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 2014  settembre 18 Giovedì calendario

QUEL «SENTIMENTO» DELLE LASTRE CHE HA DATO PASSIONE ALL’ARTE


Se in Santa Sofia, a Costantinopoli, sostate perplessi davanti a un muro, ritrovando le tracce di antiche icone scomparse, è probabile che un cicerone si avvicini e vi spieghi quel che vi era sfuggito nelle venature del marmo: là è Maometto, laggiù un angelo, un drago... Le specchiature di marmo sulle pareti della grande basilica erano non meno importanti dei mosaici d’oro sulle volte. Con estrema cura i marmi sono accostati in modo da ottenere venature simmetriche, sontuose come drappeggi. Anche in chiese più modeste dell’antica Costantinopoli troverete quest’uso lussuoso dei marmi e dove, per economia, non furono impiegati marmi, i pittori s’ingegnarono a dipingerne le imitazioni in meravigliose pitture astratte, che troverete in tutto il mondo ortodosso, dal Kosovo a Kiev. Ma anche a Roma, nell’abside di Santa Agnese, in quella di Santa Cecilia, specchi di marmo proconnesio inquadrati da cornici formano la base dei mosaici del catino.
Quando, nel II secolo, s’incominciò a decorare le pareti con i marmi, Plinio disse che così si confondevano le pareti con i pavimenti. Era una grossa novità e con lastre di marmi diversi, tagliate in sagome, si ottennero connessi con figure. Intere basiliche furono ricoperte di marmi di diversi colori con figure, di cui gli esempi più illustri si trovano a Ostia o sullo scalone dei Musei Capitolini.
Furono però i Bizantini che scoprirono il fascino della lastra di marmo intera, senza infingimenti figurativi. San Marco, a Venezia, ancora stupisce per le simmetrie delle venature, la solenne bellezza della basilica di marmo. Nella cappella di Sant’Isidoro, persino in mosaico, negli sguinci delle finestre, s’imitarono gli astratti disegni delle lastre. A Venezia, Leon Battista Alberti fu affascinato dal colore naturale del marmo e sulla porta del Tempio Malatestiano volle lastre lisce di marmi colorati entro cornici di bronzo. Venezia conservava il fascino del marmo. Nella cappella dei Mascoli, nei primi decenni del Quattrocento, il trittico scolpito dai maestri lombardi di Carona è incorniciato da splendide lastre di marmo rosso.
Venezia all’inizio del Quattrocento fu la meta di artisti toscani, come Paolo Uccello, che vi era stato chiamato come mosaicista o Andrea del Castagno, del quale restano ancora testimonianze nella cappella di San Tarasio in San Zaccaria. I fiorentini guardarono quel mondo di marmi dei veneziani come una novità potenzialmente espressiva. Nel Cenacolo di Sant’Apollonia Andrea del Castagno collocò l’ultima cena in una sala rivestita di specchi di marmo. Nelle venature, improvvisi chiarori, gorghi e convoluzioni fanno pensare a lampi, nembi tempestosi, venti vorticosi e al linguaggio astratto e oscuro dei marmi è affidato il messaggio della tragedia incombente.
I veneziani avevano maggiore confidenza con i rivestimenti marmorei. Santa Maria dei Miracoli è appunto un miracolo di marmi e nessuno può passare col vaporetto sul Canal Grande senza ammirare il gioco dei marmi di Ca’ Dario. Nel ciclo di sant’Orsola di Carpaccio, i marmi fanno parte della storia, tale è la loro varietà, tanto vario è il loro impiego. Per la marmorea Santa Maria dei Miracoli Giovanni Bellini dipinse le ante d’organo, oggi alle Gallerie dell’Accademia. La Vergine riceve l’angelo in una sala tutta rivestita di lastre di niveo marmo spartite in rettangoli e le cui venature grigie fanno pensare alle nuvole. L’incontro tra Maria e l’angelo è già annuncio celeste.
Chi, fuori di Venezia, adottò una vera strategia del marmo, fu Piero della Francesca. Nell’affresco di Rimini, oggi purtroppo tolto dal sacello riservato per cui fu eseguito e irrispettosamente esposto nella navata, la reggia di san Sigismondo è tutta di marmo e il profilo di Sigismondo Pandolfo Malatesta vi si staglia come una tarsia. Poi, in fondo al corridoio del chiostro, nella grande tavola dell’Annunciazione che sovrasta il trittico di Perugia, pose una lastra col colore del cielo sereno, lo stesso marmo usato sul fondo della pala di Brera. Nel frammento di affresco con la testa di san Giuliano, ora nel museo di Sansepolcro, la lastra di marmo mischio che fa da sfondo è una tempesta di segni neri, verdi, bianchi.
Nell’arte bizantina e in quella italiana il marmo, pura e incontaminata materia, si è fatto portatore di senso, oltre che segno di ricchezza.