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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

Quando Strauss era eterno di ALBERTO ARBASINO L’invulnerabile decadentismo del Rosenkavalier di Kleiber il trionfo (con 250 repliche) di una bacchetta che ci manca Al teatro Valle, negli anni Sessanta, Vito Pandolfi allora presidente del Teatro di Roma mi chiese di mettere in scena senza soldi una commedia di John Osborne che avevo appena visto al Royal Court londinese

Quando Strauss era eterno di ALBERTO ARBASINO L’invulnerabile decadentismo del Rosenkavalier di Kleiber il trionfo (con 250 repliche) di una bacchetta che ci manca Al teatro Valle, negli anni Sessanta, Vito Pandolfi allora presidente del Teatro di Roma mi chiese di mettere in scena senza soldi una commedia di John Osborne che avevo appena visto al Royal Court londinese. Recensendola. Dunque avevo ben presente quel «luogo da incubo, oppressione, debolezza, polemica» voluto dal testo. E così, col bravissimo scenografo Luca Sabatelli, si era deciso di mettere per il protagonista di Prova inammissibile (da me ritradotta gratis) una vecchia branda nel salone degli sportelli di una vecchia banca. Stavo facendo varie esperienze: anche col cinema e con l’opera lirica. E presto mi sarei reso conto che (almeno per me) era preferibile lavorare senza un’équipe intorno. Né squadra, né staff, né team. Né riserve. Infatti, a lungo durarono le discussioni sulla pronuncia italiana o inglese del nome «Shirley», quando sarebbe stato meglio cambiarlo subito. E poi, la questione del parrucchino di Tino Carraro. Avevamo la sorte di un simile grande protagonista in scena per tutto il tempo, con tutto uno strascico di precedenti illustri. Ma lui si sentiva sicuro soltanto con questo suo posticcio. Che peraltro in scena lo invecchiava parecchio, piazzandolo nella categoria degli anziani. E non dei trentenni. Spesso facendo confusioni tra le telefonate e le presenze nei successivi incontri. L’esito fu: applausi. Ma già agli inizi qualcosa non andava. Avevamo stabilito, per esempio, un risveglio piuttosto affannoso, con due tipi di illuminazione: il respiro solito, e il battito cardiaco. Forse però non si capiva: un vecchio critico fu udito dire «basta!» nei corridoi del Valle. *** Troppi anni, già, senza Herbert von Karajan o Carlos Kleiber. Di quest’ultimo si raccontava che faceva le bizze, perché pretendeva un’automobile avanti e indietro dall’appartamento in via Gesù, dove era ospite, fino alla Scala. Si andò a Vienna per quel suo Rosenkavalier estremo, finale. E ci si trovò allora davanti a un decadentismo invulnerabile, con inespugnabili gare di signorilità fra le protagoniste, Felicity Lott e Anne Sofie von Otter. Ma nessun cambio nell’allestimento solito, già visto molte volte, con la stessa regia, e alla duecentocinquantesima replica. Fin dai tempi di Peter Schneider e Horst Stein, Gwyneth Jones e Brigitte Fassbaender... Antiche vacanze di Pasqua… Ci si ricordava allora dei suoi trionfali debutti alla Scala, ancora con un Rosenkavalier , un Otello , con Placido Domingo, quel Tristano per cui borbottava Paolo Grassi: «Questi manigoldi, come sanno suonare bene, quando vogliono…». Ma qualunque giubilo diventa impensabile, paragonato ai tripudi nell’Opera di Monaco (di Baviera), con tutto il pubblico in abiti da sera, e già alticcio, il Martedì Grasso, per una sua indimenticabile esultante Fledermaus di tutti divi, con l’abituale Fassbaender e la regia del tradizionale Otto Schenk. Ma nella medesima stagione 1951-52, diretto stavolta da Karajan, riecco alla Scala l’inossidabile Rosenkavalier , con Elisabeth Schwarzkopf che frattanto cantava in italiano il Rake’s Progress di Stravinskij appena interpretato nell’originale inglese alla Fenice veneziana. E con lei, Otakar Kraus, Hugues Cuénod, e chissà quanti scaligeri destinati a futuri trionfi. Nonché Otto Edelmann, come Baron Ochs prossimamente di Kurt Moll. Karajan giovane attraversava stagioni felici. Anni fulgidi, con Mario Petri sfolgorante Don Giovanni. E certamente non Samuel Ramey maledicendo l’Onnipotente nel Nulla, mentre decenni dopo il grande direttore anfanava penosamente, pluri-operato e artritico, per raggiungere il suo seggiolino. E lì, ancora un Rosenkavalier , con la Tomowa-Sintow. C’era ancora André Mattoni, come suo gentilissimo segretario. «Mattoni», però, ora è una multinazionale di alimentari, con molti outlet. *** Marlene Dietrich, ufficialmente ritirata dalle scene dopo i trionfi al Café de Paris londinese, cantava due volte ogni sera al Tivoli di Copenaghen, per famigliuole con i piccini, e con affettuosi complimenti per il suo accompagnatore belloccio, Burt Bacharach. Ma si era piuttosto interessati alla leggenda di una sua calzamaglia aderentissima, sotto l’abito da sera, per coprire le increspature della vecchia pelle. Tutto verissimo. Era anche un po’ sporchiccia, da vicino, quella calzamaglia. *** «Uhu, uhu, questa è pace che pace non dà… Uhu, uhu, la tormenta tormenta e va… Uhu, uhu»… Mentre in cucina, disapprovati dalla vecchia cuoca Carolina, tentavamo di fare i cuori nella tormenta, dalla sala arrivavano i commenti. «Si è fatto di tutto per dargli una buona educazione. La migliore. Se adesso preferiscono star di là con le serve, pazienza. Cresceranno con una mentalità da serve». *** «Che brutto, che brutto, ho provato di tutto, ma senza frutto» cantava Laura Betti, ai bei tempi. Altro che «donare il corpo». O «il teatro di strada»? *** «Fragili giovanotti pronti a torturare, straziare, violentare, uccidere», si va leggendo adesso. Ma come dimenticare il sadismo collettivo e improvviso di tanti distinti impiegati e funzionari in lontani anni attraversati e vissuti, con camere di tortura improvvisate in ogni città o cittadina, e preferibilmente nei castelli più medievali? *** Tripoli, Giarabub, Cirene, Bengasi, Misurata, Aleppo, Damasco, Baghdad, Bassora, Samarra, Saba, Sanaa, Marib, Ninive, Babilonia, Homs, Srinagar, Avantipur, Abadan, Isfahan… Quali posti saranno meno pericoli, adesso, senza troppi gelidi occhi di carcerieri spietati… Chissà Petra?… O Palmira?… Fino a pochi anni fa, ci si andava. *** C’è qualcuno che sa dire cos’è la fiaccolata di stasera? Charity, Emergency? Energy? Extremity? Variety?