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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

Adesso il califfo punta sul Libano ecco il terzo fronte dell’ondata nera ALBERTO STABILE AL ANSAR (BEKAA) IDUE padri stanno uno di fronte all’altro, braccia nelle braccia, lacrime contro lacrime, sotto gli sguardi tesi del servizio d’ordine degli Hezbollah

Adesso il califfo punta sul Libano ecco il terzo fronte dell’ondata nera ALBERTO STABILE AL ANSAR (BEKAA) IDUE padri stanno uno di fronte all’altro, braccia nelle braccia, lacrime contro lacrime, sotto gli sguardi tesi del servizio d’ordine degli Hezbollah. La preghiera di mezzogiorno s’è appena conclusa nella moschea di Al Ansar, un paesino di cinquemila abitanti, appena fuori la sontuosa Baalbek, in piena valle della Bekaa e i familiari di Abbas Medlej, sciita, e Ali Sayyed, sunnita, rispettivamente soldato semplice e sergente dell’esercito libanese, possono sfogare liberamente il loro dolore, se mai può trovare sfogo il dolore di un genitore costretto a sbirciare nei fotogrammi incerti di un tweet, il proprio figlio sgozzato. E’ stato questo il destino che i due giovani militari hanno dovuto patire per mano dei miliziani dello Stato Islamico, braccio armato del Califfo Abu Bakr al Baghdadi, dopo essere stati presi in ostaggio assieme ad una ventina di loro commilitoni, nella battaglia di Arsal del 2 agosto. Abbas, e a quanto sembra anche Alì, hanno commesso l’imperdonabile errore di tentare la fuga. Ripresi, li hanno trucidati. Gli altri ostaggi sono rimasti nelle mani degli jihadisti, potenziale moneta di scambio di una trattativa alla quale il governo libanese. Ieri un altro dei militari sarebbe stato giustiziato. Dopo la Siria e l’Iraq, eccoci dunque sul terzo fronte della nuova conquista islamica, in versione Al Baghdadi: il fragile Libano che, secondo le ipotesi più pessimistiche circolanti tra gli analisti di Beirut, oltre a rappresentare un “soft target” a causa delle ben note divisioni settarie che lo attraversano e ne minano la sopravvivenza, offrirebbe al Califfo conquistatore l’impagabile beneficio rappresentato da uno sbocco sul Mediterraneo, cosa che il Califfato ancora non possiede. E già si elucubra di un “Emirato di Tripoli e Arsa”, dove ai cristiani sparsi nei villaggi della Bekaa toccherebbe la sorte dei loro confratelli iracheni di Mosul (convertirsi o morire, o fuggire) mentre gli sciiti che nella Valle sono la maggioranza, in quanto “apostati”, in quanto “infedeli” e, soprattutto in quanto sostenitori degli Hezbollah, non potrebbero aspettarsi alcuna clemenza. Anche se nessuno si nasconde che la battaglia di Arsal e lo sciame sismico che ne è scaturito con gli ostaggi, rappresentano, per citare i più diffuso giornale in lingua araba, As Safir , «la sfida più grave che il Libano si ritrova a fronteggiare da quanto è esplosa la guerra siriana», la situazione, tuttavia, non sembra ancora precipitare. Nonostante le voci di diserzioni e di ammutinamenti seguiti alla crisi degli ostaggi, l’esercito c’è, è rimasto al suo posto, disposto al sacrificio. Le strade della Bekaa orientale e settentrionale che corre parallela al confine con la Siria sono pattugliate e presidiate da una miriade di posti di blocco. L’allerta e massima. E adesso, dopo la battaglia del 2 agosto, i 450 mila rifugiati siriani che affollano la Valle della Bekaa (in totale, presenti in tutto il Libano sono oltre un milione e centomila) sono minacciati di ritorsione. Non è il senso del dovere dei militari dell’Armeè che è venuto meno in questa crisi, ma il senso civico di molti libanesi che, dimentichi dei tempi della guerra civile, quando erano loro a cercare protezione in Siria, hanno cercato di vendicarsi sui rifugiati siriani del duro colpo subito ad Arsal, prima con le decine soldati libanesi uccisi, o feriti, poi con la cattura dei militari. Un’ondata di sequestri e contro sequestri s’è abbattuta sulla Bekaa. Alcune tende di rifugiati sono state bruciate. Altrove, anche al Sud, sono stati costretti ad andarsene. I familiari di Alì Al Masri, un ostaggio minacciato di decapitazione, sequestrano alcuni abitanti di Ersal per far pressione sul discusso sceicco Mustafà Hojeiry, detto anche Abu Takie, che i miliziani avrebbero indicato come mediatore. Per tutta risposta, alcuni sconosciuti rapiscono Mohammed ed Hussein al Masri, fratelli di Ali, mentre la moglie dell’ostaggio lancia un appello alla moderazione. Qualche ora dopo, a pochi chilometri da Balbek, viene sequestrato Aiman Sawan del villaggio di Saadnayel. Per ritorsione, il figlio di Aiman, Salah, rapisce dieci autisti di minibus. Nel frattempo, i familiari degli ostaggi bloccano le strade della Bekaa con barricate di detriti accusando il governo di non fare abbastanza per liberare i loro cari. Rischi di guerra civile? Di sicuro, questo vento d’anarchia che spira sul Libano è un successo per le bande jihadiste che hanno scatenato l’offensiva nel Nord del paese avendo due obbiettivi, dice l’analista militare di As Safr, Alì Ashem: «Rompere l’accerchiamento di Arsal e seminare la discordia nei ranghi dell’esercito tra sciiti e sunniti». Ora, l’esercito sembra tenere, ma il tessuto sociale è a pezzi. Così come colpire gli Hezbollah, punendoli per la loro partecipazione alla guerra in Siria a fianco del regime di Assad, era lo scopo della lunga serie di attentati messi a segno tra l’ottobre del 2013 e il marzo del 2014 nella banlieue sud di Beirut, alla stessa stregua il partito di Dio resta l’obiettivo politico immediato della campagna di Arsal. Sono stati i vertici di Hezbollah, infatti, a permettere all’esercito libanese di tornare a presidiare il confine nord con la Siria per stroncare il traffico di miliziani jihadisti e di armi, dopo la conquista della regine limitrofa siriana del Qalamoun. Secondo una fonte vicina al leader Hezbollah, Hassan Nasrallah, l’ultima fase del piano per assicurare il confine consisteva nell’isolare Arsal, dove 35 mila libanesi residenti vivono circondati da 130 mila rifugiati, alcuni dei quali armati, dalle brulle montagne dell’Antilibano che si stagliano sopra la cittadina, roccaforte degli jihadisti. Su queste montagne gli islamisti hanno messo radici, al punto che, sostiene Alì Ashem, «avrebbero potuto occupare Arsal senza ricorrere alla guerra». E’ così che lo Stato Islamico, composto in gran parte da miliziani usciti incolumi dalla battaglia del Qalamoun della scorsa primavera ha deciso di attaccare Arsal. Stavolta, però, i seguaci di Baghdadi hanno avuto bisogno di ricorrere all’aiuto dei miliziani del Fronte al Nusra, i rappresentanti riconosciuti di Al Qaeda in Siria. Un’alleanza sorprendente ma spiegabile: per entrambi i gruppi Arsal, con le sue montagne, i suoi passaggi segreti tra una frontiera e l’altra e, dicono anche, con i suoi tunnel, era diventata questione di vita o di morte. © RIPRODUZIONE RISERVATA