 con 10 match sostenuti (8 vittorie, una sconfitta per ferita ed un pari a Firenze contro il romeno Dragan Lepei, pugile che in molti evitano perché pericoloso), c’è anche una vittoria nei confronti di Felice Moncelli che la settimana scorsa è diventato tricolore dei superwelter a Nettuno. L’ultima sua fatica era stata ad Ostia poco più di un mese fa, il giorno del tricolore Lancia-Di Silvio, culminata con la famosa rissa in platea dopo l’incontro. In quella occasione Diego aveva dominato Vadim Gurau. Stavolta invece la sconfitta, che entra nel suo curriculum, sembra indolore ma forse è la peggiore che gli potesse capitare.