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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

Direttore d’orchestra “Perché sul podio il carisma è fondamentale” Siamo alla Royal Opera House a Covent Garden, nell’ufficio di Sir Antonio «Tony» Pappano

Direttore d’orchestra “Perché sul podio il carisma è fondamentale” Siamo alla Royal Opera House a Covent Garden, nell’ufficio di Sir Antonio «Tony» Pappano. Una scrivania, un divano, tante foto di palcoscenici e opere e, sul muro, quattro ritratti di Puccini. Maestro, è il compositore di Lucca il suo preferito? «Gli elementi che compongono la sua arte sono molto importanti per me. Un’arte sofisticata da un lato e teatrale dall’altro. L’ovvia influenza che i suoi ultimi lavori ebbero sulla musica cinematografica è sottovalutata. Credo sia stato un pioniere». È legato alle sue origini italiane? «Credo di esserne attratto non solo perché i miei genitori sono italiani ma perché sono cresciuto con il teatro lirico». Perché suo padre è stato un tenore? «Ho sempre sentito mio padre cantare e insegnare quella musica e ho accompagnato quelle arie al pianoforte per non so quanti anni». Perché ha deciso di diventare direttore d’orchestra e non pianista? «Vivendo nel mondo dell’opera, quasi tutte le volte che suonavo lo facevo per produzioni operistiche. Non sarei andato molto lontano. Mi piaceva suonare il piano e non avevo nessuna ambizione a dirigere, ma alcuni cantanti mi hanno convinto a farlo perché dicevano che riuscivo a trasformare il suono della tastiera in quello di un’orchestra. E così mi è stata data l’opportunità di cominciare». Lei, però, quando era più giovane, ha trascorso diverse stagioni a Bayreuth, in Germania. Quanto è stato importante Wagner nella sua vita? «Sentivo il bisogno di non essere visto solo come un talento italiano. Volevo imparare il tedesco e avevo una voglia incredibile di approfondire la conoscenza di Wagner e Strauss. Wagner mi ha aperto gli occhi, le orecchie e la mente verso un tipo di teatro completamente diverso e un mondo nuovo, potente, di musica innovativa. Amavo interpretare le opere di Strauss al pianoforte, in particolare “Il cavaliere della rosa”, “Salomé”, “Ariadne” ed “Elettra”». E Mozart e Beethoven? «Come pianista ho avuto una “dieta regolare” di Mozart e Beethoven e ho diretto le opere dei libretti di Da Ponte per Mozart molto spesso. Sono state preziose. Sono una stratosferica combinazione di parole e musica». È «Don Giovanni» l’opera numero uno? «Non ne sono sicuro. Credo che la più perfetta opera di Mozart per struttura e fascino teatrale sia “Le nozze di Figaro”. Ma questa forse è solo questione di gusti». E il «Fidelio» di Beethoven? «L’ho diretto solo una volta e mi piacerebbe moltissimo rifarlo». La «Nona sinfonia» è il capolavoro del maestro tedesco? «È difficile dire qual è il capolavoro di Beethoven, perché ogni sua opera prende origine dalla più piccola cellula che attraversa poi un processo di espansione, contrazione, conflitto e risoluzione, creando un capolavoro di elevatissima maestria». Ma, se dovesse dirigere Beethoven all’Accademia nazionale di Santa Cecilia, a Roma, dove è il direttore musicale, quale sarebbe la sua scelta? «Ho diretto due volte la “Missa solemnis” e spero di ripetere l’esperienza. Non c’è praticamente nulla che si possa paragonare a quella composizione». E tra tutte le opere, alla Royal Opera House di Londra, dove anche lì ha il ruolo di direttore musicale, quale vorrebbe dirigere? «In 12 anni ho condotto la maggior parte dei lavori che sognavo di dirigere. Ancora oggi mi metto alla prova con repertori nuovi, ma alla lunga sono più portato a dedicarmi a ciò che ritengo importante per la mia crescita». Tipo? «”Tristano”, “I maestri cantori”, “Otello”, “Le Nozze di Figaro”, “Don Giovanni”, “Fanciulla del West” e “Manon Lescaut”. Ho anche diretto “L’anello” di Wagner, molte volte». Di Verdi solo «Otello»? «Ci sono tre opere di Verdi che mi attraggono: “La Traviata”, “Simon Boccanegra” e “Macbeth”». Che cosa insegna ai giovani direttori? «Ci sono molte persone con un incredibile desiderio di dirigere, ma il mondo dei direttori d’orchestra non è facile. È raro trovare questo cocktail di talento, capacità di comunicare, sensibilità, volontà e senso di leadership. Penso che i giovani direttori debbano essere in grado di guardare una partitura da diverse angolature e ricostruirla per se stessi». Non è una carriera semplice? «Il carisma è fondamentale. In un certo senso facciamo parte dello show business». Cosa prova quando l’orchestra segue i suoi ordini? «Sono in uno stato di ricchezza emotiva fatto di poesia, gioia, dolore». Ha sentito parlare della situazione del Teatro Regio di Torino? «Ciò che posso dire è che per il Regio e, in generale, per la musica italiana, sarebbe una grave perdita se Gianandrea Noseda se ne andasse. Il successo che ha ottenuto deve essere consolidato, non può andare perso». Traduzione di Lorenza Castagneri