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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

“LA DECRESCITA? UN’UTOPIA NECESSARIA”

[Intervista a Serge Latouche] –
«Il capitalismo sta vivendo un paradosso: ha portato a un modello di società fondato sulla crescita, ma oggi la crescita non c’è più, specie in Europa». Per Serge Latouche, maggior teorico del pensiero della decrescita e professore emerito di Economia, è arrivato il momento di creare una società sostenibile, limitando gli sprechi e rispettando la natura. «Altrimenti - spiega - saremo condannati a vivere in una società senza crescita con una disoccupazione che continuerà ad aumentare».
Idee già sostenute in parte anni fa da Pasolini e Berlinguer, ricorda Latouche, che dirige la collana «Precursori della decrescita» e che con Jaca Book sta per pubblicare, per la stessa collana, il libro su uno dei pionieri del tema: «Cornelius Castoriadis, l’autonomia radicale».
Guardando gli ultimi dati di Ocse ed Eurostat in Europa, ma soprattutto in Italia, sembra che la decrescita sia realtà. Ma non molto felice.
«Eh no, attenzione, quella è recessione o crescita negativa. La decrescita è un progetto di svolta, un cambio di paradigma: al centro del nuovo modello non deve esserci più la crescita economica, ma la società, l’uomo e il rispetto della natura».
Ma come si può creare una società sostenibile?
«Non c’è una ricetta universale, ogni Stato deve inventarsi la sua strada per creare, come dice l’economista Tim Jackson, una “prosperità senza crescita” e andare verso un’abbondanza frugale. Un progetto di cui aveva già parlato Enrico Berlinguer quando parlò di austerità giusta».
Come si realizza una società sostenibile?
«La decrescita sta per esempio nella capacità di autolimitarci nei consumi, soprattutto negli sprechi che vengono invece alimentati attraverso la pubblicità, il credito e l’obsolescenza programmata».
Le muovo un’obiezione molto semplice. Partendo dal caso Italia: se non cresciamo come facciamo a pagare il nostro debito pubblico?
«La soluzione drastica è non pagare il debito e fare bancarotta e ad alcuni Paesi il default ha permesso di risollevarsi».
Però per l’Argentina è stato un disastro…
«Comunque, ci sono vie meno radicali: si può rinegoziare il debito e mettersi d’accordo su qual è la giusta parte del debito da pagare, come ha fatto l’Islanda con le banche».
Che però è un Paese molto più piccolo dell’Italia. E poi noi abbiamo l’euro. Uscirebbe dalla moneta unica?
«Penso che sia necessario uscire dall’euro e ritrovare la capacità di fare una politica autonoma. Avviare un processo inverso a quello della delocalizzazione: per esempio dovrebbero tornare in Italia tutte le aziende del Paese che adesso producono nell’Est Europa, in Cina o India. E poi l’Italia dovrebbe essere più protezionista. Il libero scambio portato all’esasperazione dalla globalizzazione è stato catastrofico».
Però finora il capitalismo è stata l’unico sistema economico che ha funzionato. La teoria della decrescita non rischia di essere solo un’utopia?
«È un’utopia. Abbiamo però bisogno di sognare se vogliamo realizzare una società sostenibile. Di fronte alla miseria del presente, bisogna sognare un futuro più giusto e sostenibile».
Ma la storia ha dimostrato che talvolta un’utopia si trasforma in un incubo.
«Certo la storia è sempre una scommessa perciò ho chiamato un mio libro “La scommessa della decrescita”. Perché è una sfida. Ma ora con la più grande crisi economica dal dopoguerra viviamo già in un incubo, dobbiamo provare a sognare».
Professore, chi preferisce tra quelli che Lei definisce precursori della decrescita?
«I maestri sono Castoriadis, difensore del concetto di autonomia politica, e Ivan Illich, che ha inteso per convivialità il contrario della produttività».
E tra gli italiani?
«Pasolini è un precursore, il suo libro “Scritti corsari” è una critica alla società dei consumi. Poi è interessante Alexander Langer, tra i fondatori dei Verdi, che ha messo al centro al difesa dell’ambiente».
Luca Fornovo, La Stampa 17/9/2014