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 2014  settembre 18 Giovedì calendario

Matteo tenta Silvio con il voto. Napolitano: allora mi dimetto– Due medici al capezzale del «patto del Nazareno»

Matteo tenta Silvio con il voto. Napolitano: allora mi dimetto– Due medici al capezzale del «patto del Nazareno». Per organizzare l’incontro tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi stavolta è bastata una telefonata. Troppa la fretta di trovare l’accordo su come ricucire la tela che è stata sbrindellata non dai due leader, ma dalle fronde dei rispettivi partiti. Il «metodo del Nazareno», che del patto è figlio e che consiste nel decidere insieme i provvedimenti e le nomine che contano, non ha funzionato nemmeno ieri: l’ennesima votazione per eleggere i membri della Consulta di nomina parlamentare è fallita, Luciano Violante e Donato Bruno non ce l’hanno fatta. Tanto Renzi quanto Berlusconi sanno che, se questo pantano dovesse proseguire, l’unica via d’uscita sarebbe il voto anticipato in primavera. Il premier, l’altro giorno, ha persino evocato questa soluzione in Parlamento, e Berlusconi non ne è stato sorpreso. Ma ci sono due problemi seri, che rendono difficile raggiungere un simile traguardo. Il primo è la legge elettorale con cui andare alle urne. Il Consultellum, la legge proporzionale scritta dalla Corte Costituzionale, potrebbe rivelarsi il male minore per Berlusconi, ma è sgradita a Renzi. Il premier vorrebbe andare al voto con l’Italicum, che prevede il premio di maggioranza e darebbe al Pd la possibilità di governare senza larghe intese né accordi contro natura. Ma l’Italicum, così come è stato approvato a Montecitorio, è disegnato sulla Costituzione che si sta cercando di fare, che prevede un’unica Camera elettiva, quella dei deputati. Mentre il voto in primavera, se ci sarà, potrà avvenire solo con la Carta attuale, cioè con due Camere elettive. Per farla breve, l’Italicum dovrebbe essere riscritto e Forza Italia difficilmente ci starebbe. Ma il timore di Berlusconi è che Renzi l’intesa sulle nuove regole del voto la trovi con i grillini, sulla pelle degli azzurri. Così i due, intrappolati dalle reciproche diffidenze, hanno deciso di andare avanti sulla legge elettorale già messa in cantiere, concordando insieme i ritocchi e accelerando i tempi. Non potevano fare altro, anche perché il secondo ostacolo al voto anticipato si chiama Giorgio Napolitano, che è andato ben oltre il rimbrotto pubblico di ieri contro «le immotivate preclusioni nei confronti di candidature di altre forze politiche o la settaria pretesa di considerare idonei solo i candidati delle propria parte» che hanno impedito le nomine alla Consulta e al Csm. Il Capo dello Stato non ha gradito che Renzi sia andato in Parlamento a minacciare elezioni in primavera. E ha mandato, stavolta non coram populo, un messaggio al premier. Parole chiare: «Io non sciolgo le Camere. Piuttosto mi dimetto. Alle elezioni, semmai,vii ci porterà il mio successore». È sullo sfondo di questo avvertimento, con il capo dello Stato come convitato di pietra, che Berlusconi, Renzi e i rispettivi stati maggiori hanno discusso per due ore. L’intesa su un nome da spedire al Quirinale i due la troverebbero pure (Berlusconi qualche settimana fa era apparso possibilista persino sul nome di Roberta Pinotti). Ma se non riescono a convincere i loro parlamentari a eleggere due giudici costituzionali, come possono pensare di condurre a buon fine l’accordo su un presidente della Repubblica? Si aprirebbe una partita complicatissima, dagli esiti potenzialmente devastanti. Così, meglio andare avanti con l’usato sicuro di Napolitano, assicurare che nel confronto di ieri non si è nemmeno accennato alle elezioni anticipate (come ha fatto uscendo da palazzo Chigi il vicepresidente del Pd Lorenzo Guerini) e promettere che riforme e nomine andranno avanti veloci e di comune accordo. Il Nazareno è vivo e gode di ottima salute. Fino al prossimo inciampo, quantomeno. Fausto Carioti