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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

ADDIO PRAGA, CITTÀ DI SANTI PERDUTI NEL VARIETÀ

Al celebratissimo Teatro Nero di Praga si arrivava da quei tremendi alberghetti ove si veniva rinchiusi e sorvegliati dall’unica agenzia statale. Prima che Lucio Fontana se ne confezionasse uno artigianalmente nel seminterrato d’una galleria milanese. E ancora prima che Wanda Osiris sfruttasse in grandi spettacoli ogni possibilità artistica della «luce nera di Wood». «Laterna Magika»: molto ragguardevole, a quei tempi.
Ma non sembravano poi così scadenti, quegli spettacolini “neri” (come le varie sculture, dopo tutto), e provenendo noi da quegli pseudo-alberghini terrorizzanti, «da Ghepeu» come si diceva allora. Profluvio di care memorie anche immaginarie, fra Rodolfo II e Kafka. Culto dello Stato totalitario, con servizi segreti, spie dell’intelligence, poteri della Chiesa soprattutto sugli immobili. Fra tutti quei santi barocchissimi e sconvoltissimi, macché chincaglierie migranti e banchetti peggio che in Piazza Navona. Applicazioni, piuttosto (povere) del dignitoso astrattismo praghese.
Macché astrattismi, adesso. O sagaci utilizzi di Muybridge con un braccio o un polpaccio in bianco, e uno in nero. Ciò piace in varie sale, tutte affollatissime, e vogliose più di comicità in inglese che non di astrazioni al buio. Fra varie culone, così, un buffone con una mano girevole ridacchia con gesti allusivi. Tornano allora in mente i fantocci con le testolone di Nenni e Togliatti e De Gasperi – il Potere di allora – quando cantavamo «Siamo qui, siamo qui tutti quanti – e teniamo ‘na capoccia grossa grossa – fra coriandoli e stelle filanti – si vulite ve possiamo fa’ la mossa». Così, alla fine: «E stavolta ve facciam la mossa – oplalà, lalà, lalà!». Girano varie palle illuminate, fra i mimi in nero che se le scambiano. Musica registrata. Telefonate, scorregge, coni e ventagli, tartarughe luminose, boccacce, boccucce, clownerie. Si pestano continuamente i piedi, con frequenti «ahi, ahi».
Piccoli varietà da antico avanspettacolo. Bagnanti che si danno fastidio senza smuoversi. Un invadente che fischietta, con sorrisetti. Piume sul pubblico. Vomitano in un secchiello. Massimo successo: un automobilista imita i peti e i borborigmi di un antico pilota d’aereo. Come prelevata da qualche Mucha, ecco una vecchia «maliarda, hai vinto!» con tanti veii, tipo Chiomadoro Regina delle Fate. «Spirito son dei boschi, la mia voce ascoltate!». Ma non appena in scena si fa buio, la gente pretende il ritorno dei due comici. Successo, poi, d’ogni scatenato e facile «Mozartissimo». Turisticissimo.
Poche mostre, e musei pieni d’una qualità media, contrariamente alle nostre abitudini. Si possono così ammirare i Tiziano e Tintoretto dalle depredate collezioni rudolfine. Tra antiche battaglie, pietre incise, altari, arcangeli, dignitari biblici o mitici, banchetti, digiuni. Assunzioni e trionfi senza ritegno, sepolcri con espressività spropositata, estasi continue anche in dimensioni piccole. Cristi, Davidi, Ercoli, Maddalene, Lucrezie, Orfei. Martiri, trittici, Venezie, Ignazi, Procopi, Ladislai, Venceslai, Vladimiri... Vulcano, Bronzino. Tanti Bruegel. Tantissimi dolori da Camerino, Tolentino, Murano. Doloranti da tutta la Toscana. Molto suggestivi.
