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 2014  settembre 18 Giovedì calendario

SI PUÒ FARE MEGLIO

[Intervista a Beatrice Borromeo] –

Principesse e regine, ma della ’ndrangheta. Donne che ordinano omicidi passionali, trafficano in armi, comandano il clan, più crudeli dei mariti finiti in carcere. Madri che creano eserciti privati con i figli tossicodipendenti, cui iniettano la dose per renderli dipendenti dall’eroina e governare meglio il mercato della droga, la stessa che hanno imparato a impastare da ragazzine nel bagno di casa. Sono le «Lady ’ndrangheta» protagoniste dei primi due documentari di SkyTg24 che Beatrice Borromeo, giornalista del Fatto Quotidiano lanciata da Michele Santoro ad Annozero, ha realizzato per la Wildside di Lorenzo Mieli («Se non fosse intervenuto lui con il suo pragmatismo, non credo che avrei terminato il lavoro»). E li ha realizzati con l’aiuto di un «collaboratore» molto particolare, di cui qui parla per la prima volta.
 Nome e cognome, Pierre Casiraghi.
Perché ha scelto proprio le mafiose per il suo ritorno in Tv?
«Un paio di anni fa, per la tesi del mio master in giornalismo alla Columbia University, ho presentato un lavoro sul traffico di cocaina che dal Sudamerica arriva in Italia via New York. Avevo aperto dei contatti con Fbi e Dea e con Nicola Gratteri (procuratore a Reggio Calabria, consigliere della commissione parlamentare antimafia, ndr). È lui che mi ha raccontato dello strapotere femminile nella ’ndrangheta, la più potente mafia del mondo, con un giro d’affari di 40 miliardi di euro l’anno».
Come ha cominciato?
«Mi sono confrontata con colleghi che ne sanno più di me: Enrico Fierro, Enzo e Nuccio Ciconte. E la chiave della società matriarcale nella mafia calabrese è piaciuta a Newsweek che ha finanziato l’inizio delle riprese, portate avanti con il Oren Jacoby (regista di documentari, candidato all’Oscar, ndr). Abbiamo cercato di rompere lo stereotipo del padrino: mostriamo figure di donne che dalle inchieste emergono spietate e sempre protagoniste delle faide».
Protagoniste in che senso?
«Un esempio fra i tanti: se subiscono un lutto, rifiutano di avere rapporti sessuali con il marito, esasperano l’ambiente familiare colpevolizzando tutti, fino a quando non viene accettato il loro ordine di vendetta».
I suoi documentari, nello specifico, di chi raccontano la storia?
«Il primo documentario ripercorre le vicende di Marisa Merico Di Giovine, “la principessa della ’ndrangheta”, e di sua nonna Maria Serraino, “mamma eroina”, tra le prime donne in Italia a prendere l’ergastolo per mafia. A Milano, negli anni Settanta, comandava il racket di stupefacenti dal suo appartamento in piazza Prealpi, grazie all’esercito dei dodici figli partoriti sul tavolo della cucina, e allevati per diventare spacciatori».
Le ha incontrate?
«Certo. Marisa è stata condannata a 10 anni per riciclaggio e associazione mafiosa. Per un cavillo nell’estradizione è rimasta libera a Blackpool, la città natale della madre, che era inglese. Ora il mandato di cattura internazionale è andato in prescrizione e io l’ho convinta a tornare in Italia per rivedere la nonna, che è rientrata nella casa di famiglia a Milano perché gravemente malata».
Una carrambata.
«Piuttosto pericolosa. Il padre di Marisa, Emilio Di Giovine, è diventato testimone di giustizia come sua sorella Rita, che hanno tentato di assassinare tre volte. E c’è il rischio che cerchino di vendicarsi su Marisa».
Come l’ha trovata, la nonna?
«Convinta di essere uno strumento del Signore. Impressionante entrare in casa sua: candele, santini, tarantelle a tutto volume e lei che parla piano, come se avesse timore delle intercettazioni».
L’ha filmata?
«Sì, per qualche secondo, con il cellulare. Di più non potevo, non era il caso: troppo pericoloso. Però avevo un microfono nascosto per registrare la conversazione».
La nipote, invece?
«Comunicare con queste donne non è poi così difficile. In Marisa ho trovato anche momenti di apparente normalità, che svanisce quando la lucidità criminale arriva di colpo nel discorso».
Che cosa l’ha colpita di più?
«La doppiezza: queste persone sembrano normali, ma dentro hanno una mentalità davvero lontana dalla nostra. Sono sopravvissute alla loro coscienza. Giurano di avere rimorsi, ma in fondo sono solo incazzate per essere state beccate».
Sulla sua pagina Facebook, Marisa Merico scrive: «Non ci posso credere che è venuto a casa mia il nipote di Grace Kelly a fotografarmi e io non l’ho riconosciuto! E com’è simpatico!». Sta davvero parlando del suo fidanzato Pierre Casiraghi?
