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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

ECLISSE DI LUCA

Lo chiamavamo Spigolo per quanto era ossuto al liceo Ginnasio Memeli, Roma Parioli, che frequentò per qualche tempo agli inizi degli anni Sessanta. Ma mai nomignolo di gioventù fu meno azzeccato per Luca Cordero di Montezemolo, l’incarnazione del morbido, il perfetto concavo, l’opposto del convesso, che nel mezzo secolo successivo ha ricoperto tutti i ruoli umanamente possibili, una specie di ircocervo, il mitico animale mutante che in natura non esiste.
Di nomignoli ne ha accumulati a dozzine, ma in fondo nessuno illustra le qualità e i difetti dell’uomo che traversò indenne ogni più piccola porzione della vita pubblica d’Italia: dal circuito di corse a Vallelunga a bordo di utilitarie truccate fino alla Ferrari vittoriosa nel mondo, da accompagnatore tuttofare di Gianni Agnelli a presidente della Fiat da tangentaro a fustigatore dei corrotti costumi nazionali, da pessimo giocatore di calcetto a vicepresidente della Juventus, da navigatore esperto di tutte le repubbliche a eterno politico in pectore, da presidente della Confindustria a imprenditore con scarsa fortuna, da sinistra a destra a destra e poi di nuovo sinistra, in un infinito crescendo rossiniano di ruoli che ne fa l’impareggiabile genio italico dei «tessitori di relazioni» in un’Italia piantata proprio sulla forza invincibile delle relazioni. Capitalismo di relazione, familismo amorale, persino proletariato degli agganci.
Altro che Libera e bella (meglio Montezuma, coniato da Susanna Agnelli), ulteriore nomignolo subito per anni a causa del ciuffo fintamente ribelle, che non coglieva affatto la specialità del prototipo montezemoliano. Per cui non vi aspettate da noi (purtroppo per ragioni anagrafiche eravamo allora al Mameli) una condanna senza appello dell’uomo che, nato di limitate fortune, ha frequentato donne bellissime, calcato salotti internazionali blindati ai più ed è diventato ricco a molte decine di milioni di euro (o centinaia?) suscitando l’invidia borghese dei compagnucci dei Parioli, tutti professioni e «Voglio ma non posso» coltivato nei circoli sul Tevere del cosiddetto generone romano. Sapete perché? Perché la caduta di Luca, che s’adonta se a 68 anni lo chiamano ancora Luchino, forse è in fondo per chi cerca di analizzare la società in cui vive, la fine di un’epoca, quella che ha visto funzionare il cosiddetto ascensore sociale solo per quei pochi che partivano già dall’ultimo piano, quello subito sotto l’attico. La famiglia Cordero di Montezemolo, pur con limitate risorse, veniva dall’entourage dei Savoia e se giovanotto Luca non avesse fatto le corse in Fiat 500 con Cristiano Rattazzi, figlio di Suni Agnelli, forse non sarebbe mai entrato nell’affetto sconfinato di Gianni Agnelli, nuovo re d’italia alla caduta della monarchia, il cui figlio maschio morto suicida era all’opposto della joie de vivre di Luca. Sarebbe stato magari una semplice copia di Giovanni Malagò, il concessionario romano di Ferrari e Maserati, suo grande amico, grande tombeur de femmes, che l’anno scorso ha fatto carte false per diventare presidente del Coni. Per la serie, come direbbe il Razzi di Crozza: «Senti a me, fatti furbo...».
Vi risparmieremo l’ulteriore anedottica sulla luminosa prima giovinezza di un capo, assai frequentata dalle cronache di questi giorni, per darvi un piccolo collage di eventi poco noti, ma utili a capire il tratto diciamo epocale della caduta (momentanea?) di Luca, a opera di Sergio Marchionne e di quel che resta della famiglia Agnelli, che da quarant’anni lo aveva adottato senza riserve. Scena prima: sono gli anni Settanta, Gianni Agnelli s’invaghisce della splendida attrice Rossana Podestà e la invita a cena, ma manda in vanscoperta il giovane Luca al ristorante il Passetto, vicino al Senato, dove spesso mangiava anche Craxi con la sua corte di nani e ballerine. I due commensali entrano dal retro, ma il superfotografo Umberto Pizzi, che già presidiava Roma, li becca. La mattina dopo lo chiama Montezemolo che vuole comprare le foto, poi vendute a prezzo di mercato a un giornaletto che mai le pubblicherà.
