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 2014  settembre 29 Lunedì calendario

NON SOLO “VULCANELLI” SICILIANI LA MAPPA DELL’ITALIA PERICOLOSA

C’è un’Italia esposta alla legge implacabile della natura che, dalle Alpi, attraversa il Paese fino alla Sicilia. Teatro dell’ultimo dramma che, solo due giorni fa, a Macalube di Aragona in provincia di Agrigento, ha strappato alla vita i piccoli Laura e Carmelo. Un «vulcanello» di fango è esploso all’improvviso, travolgendoli senza lasciare scampo.
Non c’è solo la Sicilia, però, nell’elenco delle località in cui fenomeni analoghi potrebbero verificarsi. C’è, per esempio, anche l’ Emilia Romagna, dove si chiamano salse, distribuite nella Riserva Naturale di Nirano a sud di Modena. Ma anche le Marche, con l’area dei Comuni di Montegiorgio, Falerone, Montappone, Monteleone di Fermo, Rotella e Offida, e l’Abruzzo, nell’area di Pineto. Le ricordava ieri, proprio su «La Stampa», il geologo Mario Tozzi che mette però in guardia anche da altri fenomeni, aiutandoci a tracciare una mappa dei rischi che attraversano il Paese. A partire da quelli connessi alle attività vulcaniche tardive. Si comincia dalla liberazione nell’area di anidride carbonica, un gas più pesante dell’aria che resta concentrato al livello del terreno. Si tratta di emissioni silenziose, inodori e insapori, difficili da identificare, registrate nella zona dei Castelli Romani, a Roma, dove sono stati rinvenuti animali morti per asfissia, e nella Solfatara di Pozzuoli, in Campania.
Ben più pericolosa, invece, è l’emissione di Radon, un gas liberato sempre in relazione ad attività di tipo vulcanico. Non provoca effetti letali immediati, ma la prolungata esposizione a questo gas, fortemente radioattivo, è considerata una delle principali cause di tumore al polmone dopo il fumo di sigaretta. Emissioni di Radon si registrano in Veneto, in particolare nei Comuni delle province di Padova, Treviso, Verona e Vicenza, nel Lazio e in Campania, con punte più elevate in provincia di Salerno. Sempre nel Lazio, risalgono all’antica Roma, fenomeni analoghi a quello verificatori a Macalube, di Aragona, ma nelle acque del lago di Albano. Al cui interno, l’esplosione di una grande bolla gassosa generò colate di fango che lambirono le porte della stessa Roma.
Capitolo alluvioni. Se in passato i sorvegliati speciali erano di norma i grandi fiumi, come il Po, l’Adige e l’Arno, oggi sono le assi fluviali piccole e corte a rappresentare l’ultima frontiera del rischio. Costrette, a causa dei mutamenti atmosferici, ad assorbire in pochi minuti quantitativi di pioggia che un tempo si generavano in diversi mesi. Così, nella mappa del rischio, entrano i 170 chilometri tra Campania, Basilicata e Puglia, attraversati dal fiume Ofanto. Ma anche il versante adriatico, delle Marche, dell’Abruzzo e del Molise, la Maremma, la Versilia e, in Sardegna, la zona di Olbia. Senza dimenticare la Liguria, in particolare l’area formata dai territori delle Cinque Terre, parte del genovese e le aree adiacenti il letto del fiume Vara.
Rientra, invece, nella black list delle aree del Nord più esposte a rischio frane il Trentino Alto Adige, e torna poi l’Emilia Romagna, mentre al Sud si aggiungono all’elenco la Campania, con particolare riferimento alla penisola sorrentina e alla zona di Sarno, la Calabria, dove il rischio frane interessa il cento per cento dei Comuni, e la Sicilia, limitatamente alla provincia di Messina.
C’è poi il rischio sismico. Attraversa e interessa, praticamente, quasi la totalità del Paese. Dal Nord-Est, fino al Sud più profondo, lungo l’intera dorsale appenninica. Sembra quasi superfluo, ma è comunque utile rievocare i disastrosi terremoti di L’Aquila, in Abruzzo, nel 2009, e quello che sconvolse l’Irpinia nel 1980. Senza risparmiare neppure due zone spesso poco considerate, ma caratterizzate da una forte sismicità: il Gargano in Puglia e il catanese in Sicilia.
Ma esiste un pezzo d’Italia del tutto immune dai pericoli naturali? In effetti sì. La Puglia meridionale (Bari, Brindisi e Lecce). E la Sardegna, limitatamente ai terremoti e alle attività vulcaniche. Almeno per ora.
Antonio Pitoni, La Stampa 29/9/2014