«Vero. Avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse con le foto. Pierre è bravo e ha accettato per curiosità».
Condividete le esperienze lavorative?
«Quando capita. A Pierre piace scoprire cose nuove e sbirciare in tutti i mondi».
Lui che lavoro fa?
«Si occupa di costruzioni, ha ripreso in mano le società del padre (Engeco e Monacair, ndr) e sta sviluppando un’idea abbastanza rivoluzionaria, che considera il suo bambino. È molto concentrato sui suoi progetti e ha saputo guadagnarsi la stima e il rispetto delle persone con cui lavora. Un ragazzo serio, ma con lui non ci si annoia: durante la nostra prima vacanza mi ha fatto lanciare con il paracadute».
Pierre ha partecipato anche al secondo documentario?
«No. Quella è una storia di tradimenti. Racconta di Angela Bartucca, “la mantide”. Moglie di Rocco Anello, boss di Filadelfia, provincia di Vibo Valentia. La signora spesso seduce i giovanotti che girano intorno al clan. E poi questi scompaiono misteriosamente. Come Santo Panzarella, che la madre cercava di tenere lontano dalla criminalità, ma finì per innamorarsi di Angela. Di lui dopo anni fu ritrovato solo l’osso della clavicola».
Che cosa pensa di avere imparato da questa esperienza?
«Mi sono domandata: se fossi nata in questi contesti, sarei stata diversa da loro? Non ne sono così sicura. Credo che si debba essere davvero speciali per marcare la differenza. Vincere il condizionamento familiare, in un clima così opprimente, è estremamente difficile».
Le sue sorelle da parte di padre sono Isabella, moglie del conte Ugo Brachetti Peretti, Lavinia, moglie di John Elkann presidente della Fiat, e Matilde, moglie del principe Antonius von Fürstenberg. Lei è l’unica donna della famiglia che lavora: perché?
«In realtà anche le mie sorelle seguono i loro progetti. Poi io non ho figli, e questo mi agevola. Ho passione, e il mio mestiere mi dà gioia. Ma più di tutto, non rinuncerei mai all’indipendenza economica. L’idea di dipendere dagli altri, che si tratti dei genitori o di un marito, mi terrorizza. Che poi è il motivo per cui da ragazzina ho fatto la modella».
Conseguenze?
«È una scelta che mi ha bollata, e della quale a volte mi sono anche pentita: ma a 16 anni non mi è venuta un’idea migliore per andarmene di casa».
Ora i suoi che cosa pensano di lei?
«Mio padre ha rinunciato ad arrabbiarsi per quello che dico o che scrivo. Si è proprio rassegnato, e infatti il nostro rapporto non potrebbe essere migliore. Oggi non ho problemi con la mia famiglia. Non ho più bisogno di dimostrare che la pensiamo in modo differente. Basiamo il nostro rapporto sull’affetto, non sul confronto. Ciascuno fa la sua vita, poi magari frequento di più persone con cui posso discutere e avere scambi, ma non vuol dire che non rispetti le opinioni che non condivido».
Si è ammorbidita, crescendo?
«Beh, sì. Quando vedo le mie sorelle con i loro figli penso “non potrei fare la tua vita”, ma ammiro la felicità che trasmettono. Vedo bambini stupendi, onesti, buoni, e mi rendo conto che crescere bene i propri figli è un modo per contribuire a rendere migliore la società futura. Un modo, probabilmente, superiore al mio».
La famiglia segue la sua carriera?
«Quasi nessuno legge quello che scrivo, a parte mia madre e mio fratello Carlo. E qualche volta Isabella. Papà sostiene che Il Fatto Quotidiano non arrivi a Valle Lomellina, dove vive. Cosa non vera: lo so perché ho controllato».
Ammetterà però che il suo cognome, e il network privilegiato che frequenta, l’hanno aiutata.
«Molto, soprattutto all’inizio. Penso che a Santoro interessasse proprio l’incontro tra due mondi, quello da cui provengo e quello che ho scelto. E anche oggi, grazie a Pierre, a mia sorella Lavinia e a suo marito John, mi capita di conoscere e intervistare persone straordinariamente interessanti, a cui altrimenti non avrei accesso».
Una sua debolezza professionale?
«Lavoro bene quando ho un trascinatore: trovarmi a fare i conti con me stessa a volte mi spaventa. È facile avere successo quando sei dentro un contenitore televisivo che funziona, circondata da giganti come Santoro o Travaglio. Davvero prima o poi impari, oppure sei proprio cretino. Però...».
Però?
«Tornata dal master a New York ho avuto un periodo un po’ difficile, ero molto sola. E ho deciso che non volevo più aspettare il mentore. Insomma, mi sono data una mossa».
