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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

NESSUNA FACCIA UGUALE ALL’ALTRA COSÌ IL VISO RACCONTA CHI SIAMO

Una specie, tante facce. E tutte così diverse che in una foto di gruppo dell’umanità non ne troveremmo due uguali. Secondo una ricerca condotta da due scienziati dell’Università della California e pubblicata su Nature Communication, in quella foto c’è la dimostrazione di un tratto unico della nostra specie: il volto. Perché in nessun altro animale il volto è così distintivo dell’individuo quanto in noi. Quindi un’analoga istantanea di gruppo di pinguini, passerotti, ippopotami o pesci palla non presenterebbe la nostra stessa varietà.
Gli autori dello studio hanno considerato un frammento della foto di gruppo dell’umanità, selezionando un sottogruppo molto speciale: il personale dell’esercito americano di ruolo nel 1988. Di quel campione sappiamo tutto grazie ai dati dell’Army Anthropometric Survey: un database compilato misurando pezzetto per pezzetto i corpi di più di duemila uomini e donne con il quale si sono definite, per esempio, le taglie delle uniformi o le dimensioni delle cabine di comando dei veicoli. Confrontando le misure prese sulla faccia (la distanza tra fronte e mento, la distanza fra gli occhi, il naso in lungo e in largo e altre) e quelle prese sul resto del corpo (come la lunghezza delle braccia e la misura delle mani in lungo e in largo) si è visto chiaramente che mentre queste ultime sono più o meno le stesse, sul viso possono variare tantissimo. Cioè c’è chi ha gli occhi molto vicini o molto lontani, il naso grosso o corto e affilato.
Gli scienziati poi hanno cercato la stessa variabilità nel Dna. E l’hanno trovata. Grazie ai dati genetici del 1000 Genome Project, hanno analizzato le regioni di Dna responsabili della forma dei nostri nasi, menti e fronti, trovando un numero di varianti molto più alto di quello riconoscibile nei geni responsabili di altri tratti distintivi del corpo, come l’altezza. Non solo: andando a vedere diversi aspetti della morfologia del viso, come la larghezza e la lunghezza del naso, si è visto che i geni da cui questi dipendono non sono dipendenti tra loro, e di conseguenza possiamo avere nasi larghi e lunghi, o stretti e lunghi, così come larghi e corti o stretti e corti, cioè la massima varietà possibile. Mentre, in genere, chi ha braccia lunghe ha anche gambe lunghe e così via.
Queste peculiarità dei geni per le caratteristiche del viso emergono ancora di più se il confronto lo si fa con pezzi di Dna neutrali, che non contengono geni, e che quindi non sono sottoposti a nessuna pressione da parte dell’evoluzione. E proprio qui starebbe per i ricercatori la spiegazione della variabilità che ci si legge in faccia. Nell’evoluzione. Perché sarebbe stata l’evoluzione a mantenere la grande differenza tra i nostri visi (differenza generata, come sempre, dal caso). Mentre sul resto del corpo ci ha condotto ad assomigliarci tutti un po’ di più. E la ragione di questo diverso trattamento verso i nostri volti rispetto, per esempio, alle nostre mani è che noi per riconoscerci ci guardiamo in faccia. Quindi è necessario che la nostra faccia sia ben riconoscibile, che sia unica. Mentre la mano no.
La spiegazione persuade gli addetti ai lavori, come Guido Barbujani, genetista di popolazioni dell’università di Ferrara: «Le nostre interazioni sociali possono avere conseguenze molto importanti sulla nostra variabilità biologica. Insomma: siamo come siamo non solo per effetto del caso, e della selezione naturale, ma anche per i meccanismi culturali che dettano i nostri rapporti con gli altri». E i nostri rapporti con gli altri sono diversi da quelli intrattenuti dagli individui di altre specie animali.
Noi uomini infatti capiamo chi abbiamo davanti soprattutto usando la vista, concludono gli scienziati. Non usiamo l’olfatto, come il lupo o il topo, o l’udito, come i delfini o gli uccelli. Siamo animali sociali, viviamo in gruppi numerosi, ma abbiamo (quasi) solo gli occhi per riconoscerci e la faccia per farci riconoscere. Dal punto di vista dell’evoluzione, sta qui la chiave di una specie dai tanti volti come la nostra.
Silvia Bencivelli