Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

GIANNINI SERIOSO, FLORIS PIÙ POP MA IL DOPPIONE RESTA

Martedì di coppe. Il clima era da derby – Giannini contro Floris –, cosa rara per uno scontro tra due programmi tv. Ancora più rara se si pensa che a duellare erano due talk, due programmi basso costo che vivono di chiacchiere. Un derby dei poveri, verrebbe da dire. «Tanta roba», dice Mentana. Uno zapping furioso per lo spettatore. Inizia per primo «Ballarò» (Floris perde lo sprint per una misteriosa replica della Gruber) e Massimo Giannini esordisce con toni un po’ tromboneschi: «il senso della nostra missione», «la Rai, troppo spesso screditata, è la più grande azienda culturale del Paese», «i nostri azionisti di riferimento saranno i cittadini», «vogliamo raccontare l’Italia migliore». Sarà per un comprensibile nervosismo, ma non basta essere una firma per condurre un programma, ci vorrà tempo per conquistare la scena. Iniziare poi con un faccia a faccia con Romano Prodi non aiuta certo a dare ritmo alla serata: il vero «Ballarò» parte solo alle 22. Giovanni Floris presenta subito i suoi ospiti (la solita compagnia di giro più il fighetto dei gelati Grom) ma colpisce non poco la scenografia: il vecchio impianto delle poltrone contornato da una balconata tipo «Macao». Per fortuna c’è la copertina di Maurizio Crozza che fa il verso a Renzi, Marchionne, Landini, persino allo stesso Floris. Crozza fa un umorismo funzionale al programma, non così Roberto Benigni, un «regalo» secondo Giannini. Sarà, ma il comico toscano ormai non stupisce più, sembra ripetere sempre lo stesso copione, tromboneggia anche lui in nome di un’Italia migliore. Il nuovo «Ballarò» sceglie la strada «seriosa»: le operette morali di Benigni mascherate da battute, la lunga intervista a Prodi, tempi distesi e mancanza di ritmo. «DiMartedì» è più scandito, anche per la maggiore presenza di pubblicità, e prova a essere pop, ma la distinzione rispetto agli altri talk della rete sfuma. Floris va con il pilota automatico e non rischia nulla. La prima impressione è quella di una dissonanza cognitiva. Come dopo una separazione, i brandelli di una famiglia comune sono divisi in due nuove case. Da una parte il marchio, la collocazione, lo studio. Dall’altra le poltrone, il conduttore, il comico. Tutto il resto è poco più di un rimpiazzo, per quanto blasonato. Tutto il resto è semplice accumulo, di nomi cariche e temi, per mostrarsi al vecchio partner indifferenti al divorzio, e persino più forti. Ma il doppione rimane. I programmi sono appena cominciati e già sono spompi, sentono entrambi il peso degli anni di «Ballarò». I reportage filmati, il dibattito tra politici di opposte (più o meno) fazioni, gli innesti «speculari» dalla carta stampata o dalla fantomatica società civile: nulla di inatteso, nessun scarto rispetto al già noto.
Aldo Grasso