E che cosa ha scoperto?
«Nulla di quanto io possa dire mi salverà dal pregiudizio nei confronti della mia doppia vita e dallo scetticismo che suscitano le mie contraddizioni. Me ne rendo conto: ci sono troppe cose che tolgono credibilità a quello che faccio. Se accompagno Pierre a un evento a Monaco e poi vado in Calabria a girare, non sempre mi prendono sul serio. Il che, spesso, è utilissimo perché abbassano la guardia. Oppure mi domandano, increduli: ma chi te lo fa fare di intervistare mafiose? Semplicemente, ormai me ne frego e faccio il mio lavoro meglio che posso».
Che cosa le dà più sicurezza?
«Essere riuscita a lavorare bene all’estero, dove non conoscono il mio nome e lo storpiano in “Beatraci Borromi”, mi ha convinta a non farmi più paranoie. Ho scritto per Newsweek e per il Daily Beast, e ora sto girando un documentario nella Silicon Valley: là nessuno sa nulla della mia famiglia, della mia vita».
Dal maggio 2008 è fidanzata con Pierre Casiraghi. È l’unica delle sue sorelle a non essere sposata. Non pensa neanche a un figlio?
«Sarei felice se Pierre diventasse il padre dei miei figli. So che sarebbe bravissimo, e che insieme potremmo creare una famiglia stabile. Però non siamo ancora a quel punto. Magari ne parliamo, ma abbiamo ancora un po’ di strada da fare prima di diventare genitori».
Parla di lui o di se stessa?
«In questo periodo sto lavorando molto su me stessa per migliorare il mio carattere ed essere pronta per crescere un figlio con l’equilibrio e la serenità che merita. Penso che ne parlerò davvero con Pierre quando sarò sicura di non ripetere certi errori che sono stati fatti con me».
A che cosa si riferisce?
«Molte delle cose che magari ti hanno fatto soffrire non è neanche giusto raccontarle ai giornali, servirebbe solo a riaprire ferite che ormai sono superate.Nessuna tragedia. I miei genitori sono stati presenti e mi hanno voluto molto bene. Certo, da piccola ho assistito a liti furibonde. Ma credo che i miei abbiano replicato dinamiche già vissute. E, in fondo, almeno non si sono ignorati. Ecco, con Pierre vedo l’opportunità di fare le cose meglio».
Ha paura di non riuscirci?
«La mia famiglia è stata molto incasinata: divorzi, separazioni, tradimenti. Per molto tempo è stata per me una divertente storiella da raccontare per impressionare gli amici. Lo dico senza rancore verso nessuno e sempre grata per ciò che ho ricevuto: vorrei una cosa diversa».
Scelga un ricordo di coppia.
«Io, Pierre e Uma, la nostra bastardina, in vacanza in Slovenia. Uma, chissà perché, ha cominciato a rubare i portafogli dalle mani dei turisti e a portarceli. Veramente imbarazzante. E Pierre non riusciva a non ridere, quindi lei continuava, tutta scodinzolante».
Come si trova a Monaco?
«Faccio la spola con Milano. Mi sono ambientata, lì scrivo e preparo i documentari, ma non potrei viverci a tempo pieno: non è il posto più semplice per lavorare».
In quanto fidanzata di un Casiraghi, che obblighi ha?
«Nessuno. Pierre ha un forte senso di responsabilità verso i pochi doveri che ha a Monaco, ma non li proietterebbe mai su di me. Non è interessato all’aspetto pubblico della nostra relazione».
Con la sua famiglia che rapporto ha?
«Mi sento a casa. Sono persone alle quali voglio molto bene. Se non parlo di loro non è perché non lo meritino, ma perché penso che gli farebbe dispiacere. Ci sono già fin troppe persone che ne raccontano».
Lei è una delle donne meglio vestite al mondo secondo Vanity Fair America.
«Per questo devo dire grazie a mia cognata (Marta Ferri, designer, moglie di Carlo Borromeo e figlia del fotografo Fabrizio Ferri, ndr): metà delle volte vado in atelier e le rubo un vestito. Mi rendo conto che è una grande fortuna: non compro mai gli abiti che indosso la sera per qualcosa di importante, me li prestano le case di moda, o li rubo a mia madre che fa la stilista anche lei. Diversamente non potrei comprarli. Non con il mio denaro».
Quanto guadagna?
«Come un redattore ordinario. Non ho rendite e cerco di non chiedere aiuto ai miei, anche se mi hanno dato una mano l’anno che ho studiato in America».
Però fa una vita che non assomiglia molto a quella del giornalista medio.
«Perché sono stra-privilegiata, ho accesso a posti e cose belle, ho potuto viaggiare, studiare, seguire le mie passioni senza la paura del futuro. Ma questa fortuna cerco di ripagarla. Dandomi da fare».