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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

IL FIGLIO SAPEVA DA LUNEDÌ: “ORA TUTTI ZITTI”

Bocche cucite, toni bassi, tendenza a sminuire. Quando arriva la notizia che il padre di Matteo Renzi, Tiziano, è indagato dalla Procura di Genova per bancarotta fraudolenta, a Montecitorio non c’è uno del Pd che parli di giustizia a orologeria o vendetta dei magistrati, come fanno invece Forza Italia e Ncd. Eppure è strisciante, tra i renziani, il sospetto che l’indagine su Tiziano Renzi sia l’effetto del duro braccio di ferro aperto tra il presidente del Consiglio e la magistratura sulla riforma della giustizia. Ma il premier silenzia i suoi: non c’è nessun complotto, nessuna giustizia a orologeria, la giustizia farà il suo corso e in ogni caso c’è la massima serenità che l’inchiesta si risolverà in un nulla di fatto.
“Un fatto privato. Pd e governo non c’entrano”, dice solo David Ermini, renzianissimo neo responsabile Giustizia del Pd. La linea, insomma, è di tenere bassa la polemica, evitare di dire troppo, cercare di far passare il più possibile la notizia sotto silenzio. Ma il problema di come reagire a livello comunicativo se lo pongono, eccome. A Firenze c’è una riunione di avvocati, una sorta di war room per capire quali strategie mettere in campo. A Palazzo Chigi si vede entrare il guardasigilli, Andrea Orlando (“Renzi non l’ha nemmeno visto, era lì per altri motivi”, spiegano però i suoi). Ma lo stesso Matteo, Luca Lotti e lo spin doctor portavoce, Filippo Sensi, cercano di capire come gestire la notizia. A un certo punto, si diffonde la voce che ci sarà addirittura una nota ufficiale. Poi, invece, esce solo una nota di Renzi senior.
A Tiziano l’avviso di garanzia è stato notificato lunedì sera. È di martedì il discorso al Parlamento, in cui il premier aveva usato toni forti per ribadire una posizione garantista: “Arrivare a sentenza preventiva sulla base dell’iscrizione nel registro degli indagati è un atto di barbarie. Noi aspettiamo le indagini e rispettiamo le sentenze”. E poi si era lanciato in un’aperta difesa di Eni contro “gli avvisi di garanzia citofonati ai giornali”. Renzi sapeva già dell’indagine a carico di suo padre? Difficile pensare il contrario. Anche se commenta chi li conosce entrambi: “Può darsi che Tiziano non gliel’abbia detto, per non farlo arrabbiare”.
A Montecitorio ci si interroga: a chi conviene indebolire il premier, a prescindere dalle questioni aperte con i magistrati. In un momento in cui Renzi piace meno all’intellighenzia nazionale e i magistrati sono sotto attacco continuo, difficile non prendere in considerazione la teoria del complotto. Ma nessuno la cavalca. Meglio il silenzio.
Wanda Marra, il Fatto Quotidiano 19/9/2014