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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

LA LENTA AGONIA DI GIORNALI E TV

C’è Mediaset che sposta i suoi giornalisti dal Tg5 a News Mediaset, ma intanto riduce le ore di trasmissione del TgCom 24 e si ispira al dg Rai Gubitosi per motivare le sue scelte; c’è la televisione della famiglia Caltagirone, T9, che da un giorno all’altro licenzia tutti i 19 dipendenti; c’è, quindi, la Rai, con la sua riduzione delle testate e i piani di “spending review”. Oppure, ancora, l’Unità, testata fuori dalle edicole che attende di conoscere il proprio futuro. La crisi dell’informazione o, come dice il segretario di Stampa Romana, Paolo Butturini, “la contabilità delle chiusure”, si ricava agilmente dalla miriade di vertenze e conflitti nel mondo delle redazioni. Uno spaccato di questa realtà è stato offerto dall’incontro dei Comitati di redazione del Lazio che si è tenuto ieri presso l’Associazione Stampa romana, la seconda più grande, dopo Milano, del sindacato dei giornalisti, la Fnsi. Riduzione delle redazioni, una particolare durezza da parte degli editori, addirittura contenziosi per comportamento anti-sindacale, rischiano di diventare la norma.
Il caso più eclatante è quello dell’emittente T9. Storica tv romana, fu acquistata dai Caltagirone già alla fine degli anni 80. Attualmente è di proprietà della Sidis Vision che fa capo a Edoardo, fratello di Francesco Gaetano Caltagirone e socio, con il 33% della holding di famiglia, quotata in Borsa, di cui fanno parte tutte le attività del gruppo. I 19 lavoratori hanno scoperto, dopo il non pagamento degli stipendi di aprile, che la società era stata messa in liquidazione. Poi, da un giorno all’altro si sono visti recapitare le lettere di licenziamento. Questo avveniva la scorsa estate mentre il gruppo Caltagirone acquistava una terza emittente a Roma, Radio Ies e faceva saltare il tavolo con i lavoratori di T9. I Caltagirone, poi, gestiscono anche il principale quotidiano romano, Il Messaggero, in cui è stato chiesto un nuovo stato di crisi per 39 pre-prepensionamenti. Una richiesta arrivata pochi mesi dopo la chiusura definitiva del precedente stato di crisi per il quale, però, non esiste ancora il decreto ministeriale per cui i giornalisti mandati a casa sono senza stipendio e senza pensione. Giornalisti esodati.
Acque particolarmente agitate in casa Berlusconi con le vicende, in parte note, dei redattori del Tg5 spostati a News Mediaset, l’agenzia interna del gruppo che dovrebbe svolgere il ruolo di servizio per i TgCom 24, Studio Aperto, Tg4 e, in parte, anche Tg5. Solo che il TgCom 24, lanciato come grande vetrina “all news” del Biscione, dall’8 settembre ha deciso di ridurre la programmazione oraria a sole 10 ore al giorno: dalle 8,55 alle 19,05. Le altre fasce orarie vengono coperte proprio dal Tg5 che però , invece di essere rafforzato, è stato depotenziato con il trasferimento di 19 redattori. Tra questi c’è chi ha sottoscritto un ricorso urgente al giudice del lavoro ipotizzando oltre alla violazione del contratto nazionale anche il comportamento antisindacale dell’azienda. Mediaset, rispondendo al ricorso, ha però agganciato il proprio piano di ristrutturazione “alla tendenza del mercato” e in particolare a quello che fa “il principale concorrente di Mediaset, la Rai”. Riferimento esplicito al “programma di sinergizzazione” che il Dg Luigi Gubitosi ha illustrato pubblicamente. Come a dire: lo fanno loro, perché non possiamo farlo noi?
Il modello Gubitosi (che però è successivo a quello Mediaset) prevede, come è noto, l’accorpamento delle testate giornalistiche in due “newsroom”, una generalista e l’altra locale e “all news”. Progetto all’insegna dei tagli e che ha messo le redazioni in subbuglio. Ieri sera, ad esempio, il Tg1 è andato in onda senza firme e nuove agitazioni ci saranno nei prossimi giorni. Al Gr2, ad esempio, la programmazione informativa dei giornali radio è stata ridotta, da un giorno all’altro, del 36%. Riduzione minore, ma consistente, anche al Gr3 passato da circa 60 a 50 minuti.
Infine, l’Unità. Dal 1 agosto, da quanto il giornale di riferimento del Pd non è più in edicola, la redazione non ha saputo più nulla. Matteo Renzi, alla festa che porta il nome del giornale, dell’Unità non ha parlato. Sembra che si cerchi un azionista in grado di rilanciarla. Ma all’interno della redazione si comincia a parlare anche della possibilità di un azionariato diffuso con un ruolo diretto dei lavoratori.
“Con l’avvento della Rete”, commenta la situazione Paolo Butturini, “il giornalismo non è più un prodotto artigianale ma globale. Servono prodotti che capitalizzino i numeri enormi. Non siamo a una normale crisi ciclica ma a una crisi strutturale. È tempo di prendere il toro per le corna”.
Salvatore Cannavò, il Fatto Quotidiano 17/9/2014