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 2014  settembre 18 Giovedì calendario

SONO SEMPRE INNAMORATO

[Intervista a Rocco Papaleo] –

Rocco Papaleo mi dà appuntamento a casa. Abita all’ultimo piano di un palazzo popolare, in un popoloso quartiere romano. Apre la porta e l’appartamento è tutto lì: un letto, un tavolo e un cucinino; al massimo saranno venti metri quadrati. C’è un terrazzo però, quello sì grande, e lì ci sistemiamo per l’intervista.

Vive solo?
«Sì, ma al piano di sotto ci abitano mio figlio e la mia ex moglie. Lei ha un compagno, io da poco una fidanzata, però andiamo tutti molto d’accordo: siamo uno splendido esempio di famiglia allargata».

Non succede spesso che Papaleo parli di sé. Saranno i 56 anni appena compiuti, sarà che negli ultimi sei della sua vita ha realizzato tutto quello che desiderava. Fatto sta che la nostra conversazione, nata per parlare della Buca, il film di Daniele Ciprì (al cinema dal 25 settembre) in cui recita in coppia con Sergio Castellitto – Sergio è Oscar, un avvocato che prima tenta di fare causa ad Armando (Papaleo) per il morso del suo cane, poi scopre che il poveretto ha scontato 25 anni di prigione ingiustamente e diventa il suo legale in una causa contro lo Stato –, diventa un bilancio sincero della sua vita.
Quest’anno al cinema, lo vedremo in altri due film: quello di Luca Miniero, La scuola più bella del mondo, dove interpreta un professore, e nel remake italiano, girato da Francesca Archibugi, del franco-belga Cena tra amici (Le Prénom), che lei ha intitolato Il nome del figlio. I cinque attori italiani che se ne diranno di tutti i colori sono, oltre a Papaleo, sono Alessandro Gassmann, Luigi Lo Cascio, Valeria Golino e Micaela Ramazzotti.

