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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

LE CONSEGUENZE DEL DIBATTITO SUI RISPOSATI

Era prevedibile che la questione dei credenti divorziati risposati provocasse uno scontro di posizioni ai massimi livelli ecclesiastici. La posta in gioco è seria. Nella sua sostanza teologica o dottrinale tocca il nesso tra eucarestia e matrimonio, presentato in modo perentorio.
Come contraccolpo è messa in discussione l’operazione ermeneutica e semantica iniziata da Papa Bergoglio. Sin dalle prime uscite del Pontefice «venuto dalla fine del mondo» si è capito che il loro punto critico sta nella tensione tra dottrina tradizionale e le nuove esigenze pastorali. Queste sono espresse in un linguaggio che pur nella sua schietta ortodossia (compresa l’insistenza sul concetto di «misericordia») ha potenziali innovativi incontrollabili. Il resto lo fa lo straordinario successo mediatico di Papa Francesco che ha intimidito i suoi critici. Ma una parte consistente della struttura ecclesiale è rimasta inerte.
Questa fase è finita. Siamo alla prima aperta contestazione della linea di Bergoglio – o meglio al primo chiaro ammonimento da parte di autorevoli uomini di Chiesa affinché il Pontefice non proceda su una strada considerata pericolosa. La questione specifica dei divorziati risposati infatti ha acquistato priorità pastorale perché contiene implicitamente sviluppi più radicali.
E’ vero che Papa Francesco ha soltanto chiesto un aperto e schietto dibattito su una problematica complessa e controversa, qual è quella presente nel concetto di famiglia e matrimonio oggi, a partire dall’esperienza e dal vissuto quotidiano. Ma nel discorso mediatico, o forse solo nell’immaginario pubblico, si attribuiscono a Papa Francesco posizioni tanto innovative da mettere in allarme i custodi della ortodossia. Anche questo è tipico del bergoglismo.
Ma vediamo più da vicino le posizioni contrapposte espresse in queste ultime ore da due autorevoli rappresentanti della gerarchia, rispettivamente i cardinali Kasper e Scola.
La formulazione delle loro tesi tocca la sostanza del problema che è – ripetiamo – innanzitutto dottrinale o teologica. Da essa discende una significativa differenza nella concezione dell’autorità (disciplinare) della Chiesa nei riguardi dei fedeli.
Inutile dire che il punto indiscutibile di partenza per entrambi i porporati è l’indissolubilità del matrimonio sacramentale. Significativamente differente invece è il giudizio sul matrimonio fallito – un dettaglio tutt’altro che trascurabile per i ragionamenti che seguono. Mentre il cardinale Kasper (e anche Papa Bergoglio, se non erro) parla di fallimenti matrimoniali incolpevoli, di cui prendono matura consapevolezza i coniugi, il cardinale Scola, pur con tutta la comprensione per il dolore e le ferite di una esperienza matrimoniale fallita, attribuisce in ultima istanza alla Chiesa il diritto di giudicare la natura di un fallimento matrimoniale. Rilancia quindi l’idea tradizionale dell’annullamento da parte della Chiesa.
Evidentemente ai coniugi è negata la maturità e la capacità autonoma di giudicare la propria esperienza. I procedimenti di annullamento dovranno essere più snelli e ben comprovati, dice Scola, ma rimane il principio che chi giudica e decide è sempre l’autorità ecclesiastica. Non il semplice fedele.
A monte di questa visione c’è una concezione del significato e del valore del sacramento eucaristico e dell’idea della «misericordia» sensibilmente diversa da quella espressa da Kasper. Quest’ultimo infatti fa del sacramento un «segno e strumento della misericordia di Dio» e ritiene che il cristiano in difficoltà abbia bisogno dei sacramenti come di una «zattera per sopravvivere». Ribadisce l’impossibilità di un secondo matrimonio sacramentale, ma parla di «mezzi sacramentali necessari al cristiano» proprio nei momenti in cui cerca una soluzione positiva (una nuova chance) al fallimento del proprio matrimonio. Non c’è dubbio che questa è una interpretazione dottrinaria innovativa.
Ad essa replica Scola mettendo in gioco «la differenza sessuale» (con un ragionamento il cui nesso non mi è personalmente chiaro) ma soprattutto insistendo sulla relazione intima e univoca tra matrimonio ed eucarestia, che esige l’intervento competente dell’autorità ecclesiastica nel senso detto sopra.
Naturalmente le riflessioni dei due porporati sono più complesse di quanto non abbia qui riferito.
Ma le due posizioni sono significativamente differenti a partire dai loro assunti teologici e/o dottrinari. E’ difficile dire se in un dibattito, che potrebbe seguire ora, saranno ulteriormente approfondite con maggiore precisione o non si cercheranno illusorie convergenze nominalistiche. Decisiva sarà la parola del Pontefice. Potrebbe essere la prova più impegnativa per la sua nuova ermeneutica.
E’ chiaro che tutto questo interessa innanzitutto i fedeli della Chiesa. Ma i laici non sono indifferenti ad una nuova maturità del mondo cattolico sui temi cruciali della famiglia e del matrimonio.
Gian Enrico Rusconi, La Stampa 19/9/2014