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 2014  settembre 18 Giovedì calendario

CAMPRIANI, MISTER BANG-BANG, QUANDO L’AGONISMO FA STAR MALE

Un po’ aveva ragione Alberto Tomba, «perché pure io ritengo che l’agonismo dopo un po’ generi saturazione». E un po’ ce l’ha Bode Miller, lo sciatore perfezionista secondo il quale l’appagamento non è tanto la vittoria quanto la consapevolezza di aver gareggiato provando gioia. «Condivido il pensiero di Bode» dice Niccolò Campriani, uno degli eroi azzurri dei Giochi di Londra, l’uomo che due anni fa con la carabina vinceva un oro e un argento e che adesso sta scoprendo il malessere dell’agonismo, dopo un Mondiale così così e a dispetto della qualificazione per Rio 2016 ugualmente conquistata. «È uno stato di sofferenza vera. Può condurre a brutte derive, come il doping o la depressione. Però, per fortuna, io sono guidato da persone “giuste”, come Petra (ndr, la Zublasing, sua fidanzata, a sua volta tiratrice e neo-campionessa iridata) o come Edward Etzel, lo psicologo che mi segue».
Etzel gli ha inculcato una frase che il nostro Mister bang-bang ha trasformato in una bussola: «La vita non è aspettare come passa la tempesta, ma è imparare a ballare sotto la pioggia», dice Niccolò. Da che cosa nasce il suo disagio? Più che dal risultato sportivo o dalle nuove regole che a lui ed altri tiratori non piacciono, dalle domande che nascono da una sconfitta. Anzi, dalla domanda con la «D» maiuscola: che cosa ancora può dargli il tiro? «Vincere una medaglia a me non basta; a me interessa godermela. Una volta che mi diverto, vedo anche un senso in quello che faccio: il successo è una conseguenza, non un obiettivo».
Le novità nel format del tiro hanno un peso nell’insoddisfazione di Campriani. «Si è pensato allo show. Comprensibile, ma noi atleti avevamo proposto altro: sarebbe bastato lavorare sulla tecnologia, per rendere più comprensibili le gare e per condividere la fase di puntamento, nella quale il tiratore non è affatto immobile. Ci hanno ascoltato, ma non ci hanno dato retta». Eppure, non è questo il punto: «Per le mie caratteristiche, ci ho rimesso, anche se non dico che chi mi ha battuto è stato fortunato. Semplicemente, il tiro per me era ricerca della precisione e della completezza: oggi non è più così. Mi adatterò, certo: ho 26 anni, non posso non essere flessibile; tra l’altro, prima del Mondiale, ho vinto tre gare su cinque, dunque so ancora come si fa. Tuttavia sono cambiate le sensazioni: ricevo i complimenti, ma non sono felice; provo più sollievo per aver finito che piacere per aver vinto».
Il sottile disagio di Niccolò Campriani, ragazzo sensibile, sta qui. Ci sono conseguenze a cascata, ma anche delle opportunità: «È un malessere costruttivo, mi spiega che devo affiancare qualcosa al tiro. Da quando mi sono dedicato solo a sparare, sono peggiorato». Mister bang-bang parla di igiene mentale e della necessità, di tanto in tanto, «di rammentare chi sei. Ad esempio, mi sono ricordato di essere anche un ingegnere». La laurea racchiude una lezione di vita che tornerà buona: «Dicevano che era impossibile conciliare sport e studio: ho risposto andandomene in una università americana». Traduzione: è un cocciuto, non è il tipo che molla. «Vero. Più ingoio e più vado avanti: io sono fatto così. E i Giochi di Rio, a prescindere dal risultato, potranno farmi crescere ancora».