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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

LA SCONFITTA DELL’EX TOGA ROSSA. L’ULTIMO SLALOM DI LUCIANO DA “VISHINSKY” AL GARANTISMO

E alla fine è stato lui, il camaleonte della Seconda Repubblica, l’uomo capace più di ogni altro di reinventarsi e dialogare con gli avversari, il grande sconfitto del voto in Parlamento. Luciano Violante, 73 anni, una lunga carriera di magistrato, di docente e di politico alle spalle (non siede più in Parlamento dal 2008, dopo otto legislature, e si è dedicato in questi anni allo studio delle riforme costituzionali e non solo anche attraverso la sua Fondazione, “Italia decide”), non è riuscito a entrare alla Corte Costituzionale, nonostante che il suo nome fosse quello che più convinceva la destra. Non ci è riuscito proprio nel giorno in cui il discorso mattutino di Matteo Renzi sulla riforma della giustizia invitava a cancellare “le violente contrapposizioni ideologiche del passato”. Un paradosso per un uomo che nel suo ultimo libro (“Il primato della politica”, pubblicato alla vigilia dell’estate, con Mario De Pizzo, Rubbettino editore), affermava: “La politica ha sbagliato a non intervenire sulla corruzione e a delegare tutto alla magistratura negli anni di Mani Pulite, come aveva già fatto per il terrorismo e come poi farà con la mafia”. Un uomo che, però, era già stato a più riprese oggetto di critiche e pubblici esami nel suo partito, ultimo quel “processo”, accettato, concordato e gestito dal partito, ma pur sempre un processo, nella sede torinese del “suo” Pd esattamente un anno fa.
Fu allora che i militanti vennero a chiedergli conto dei suoi tentativi, tutti argomentati in punta di diritto, di mettere in discussione la decadenza di Silvio Berlusconi da senatore in seguito alla condanna per frode fiscale. In quell’occasione, davanti a una platea di alcune centinaia di militanti, Violante spiegò: “Non ho mai proposto lodi o salvacondotti. Ho detto che Berlusconi ha diritto di difendersi davanti alla giunta perché la legalità ci impone di rispettare le regole anche di fronte ai nostri avversari. Né ho detto che la giunta ha il dovere di sollevare l’eccezione di costituzionalità; ho detto che la giunta potrebbe farlo, qualora constatasse profili di incostituzionalità». E, subito dopo, una stilettata contro il clima creatosi intorno alla questione della decadenza: «Non c’è spazio per chi si sforza di capire le ragioni dell’avversario. Il conflitto in atto richiede la costruzione di un nemico, anche di quello interno, il traditore». Da ’piccolo Vishinsky’, come lo definì con rancore Francesco Cossiga, con riferimento alle purghe staliniane, a “toga rossa”, etichetta condivisa con più di un collega, da Giancarlo Caselli a Gerardo D’Ambrosio, passando attraverso la proposta di riabilitare i “ragazzi di Salò” (un’idea che fece esclamare a Bettino Craxi, già latitante a Hammamet, “bene, così prima o poi si arriverà anche a noi socialisti…”), il leader post comunista torinese è diventato l’uomo del dialogo.
E forse è proprio questa immagine a essergli costata la bocciatura di ieri sera. Poche le sue paure: il quartiere dove vive, nel centro di Torino, si divise attorno al fastidio che il blindato della Polizia provocava a traffico e parcheggio, quando era ancora un possibile obiettivo delle Brigate Ros- se. Lui non si scompose e partecipò a un aperitivo in strada del sabato pomeriggio. Molti i tentativi di ritrovare un ruolo. Due anni fa, toccò a lui tentare, di fronte a un’affollata platea alla festa dell’Unità torinese, di ricucire lo strappo che andava maturando tra il suo partito e il movimento Libertà e Giustizia guidato da Gustavo Zagrebelsky. Non si inerpicò attraverso i meandri delle riforme costituzionali, disse solo che era un triste segno dei tempi aver cancellato dalle celebrazioni di Carlo Alberto Dalla Chiesa la figura del suo autista, morto anch’esso. Violante, del resto, è stato per tutta la vita uno straordinario oratore da comizi, capace di arrivare sul palchetto di qualunque quartiere popolare di Torino un minuto dopo l’orario, aggiustarsi la cravatta e partire in quarta: “Avete un parente al Sud? Tornate a casa e chiamatelo, convincetelo…”. Un professionista, al quale non è riuscito l’ultimo goal.
Vera Schiavazzi