Si è sposato una sola volta?
«Sì, a 40 anni. Lei era una scenografa svizzero-italiana di 34 ann. Un bell’incontro da cui è nato un figlio e, subito dopo, un matrimonio. Ma altrettanto civilmente, qualche anno dopo, ci siamo separati».
Perché?
«È scemato il brivido, la spinta emotiva».
Mai pensato di restare insieme per il figlio?
«No. Lui era molto piccolo, lei una gran donna. E il fatto che il matrimonio sia fallito non significa che per me non fosse importante. Alla mia ex moglie sarò legato per sempre, anche come artista: è la scenografa dei miei film. Porto ancora la fede, l’ho spostata a destra però».
Il brivido con il tempo scema nella maggior parte delle relazioni, non trova?
«E io ne cerco subito un altro. Ho vissuto tutta la mia vita cercandolo; ancora oggi, alla mia età, alterno momenti di forti emozioni e staticità, che poi inevitabilmente porta al declino della relazione. È un brivido che ho sentito molto spesso, ma solo tre o quattro volte è stato corrisposto».
Non rischia, così, di far soffrire chi le sta accanto?
«Non sono il galletto nel pollaio, ho molto rispetto per le mie compagne. E poi ci sono tante donne che si comportano come me».
La sua popolarità tra il pubblico femminile è salita dopo il Sanremo che ha fatto nel 2012 con Gianni Morandi.
«Ero molto “io”, un ragazzo di paese sbarcato all’Ariston, il palcoscenico per eccellenza. Ma la mia popolarità con le donne è pur sempre modesta, mica come quella di Scamarcio: nel mio ultimo film, dove recitava lui, ho dovuto mettere le transenne per arginare le fan».
Diceva delle donne che cambiano partner. In genere, però, la donna che ha figli cerca stabilità.
«È vero. Sono femminista, ma è indubbio che biologicamente ci siano delle differenze. Detto questo, io a mio figlio sono molto legato, lo metto al centro della mia esistenza, anche troppo: sono dipendente, sentimentalmente parlando».
Non lo è dalle donne ma lo è da suo figlio?
«Assolutamente. Con lui siamo proprio nella dimensione dell’innamoramento, con gli alti e bassi emotivi».
Lui corrisponde?
«Sì, naturalmente con la distanza che mette un figlio dal genitore quando cresce. Mi rendo conto che abbiamo un rapporto erroneamente alla pari: dovrei fare di più il padre, invece sono un fiancheggiatore.
Non risparmio i monologhi e lui ascolta, ma mi preoccupo anche tanto».
Per esempio?
«Per la scuola: non ha voglia di studiare. A lui piace la musica, suona la batteria».
È vero che ha rinunciato a recitare con Woody Allen per fare un viaggio in America con suo figlio?
«Sì, ma non è stata una rinuncia pazzesca: era un film corale, To Rome with Love, avrei dovuto recitare un giorno solo ma non si sapeva quale, sarei dovuto essere disponibile tutto agosto e io avevo programmato con lui questo viaggio alle Hawaii, 18 ore di volo. Ho detto no grazie».
Viaggiare le piace?
«No, l’ho fatto per mio figlio. E poi viaggio tanto per lavoro».
Questa fidanzata che ha adesso è più giovane?
«42 anni. Anche lei lavora nel mio ambiente, fa la costumista. Viaggia più di me, è una velista. Io al massimo mi posso comprare una barchetta al lago vicino a Capranica, dove ho appena preso una casetta».
La sua compagna ha figli?
«No».
Se glieli chiedesse?
«È un po’ presto per parlare di queste cose, ci frequentiamo da poco. Fare un altro figlio per me, magari l’anno prossimo, vorrebbe dire che quando lui ne dovesse compiere 20, io ne avrei 77, troppi. Questo mondo e il futuro mi sembrano preoccupanti, un figlio vorrei accompagnarlo il più a lungo possibile. Ma non escludo niente nella vita».
Professionalmente, invece, ha rimpianti?
«No, sono andato oltre ogni mia aspettativa, avrei messo la firma su molto meno. Desideravo solo non passare inosservato e invece sono stato considerato più di quello che sono: secondo alcuni, un grande attore. Ma i grandi sono altri: Favino, Castellitto, Rossi Stuart, Germano. Io ho solo molta esperienza».
Da dove viene questa modestia, dalle sue origini familiari?
«La mia idea del lavoro, da ragazzo, non era così eccitante: mio padre lavorava all’ufficio delle imposte e tornava a casa sempre con il mal di testa. Per me lavorare equivaleva ad avere mal di testa. Pensavo che avrei scelto un mestiere concreto. Che avrei realizzato il mio spirito attraverso gli hobby».
Invece?
«Mi ha cambiato la vita l’amica che mi ha iscritto a un corso di recitazione mentre studiavo matematica all’università. Sono contento che mio padre mi abbia visto in Tv prima di morire. Avevo 30 anni e, per uno strano gioco del destino, la notte del 1989 in cui è morto, io e mia madre eravamo in salotto a vedere la puntata di una serie in cui per la prima volta ero protagonista. Quando avevo 50 anni, ho voluto immaginare la vita che avrei fatto – maestro di matematica in Basilicata e musicista nel tempo libero – nel mio primo film da regista, Basilicata coast to coast».
Pensa che sarebbe stato più felice o meno felice?
«Non sono così sicuro che sarei stato meno felice. Il dubbio mi viene perché, quando una passione non diventa una professione, resta più pura. Mi sento davvero realizzato solo quando recito strofe di poesia sopra la musica».
Recitare non le piace?
«Il cinema mi annoia abbastanza, mi sento imploso: pochi momenti di guizzo, lunghe attese. Tutto cambia, certo, quando il film lo dirigo io».
Si è annoiato anche a recitare con Sergio Castellitto? A vedere La buca non sembrerebbe: sembrate Jack Lemmon e Walter Matthau.
«Quella è una delle poche eccezioni che capitano in una carriera: lavorare con dei grandi come Ciprì e Castellitto. Con Sergio era la prima volta che recitavo, è davvero molto affascinante. Tra noi è nato un rapporto bello e profondo, la stessa situazione che si crea tra un uomo e una donna quando si piacciono: vuoi sempre parlargli, colpirlo».
C’è qualcosa che non ha realizzato?
«Fare un terzo film da regista, ma ci sto già lavorando. Poi vorrei tornare nella mia terra, la Basilicata, e mettermi a servizio per cercare di contribuire in minima parte allo sviluppo del Sud, magari come direttore di un Teatro Stabile. In Meridione serve una rivoluzione, bisogna cambiare mentalità. Spero di avere le palle».