Lì davanti, su al Castello, una buona rievocazione di Michelangelo al Palazzo Schwarzenberg, con un Ganimede, dopo sale e sale e sale di scultura locale straniata e stravolta e dunque tipica. Nel Palazzo Salm contiguo, una rassegna sulle influenze dell’arte giapponese sull’arte ceca. «Japonismus», con la voga delle arti orientaleggianti uso Madama Butterfly . Del resto, l’enorme convento di Strahov, fra i tanti emblemi della Vergine presenta Sofonisbe, Giudizi di Paride, Bacchini e Bacconi, angeli e preti danzanti, Van Dyck sequestrati e dispersi dai comunisti, e anche Luca Cambiaso (si dice) biblioteche paradisiache e confortevoli, imitatori di Rembrandt o Maulbertsch, esponenti del rococò. E giù nella piazza principale della Città Vecchia, fra i gioiellieri e profumieri parigini, i vecchi edifici costruiti davanti al duomo (e non ai palazzi) offrono mostre di Mucha, Warhol, Dalí.
La Musica come allegoria o figura o immagine – o, soprattutto, metafora – a partire dalle danze fiamminghe mondane o villerecce: ecco il tema di «Vivat Musica!» al Veletrznì Palace. Tasti, corolle, riflessi notturni e liquidi: Frantisek Kupka. Fra un monumentale Guttuso e Perilli e Vedova e Carrà e Buffet e Raysse e un Klimt prima perduto e poi ritrovato. Sante Cecilie, Laghi dei Cigni, festival allegorici di un valente Masek. Per un lascito d’epoca, il direttore della Galleria, Vincenc Kramar, le donò queste collezioni ricchissime, col celebre autoritratto di Picasso. E si vede qui anche un «Bonjour M. Gauguin» di cui si ammirò un’altra versione in America. Van Gogh, Derain, Braque, Matisse, Toulouse-Lautrec... Oltre che grande collezionista, quel direttore evidentemente apparteneva a una facoltosa famiglia di politici.
Preziose cornici dorate o nere anche per i metafisici o astrattisti più poveristici... E lì sotto, i Mucha patriottici. Senza modestie. Vere o finte... Verso la fine di questi giri e rigiri, a Loreto, sculture ancora nere, irreparabili. E preghiere alle «gloriose vergini e confessore»: le Sante Rosalia da Palermo, Barbara patrona dell’artiglieria, Odilia d’Alsazia badessa dopo fosche storie. Santa Cecilia, già salutata più volte. Alberi di famiglia pieni di vergini. Affreschi di putti e scheletri.
Proclamazioni di Povertà, fra tesori e ostensori d’oro e perle, gemme, diamanti implacabilmente alla moda. Coralli, avori, pietre paesine. Vienna, fine Seicento. Barocco. Tesori. E i poveri?
Non può non tornare in mente la Sacra Casa di Loreto davanti al Palazzo Rucellai, opera di L. B. Alberti, a Firenze. Anche lì, che felice adeguamento alle mode scultoree di un preciso decennio. Qui, pare suggestivo l’accorgimento di decorare con affreschi addirittura dugenteschi l’interno, con candeline fioche. E il Palazzo Cernin lì davanti? Che esagerazione. Ministero degli Esteri? Stupendo, ma sproporzionato. Pare che la sola mostra in città sia alle Famose Illustrazioni Bibliche di Marc Chagall, ma dentro c’è poca gente malgrado la posizione centralissima. Incisioni e litografie colorate forse troppo specialistiche?
Vecchie barbe, antichi cernecchi, angeli anziani intorno a un vecchio Signore. Sogni, visioni, incubi, leggende. Vecchi vitelli d’oro, candelabri a sette becchi, tavole di legge che poi Mosè butta. Mosè, Noè, Giosuè, Elia, Geremia, Isaia, Daniele, Ezechiele, Aronne, Assalonne, Salomone, Sansone, il Faraone, tutti proverbiali. Davide, Abramo, la profetessa Deborah, tette e chiappe di celebri seduttrici come Salomè, Dalila, Giuditta... Lì, insieme, puntesecche egualmente bibliche e liriche dell’artista coetaneo Bohuslav Reynek. Nessuna allegria.
(2. Fine)
©Alberto Arbasino