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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

L’OFFERTA DEL PREMIER: SOGLIA UNICA AL 5% E PREMIO ALLE LISTE ANZICHÉ ALLE COALIZIONI


ROMA — «Il colloquio è andato bene ma devo dare una risposta definitiva a Renzi lunedì»: lo ha spiegato Silvio Berlusconi ai fedelissimi che gli chiedevano come fosse andato l’incontro dell’altro giorno a Palazzo Chigi. E quella dell’ex Cavaliere sarà una risposta che potrà determinare una svolta per la legge elettorale e imprimere veramente un’accelerazione a questo provvedimento che, comunque, verrà incardinato in commissione Affari costituzionali del Senato la prossima settimana.
Già, perché durante il tira e molla sulle soglie, le percentuali e i quorum il presidente del Consiglio ha calato la sua carta: il premio di maggioranza potrebbe andare non alla coalizione ma alla lista. Questo potrebbe risolvere tutti i problemi che ci sono stati finora sugli sbarramenti da mettere alle forze politiche che si presenteranno alle elezioni. Se infatti Berlusconi accettasse questa opzione cadrebbe tutto il discorso sullo sbarramento al 4 per cento per i partiti che si alleano e all’8 per quelli che invece vogliono andare da soli. A quel punto, ovviamente, vi sarebbe una soglia unica per tutti, dal momento che non vi sarebbero più coalizioni. Una soglia del 5 per cento, per l’esattezza.
È un’ipotesi, questa, che non dispiace affatto al leader di Forza Italia, il quale va dicendo in giro da giorni: «Basta alleanze, questo esperimento lo abbiamo già fatto e non è andato bene». È un’opzione che mette Angelino Alfano e il Nuovo centrodestra di fronte a un bivio: tentare l’avventura con le altre forze del centro, correndo anche il rischio di non raggiungere quella soglia, oppure tornare a casa, da Berlusconi. È un’opzione che favorisce il Partito democratico nei suoi rapporti di forza con Sel. Difficilmente infatti Sinistra ecologia e libertà sarebbe in grado di raggiungere il 5 per cento da sola.
Se passasse uno schema simile il movimento di Nichi Vendola sarebbe costretto a percorrere la strada che è stata già indicata da alcuni suoi esponenti di spicco come Giuliano Pisapia. Non è un caso infatti che il sindaco di Milano si stia spendendo per arrivare a un matrimonio tra Sel e il Partito democratico. E per Renzi sarebbe un modo per non ripetere le esperienze dell’Unione e dell’Ulivo, con i loro strascichi negativi: l’alto tasso di litigiosità interna, i veti incrociati. Del resto, il presidente del Consiglio lo ha sempre detto: «Le forze politiche minori devono essere rappresentate in Parlamento ma non possono più avere potere di veto». E, indubbiamente, Sel inglobata nel Pd, quel potere non lo avrebbe più.
Ma c’è un terzo soggetto che trarrebbe vantaggio da una soluzione di questo tipo: il Movimento 5 Stelle. Finora, infatti, la debolezza dei grillini è sempre stata quella di essere una forza che non riesce ad aggregare attorno a sé altri soggetti politici e a dare quindi vita a una coalizione. Con un sistema siffatto, in cui il premio di maggioranza non andrebbe più a un’alleanza di partiti ma a una lista, il Movimento 5 Stelle avrebbe delle chances in più nelle elezioni politiche. E questo è un particolare di non poco conto. Perché se è scontato che i grillini non potrebbero mai siglare un’intesa con il Partito democratico e con Forza Italia sulla riforma della legge elettorale, è altrettanto scontato che, al di là delle dichiarazioni polemiche e delle accuse contro il «famigerato» patto del Nazareno, i pentastellati non alzerebbero le barricate al Senato per bloccare un ddl di questo tipo. Farebbero opposizione sì, ma nessun ostruzionismo duro e puro come per la riforma del Senato. E ciò consentirebbe a Renzi di portare a casa la riforma della legge elettorale in tempi relativamente brevi.
Certo, tutto è rinviato a lunedì, giorno in cui il patto dovrebbe chiudersi definitivamente. Ma Matteo Renzi appare abbastanza ottimista, tant’è vero che con i suoi non ha avuto dubbi nel confermare l’esito positivo dell’incontro con l’ex Cavaliere: «Con Berlusconi è andata bene». Assai meno entusiasti gli esponenti della minoranza del Pd, che con il bersaniano D’Attorre frenano sui tempi della riforma: «Che bisogno c’è di accelerare?». Altrettanto sospettosi gli alleati del Nuovo centrodestra che con Fabrizio Cicchitto chiedono di vederci chiaro su questo accordo in cui finora non sono stati coinvolti.