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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

MA RENZI TIRA DRITTO E AVVERTE I PRO ARTICOLO 18 “VOTIAMO IN DIREZIONE E POI TUTTI SI ADEGUINO”

ROMA.
Il dado è tratto. Sulla riforma del lavoro Renzi intende «andare dritto come un mulo». Riformando tutto lo Statuto dei lavoratori, compreso dunque l’articolo 18.
La strategia per superare le resistenze e i niet della minoranza del partito è mutuata dal «metodo» vincente con cui il segretario è riuscito a portare a casa (in prima lettura) la riforma elettorale e quella costituzionale. Un «metodo» che passa dal partito, anzi dalla supremazia politica del partito sui gruppi parlamentari. Non casualmente, visto che in Direzione i renziani sono la maggioranza mentre i gruppi - specie a Montecitorio - sono la ridotta delle truppe bersianian-dalemiane. Dunque si partirà con una Direzione ad hoc sul Job’s Act già stabilita per il 29 settembre. Quella sarà la sede dello scontro. «Facciamo la Direzione - spiega il premier ai suoi - e poi si decide. Il resto sono tutte chiacchiere, ipotesi, critiche che non mi preoccupano. Io non cedo di un millimetro. Nessuno pensi che su questo punto mi possa fermare».
L’occhio di Renzi è puntato sull’8 ottobre, quando a Milano si terrà la conferenza dei capi di Stato e di governo Ue sul lavoro, un appuntamento a cui intende presentarsi avendo portato a casa la prima lettura della legge delega in Senato. «Abbiamo gli occhi di tutto il mondo puntati addosso», ripete in queste ore il capo del governo. Consapevole che - giusto o sbagliato che sia - la credibilità del paese sia legata alla capacità di rivoluzionare un mercato del lavoro ingessato. E infatti sul tavolo resta l’arma del decreto legge. Lo strumento più efficace per dare risposte all’Ue e al vertice europeo confermato per il prossimo 8 ottobre. Lo conferma Filippo Taddei, il giovane economista che ieri ha ricevuto la delega sul lavoro nella nuova segreteria unitaria: «Qualora si arrivasse alla rottura del “patto repubblicano” nel partito si passerà a valutare l’alternativa alla legge delega. Non mettiamo il carro davanti ai buoni». Dove per «patto repubblicano» Taddei intende il rispetto della regola aurea secondo la quale le minoranze, in caso di voto della Direzione del partito, si adeguano alle decisioni.
Ma nessuno tra i renziani si nasconde le difficoltà di un passaggio che molti definiscono «storico». Renzi stesso, più che agli attacchi di Fassina, Bersani e Damiano, guarda con una certa preoccupazione alla reazione dei sindacati, già pronti a una dura mobilitazione contro la riforma del lavoro. Tanto che qualcuno si spinge a ipotizzare una stagione di scontro lacerante come quello che nel 1984 contrappose Craxi e Berlinguer sulla scala mobile. Non a caso Taddei invita a «non ridurre tutto a un referendum pro o contro l’articolo 18», allargando lo zoom al nuovo sistema di protezioni sociali con cui il lavoratore licenziato sarà accompagnato da un’azienda a un’altra.
Quello che invece a Renzi proprio non va giù è questo nuovo ribollire di «incontri, riunioni di corrente, cene carbonare» che sta animando la minoranza. Il dito è puntato contro Massimo D’Alema e Pierluigi Bersani. «Siamo alla follia e proprio nel giorno in cui io riunisco la segreteria unitaria con dentro i loro rappresentanti». Se da un lato l’opposizione interna rialza la testa, mostrando quanto breve sia stata la stagione di pax renziana imposta dal 40,8% delle Europee, sull’altro fonte il capo del governo aspetta di capire se l’intesa con Berlusconi sulla riforma elettorale si consoliderà nei voti parlamentari. Nonostante le promesse e le tante parole spese nel vertice di palazzo Chigi, il premier infatti si mantiene guardingo. «Non so fino a che punto fidarmi di Berlusconi, voglio vedere cosa faranno in commissione». I due si sono lasciati con l’intesa che lunedì da Forza Italia arriveranno risposte precise sulle proposte di modifica discusse nel summit: 40% di soglia per il ballottaggio, abbassamento clausole di sbarramento, capolista bloccati e preferenze. «Lunedì è il termine. Poi basta - avverte Renzi - , noi andiamo avanti comunque. Sulla legge elettorale si chiude».
A due giorni di stanza emergono intanto altri particolari sui contenuti del faccia a faccia con il leader di Forza Italia. Berlusconi avrebbe chiesto al premier di non «stravolgere» le leggi sulla giustizia approvate dal suo governo, in particolare la legge sul falso in bilancio e la prescrizione breve. «Non vuole confida un forzista che ha parlato con il capo - che la sua stagione sia vissuta come un periodo di leggi ad personam dopo le quali è arrivato un cavaliere bianco che ha cancellato tutte le brutture. Rivendica di aver fatto riforme che servivano alle imprese, per sottrarle al predominio delle procure». Ma Renzi pare abbia fatto finta di non sentire.
Francesco Bei, la Repubblica 19/9/2014