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 2014  settembre 18 Giovedì calendario

UNA PAGINA MAL CONOSCIUTA NELLA CRISI DEI MISSILI CUBANI


Concordo pienamente con la risposta data a un lettore circa le analogie, sia pure in parti invertite, tra la Cuba del 1962 e l’Ucraina del 2014. Accanto alle analogie, tuttavia, c’è qualche differenza che forse varrebbe la pena di ricordare. Intanto fu Fidel Castro a richiedere insistentemente a Kruscev (e non viceversa), tramite suo fratello Raúl appositamente spedito a Mosca nel luglio 1962, l’istallazione di missili sull’isola in funzione antiamericana. Richiesta evidentemente accolta con entusiasmo. È vero inoltre che di fronte alla determinazione di Kennedy, l’Unione Sovietica preferì rinunciare all’iniziativa che stava mettendo in pericolo la pace mondiale. Ma Mosca ottenne tali compensazioni da trasformare la ritirata militare in uno strabiliante successo politico. Infatti, oltre al ritiro dei missili americani dall’Italia e dalla Turchia, Kruscev incassò anche la formale rinuncia di Washington a futuri tentativi di invasione dell’isola e il riconoscimento definitivo dell’entrata di Cuba nell’orbita sovietica. Mi chiedo ora, nel caso l’Ucraina fosse costretta a rinunciare all’Ue e alla Nato, quali potrebbero essere le «compensazioni» per gli Stati Uniti e i suoi alleati? Mosca (come Washington nel 1962) non può pretendere di vincere su tutta la linea.
Domenico Vecchioni, Roma

Caro Vecchioni,
Approfitto della sua lettera per allargare il quadro con un episodio del periodo immediatamente successivo alla soluzione della crisi. Lei giustamente ricorda che Kennedy s’impegnò a non più tentare l’occupazione militare dell’isola: una storica decisione con cui gli Stati Uniti rinunciavano a una prassi di cui avevano fatto largo uso dopo l’indipendenza di Cuba alla fine dell’Ottocento. Ma agli occhi di Castro l’accordo raggiunto fra Mosca e Washington tradiva gli impegni che l’Unione Sovietica aveva assunto verso l’isola. Per evitare che la rabbiosa reazione del leader cubano pregiudicasse i rapporti fra i due Paesi, Kruscev dovette ricorrere a un membro della leadership sovietica che conosceva Cuba ed era per certi aspetti all’origine della relazione speciale creata da Mosca con L’Avana negli anni precedenti.
Quell’uomo era Anastas Mikojan, ministro del Commercio, bolscevico della prima ora, abilmente sopravvissuto alle purghe staliniane, indispensabile alleato di Kruscev nelle vicende che avevano accompagnato l’ascesa del leader ucraino al vertice del partito e dello Stato. Dalle sue carte personali, ora custodite dal figlio Sergo, risulta che nel novembre 1962 Mikojan fu inviato a Cuba con una missione molto delicata. Doveva dimostrare a Castro che gli impegni assunti da Kennedy avrebbero garantito meglio dei missili la sicurezza dell’isola. Doveva evitare che l’irascibile leader cubano si lasciasse trascinare a pericolosi gesti provocatori. E doveva infine fare una ramanzina al comandante delle forze sovietiche di stanza nell’isola, colpevole di non avere fatto alcunché per evitare che i missili venissero fotografati dagli aerei-spia americani. L’operazione Mikojan, a giudicare dai rapporti sovietico-cubani negli anni seguenti, ebbe successo.
Lei si chiede, caro Vecchioni, quali compensazioni Putin dovrebbe offrire alle democrazie occidentali affinché il confronto tra crisi cubana e crisi ucraina divenga veramente calzante. A me sembra che la Russia abbia già fatto una implicita concessione rinunciando di fatto all’inserimento dell’Ucraina nella Comunità euro-asiatica che Putin voleva costituire con la Bielorussia e il Kazakistan. Come lei ricorderà, la crisi scoppiò quando Putin cercò di strappare l’Ucraina all’abbraccio dell’Unione europea mettendo sul tavolo la somma non indifferente di 12 miliardi di dollari. Ora il vero problema è di sapere se vi sia qualcuno in Occidente disposto a fare altrettanto.