Per carità, l’episodio non fa giustizia su Luca, che è uomo intelligente, simpatico, intuitivo e abile, come poi nella sua vita ha dimostrato un’infinità di volte, non solo con le vittorie della Ferrari e con la procellosa navigazione alla presidenza della Confindustria, dopo che Berlusconi a Vicenza nel 2006 lo aveva messo in mora di fronte al popolo degli imprenditori. Ma se si vuole capire davvero l’indole di un uomo pur dotato di grandi qualità, bisogna guardare un po’ anche negli angoletti bui. Come quello del libro svuotato di Enzo Biagi. Svuotato per nascondere all’interno della copertina rigida i contanti. Luca non era ancora molto ricco, dato il tenore principesco di vita (era l’unico che d’estate a Lavinio si presentava in motoscafo per caricare le sorelle Carnacina). Così, per arrotondare lo stipendio da responsabile dello Relazioni Esterne della Fiat, accetta le lusinghe del finanziere Gianfranco Maiocco, foraggiatore dei partiti politici, soprattutto dei socialisti. Come andò lo racconta lui stesso al giudice istruttore Giangiacomo Sandrelli: «Fu nel corso del 1978 che Maiocco mi invitò ad accettare da lui del denaro. Il discorso fu nel senso di una riconoscenza a me per quanto avevo fatto (presentargli personaggi importanti in Fiat e fuori). Io rammento con precisione due versamenti, uno di cinquanta milioni circa e un altro di trenta milioni (lire). Il primo fu sicuramente effettuato in contanti (la consegna avvenne in un libro vuoto, se ben ricordo di Biagi), il secondo quasi certamente in contanti». A dir poco, un bel gruzzoletto negli anni Settanta per cominciare a diventare ricchi. Luca portò a sua discolpa l’ingenuità della giovane età e l’Avvocato, come sempre lo perdonò mandandolo alla Cinzano, un’azienda controllata allora dalla Fiat. Ma non Cesare Romiti che dichiarerà pubblicamente: «Abbiamo pescato in Fiat un paio di persone che prendevano denaro per presentare qualcuno all’Avvocato. Uno dei due l’abbiamo mandato in galera, l’altro alla Cinzano». L’ostilità di Romiti verso Montezemolo non cesserà mai, tanto che anni dopo il sottoscritto, nell’ufficio romano della Fiat, assistette sconcertato a un vero e proprio terribile cazziatone, che Luca, serafico, assorbì, con un incredibile aplomb. Come aveva assorbito anni prima il «dubbio amletico» di Bettino Craxi, che in una cena a casa della cantante Caterina Caselli aveva chiesto a Romiti, presenti Luca e Berlusconi: «Senta Romiti, lei mi deve dire una cosa: ma tra questi due chi e il più bugiardo?». E Romiti: «Concordo con lei che sono due grandi bugiardi, ma se proviamo a tirare una moneta in aria sono sicuro che cadendo rimarrebbe dritta».
L’Avvocato perdona sempre Montezemolo non solo per il libro vuoto di Biagi, ma anche per il fallimento alla vicepresidenza operativa deIla Juventus e per il naufragio della Rcs-Video, non rinnegandogli mai l’affetto quasi paterno, anche se ripeteva spesso: «Adesso voglio vedere cosa farà Luca da grande». Luca, da grande, alla morte dell’avvocato e del fratello Umberto, prese il suo posto a presidente della Fiat per la volontà della famiglia residuale, finché il ciclone Marchionne non lo travolse, fino a licenziarlo anche dalla Ferrari in pubblico, come è avvenuto due settimane dal workshop dei poteri forti morenti – se non già sotterrati – che si svolge ogni anno in quel di Cernobbio, a perpetua conferma della rendita di posizione del signor Ambrosetti – tipo quella di Luca che lucrava sulla presentazione di improbabili imprenditori all’Avvocato – il quale offre a caro prezzo una passerella per supermanager provinciali. Come per niente affatto è Luca di Montezemolo, che mondato di tutti i peccati dal defunto re capitalista, quasi settantenne conserva la sua vitalità indefessa, che lo portò alla presidenza della Confindustria a dispetto di Romiti, a farsi imprenditore (di scarso successo) prima alla poltrona Frau e ai profumi, poi alla Ntv, la compagnia di treni privati che doveva far dimenticare l’Italia dei monopoli assistiti, ma che non è riuscita a decollare, impiombata anche da manager non indiscutibili, ma amici o amici degli amici. Come peraltro non decollò la discesa in politica, annunciata come un noiosissimo mantra per anni e anni e diventata la ripetitiva discesina di Luca, mai veramente attuata, se non con l’esperienza più o meno fallimentare di Italia Futura.
Ma come fai a contabilizzare tra i fallimenti la convinzione di uno che come Luca ha visto realizzarsi tutto nella vita, al di là di ogni reale concezione meritocratica, e che alla fine si era persino convinto che poteva fare il nuovo Berlusconi del prossimo ventennio? Forse con Matteo Renzi, che ha quasi la metà dei suoi anni, le velleità montezemoliane si sono ammorbidite. Luca ora sa che non sarà lui l’uomo della provvidenza, né, tantomeno, lo sarà il suo amico Corrado Passera. Al massimo, il nuovo partito Italia Unica, lo chiameranno Italia doppia, Corrado e lui. Ma se gli arabi lo vorranno alla presidenza non operativa (una volta si diceva «di campanello») dell’Alitalia, crediamo che faranno un vero affare con l’avvocatino di panna montata raccontato tanti anni fa da Eugenio Scalfari.
Alberto Statera