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 2014  settembre 19 Venerdì calendario

DOPO 50ANNI DAL NO DI MAO, I CINESI POSSONO CURARSI CON LA PSICANALISI

La chiamano la cura del parlare e quasi 50 anni dopo il divieto di praticarla, imposto da Mao, i cinesi hanno sempre più fame di psicoterapia.
I numeri, secondo una ricerca diffusa dall’Università di Shanghai, dicono che oggi almeno 16 milioni di cittadini cinesi soffrono di gravi disturbi mentali, 97 devono fare i conti con ansia e depressione, mentre altri 173 si sono visti diagnosticare problemi psichici più lievi. Non solo: ogni anno si contano 180mila suicidi e almeno due milioni di tentativi di togliersi la vita. «Con il tramonto del Maoismo» commenta l’etnografo Huang Hsuan-ying, che dal 2007 sta studiando l’esplosione della domanda di assistenza psicologica, «le persone hanno iniziato a cercare soluzioni al proprio disagio che non fossero solo materiali, nel tentativo di superare i traumi legati alla guerra, alle carestie, alla violenza della Rivoluzione Culturale. In più, il rapido passaggio a un’economia di impronta capitalista che si è verificato in Cina ha aggravato il carico, accelerando il cambiamento sociale e, di conseguenza, incidendo sui legami familiari e sul senso di identità delle persone.
La prima legge sulla tutela della salute mentale è entrata in vigore soltanto nel 2013, dopo un iter durato ben 27 anni, mentre, data la situazione, il lavoro di Sigmund Freud tornava prepotentemente in auge. I suoi scritti erano stati tradotti in cinese già negli anni Venti, ma nel 1966 la pratica della psicoterapia era stata totalmente bandita, lasciando in piedi solo i servizi di psichiatria. Anche questa impostazione fortemente medicalizzata, però, lascia a desiderare. Secondo Zhao Xudong della Tongji University di Shanghai, ci sono oggi circa 20mila psichiatri nel Paese, ma negli anni a venire ne serviranno almeno centomila. Un obiettivo non esattamente dietro l’angolo, considerato che sono solo tremila gli si studenti che in tutta la Cina stanno completando il percorso formativo in questo ambito.
D’altra parte, si discute pure del fatto che diventare psicologi sia troppo facile. Sono infatti circa 400mila i consulenti iscritti all’albo tenuto dal ministero del Lavoro, ma esistono molte differenze, a seconda della provincia in cui si studia, sulla validità della formazione ricevuta e sull’impegno richiesto per sostenere gli esami. Inoltre, gli aspiranti psicologi non sono incoraggiati da ciò che li aspetta fuori dalle aule universitario: le sedute, se svolte nell’ambito di una struttura pubblica, sono ricompensate con tariffe orarie attorno agli otto euro, mentre in privato possono arrivare a dieci volte tanto. Peccato che costruirsi una clientela non sia affare scontato: se in Occidente, la costruzione di una personalità più forte è un obiettivo condiviso, questo risulta in forte contrasto con la cultura locale che esalta invece il superamento del sé in favore dell’insieme della società. Per non parlare della riottosità di molti pazienti a esprimere i propri sentimenti, ma anche nel rispettare 1’impegno di un appuntamento fisso settimanale. O la sorpresa di fronte al fatto che la cura, spesso, non consista nel prendere medicine, ma, appunto, solo nel parlare.