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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

L’INDUSTRIA DELLE ARMI IN UN PAESE DEMOCRATICO

Fra le autorità presenti alla cerimonia presso il Sacrario di Redipuglia erano presenti la ministra per la Difesa e la presidentessa della Regione Friuli Venezia Giulia le quali hanno apprezzato il discorso del Papa. Se fossero state attente avrebbero ben ascoltato il grido di dolore, giustamente molto più forte del solito, allorché papa Francesco ha puntato il dito contro «questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, gli affaristi della guerra». Questi «guadagnano tanto e il loro cuore ha perso la capacità di piangere», «L’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto». Le due rappresentanti sanno che l’Italia eccelle nella produzione, vendita e distribuzione di armi? Se ne sono coscienti, come conciliano il loro assenso al forte richiamo del Pontefice?
Franco Bellini
franco.bellini39@libero.it
Caro Bellini,
A l la fine del suo mandato presidenziale, nel 1961, Dwight D. Eisenhower, il generale-presidente che era stato comandante in capo delle forze alleate durante la Seconda guerra mondiale, pronunciò un discorso d’addio in cui spiegò ai suoi connazionali che esisteva ormai negli Stati Uniti una grande industria degli armamenti. Questa industria aveva una funzione fondamentale per la sicurezza del Paese, ma occorreva evitare che il «complesso militare-industriale» esercitasse una indebita influenza sulla politica nazionale. Non dobbiamo permettere, aggiunse, che questa combinazione tra le forze armate e una grande industria bellica condizioni il processo democratico. Vent’anni dopo Sandro Pertini, presidente della Repubblica, disse che occorreva «svuotare gli arsenali e riempire i granai».
Nessuno dei due presidenti, tuttavia, si spinse sino a sostenere che le armi fossero inutili e che le industrie degli armamenti dovessero chiudere i battenti. Buona parte del discorso di Eisenhower fu dedicato ai rischi della Guerra fredda e lo slogan di Pertini apparteneva al bagaglio retorico del socialismo umanitario, utile per i comizi, meno utile per la gestione degli affari di Stato. Sono stato presente a un incontro fra Pertini e Lord Carrington, segretario generale della Nato, verso la metà degli anni Ottanta, in un momento in cui gli Stati Uniti chiedevano ai loro alleati europei di aumentare le spese militari; e non ricordo che il presidente italiano abbia colto l’occasione per sostenere la causa del disarmo unilaterale. Papa Francesco, infine, è gesuita, conosce il mondo e sa che nessun Paese può ignorare il problema della propria sicurezza. Se non vuole dipendere per le sue forze armate da fornitori stranieri, l’Italia dovrà avere una industria militare; e se questa industria vorrà fare quadrare i conti, andrà alla ricerca di mercati in cui vendere i suoi prodotti. Dovrà evitare di fare affari con Paesi afflitti da una guerra civile o con regimi che faranno uso delle armi per sopprimere i propri oppositori interni. Ma continuerà ad esistere e avrà il merito di rendere il Paese un po’ meno dipendente dalle maggiori potenze esportatrici.
Aggiungo, caro Bellini, che le industrie degli armamenti non sono mai esclusivamente militari. Ciò che serve alle guerre (per esempio nel campo informatico e aeronautico) può avere straordinarie ricadute civili. Internet era, alle origini, un sistema creato dal Pentagono per le proprie esigenze. Da quando il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ne ha fatto dono alla società civile, il sistema ha cambiato, complessivamente in meglio, la nostra vita.