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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

L’ULTIMA BATTAGLIA DEL CALENDARIO: «MENO FESTE E FERIE E SAREMO PIÙ RICCHI»

L’equazione è sempre la stessa: meno festività uguale più Pil. Meno riposo per i lavoratori più ossigeno per l’economia. L’ultima “minaccia” per i giorni in rosso del calendario arriva dalla Francia. È stato il Medef, la Confindustria transalpina, a suggerire di cancellare due giorni festivi sugli otto che si contano Oltralpe, assieme a un pacchetto di proposte compreso l’aumento delle trentacinque ore settimanali, una bandiera dai tempi del presidente Mitterrand. In questo modo, sostengono gli imprenditori, si potrebbe veder crescere il Prodotto interno lordo. Immediata e netta l’opposizione dei sindacati: «È una provocazione» ha detto Laurent Berger, segretario del Cfdt, la Confédération française démocratique du travail. La crisi morde e tutti provano a tirare fuori qualche ricetta da mettere sul tavolo. «Sì, ma toccare le festività non è soltanto un problema di produttività e di conti. Nelle festività ci sono valori di fondo in cui si riconosce una società e questi valori possono essere legati alla storia o alla religione» spiega il professor Oronzo Mazzotta, docente di diritto del lavoro. È un po’ come toccare il Dna di una nazione. Ne sanno qualcosa Mario Monti, che non riuscì a far passare gli accorpamenti delle feste e, prima di lui, Berlusconi, alle prese con un piano simile quando provò, senza riuscirci, a passare il bianchetto sul 25 aprile, sul 1° maggio e sul 2 giugno, pensando di far slittare le ricorrenze alla domenica successiva. L’allora ministro dell’Economia Tremonti definì la proposta «un modo tipicamente europeo di aumentare la produttività». I favorevoli parlavano di un aumento dello 0,1 per cento del Pil.
La mappa delle feste nel Vecchio Continente è in realtà un puzzle variegato. Il record delle festività secondo i dati Eurofound aggiornati al 2011 è della Spagna con 14 giorni, seguono con 12 Malta e Cipro. L’Italia è un po’ più sotto a quota 11 insieme al Portogallo e ad altre nazioni, la Grecia ne conta 10 con la Germania, l’Inghilterra a 9 con la Finlandia e la Svezia.
«Hanno ragione i francesi del Medef — si allinea intanto Roberto Zuccato, presidente di Confindustria Veneto — anzi io propongo di andare oltre». Cioè? «In Italia si fanno mediamente 26 giorni di ferie, aggiungendo anche le undici festività si arriva a 37: troppi. Siamo in crisi, la gente non ha da spendere e spesso quelle ferie non le fa o, se le fa, resta a casa». Così Zuccato rilancia: «Propongo di tagliare una settimana di ferie, ma lo Stato deve rinunciare al carico contributivo e girarlo ai lavoratori. In questo modo avremmo un doppio beneficio: per le aziende la possibilità di aumentare la produzione, per i lavoratori una settimana pagata il doppio. E si dà una spinta anche ai consumi». Insomma, dopo aver fatto sparire la “domenica per tutti” con le aperture dei negozi e dei supermercati, finiscono sotto tiro anche le giornate di riposo.
Il “ritocchino” al calendario, la sforbiciata che si accanisce sulle festività quando l’economia mette il segno meno e comincia a rotolare verso il basso, in Italia ha radici che si trovano ormai nei libri di storia: con la crisi petrolifera degli anni Settanta, Giulio Andreotti cancellò di colpo le feste di San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, San Pietro e Paolo e la Befana. Scelta, quest’ultima, impopolare: dieci anni dopo ci pensò Bettino Craxi a ripristinare l’Epifania. «Non credo che la strada sia tagliare le festività — interviene Stefano Bartolini, economista dell’università di Siena e autore del Manifesto per la felicità — abbiamo una società divisa in chi ha un impiego e lavora troppe ore, con conseguenze sulla propria vita affettiva e sociale, e chi non ne ha affatto. Cancellando le festività non si crea nuova occupazione e, quindi, non raddrizziamo il sistema». Anzi, secondo alcuni esperti rischiamo pure di far pagare il conto all’industria del turismo.
Laura Montanari, la Repubblica 17/9/2014