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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

PROVACI ANCORA NERONE

A Roma, sotto il Colle Oppio, oggi un modesto parco pubblico deturpato da inutili graffiti, dove i ragazzi giocano pigramente a pallone e le coppie di anziani portano a spasso il cane, giace sepolta una parte del più grande palazzo nella storia della Città Eterna. Il palazzo si chiama Domus Aurea, e fu costruito da e per Nerone. Quando il folle mondo dell’imperatore trentenne si disintegrò nel 68 d.C. e Nerone ordinò a un suddito di tagliargli la gola, dicendo, così si narra, «quale artista muore con me!», è probabile che il palazzo fosse ancora in costruzione. I suoi successori ne alterarono l’aspetto o lo ignorarono, fino a quando, nel 104, Traiano riutilizzò le mura e le volte della Domus per creare le fondamenta delle sue famose terme. Nei 1.400 anni a seguire il palazzo sepolto venne completamente dimenticato.
Intorno al 1480 si cominciò a scavare sul Colle Oppio, dove vennero rinvenute quelle che al tempo si credeva fossero le rovine delle Terme di Tito. La terra si aprì, qualcuno cadde e atterrò su un mucchio di macerie, con la faccia rivolta verso il soffitto ancora ricoperto da sontuosi affreschi. In Italia si sparse la voce. I grandi artisti del Rinascimento – Raffaello, Pinturicchio e Giovanni da Udine – si calarono nelle grotte per studiare (e in seguito riprodurre nei palazzi e nel Vaticano), i motivi ornamentali, chiamati grottesche per via delle condizioni, simili a quelle di una grotta, della Domus al momento della scoperta. Scavi successivi svelarono altre meraviglie: lunghi portici si affacciavano su quelli che erano stati un vasto parco e un lago artificiale; tracce d’oro e frammenti di marmo estratti dalle cave in Egitto e Medio Oriente, che un tempo ricoprivano le pareti e i soffitti a volta; e una magnifica sala ottagonale con un tetto a cupola, costruita sessant’anni prima che i lavori di costruzione del tanto esaltato Pantheon di Adriano fossero ultimati. Oggi, dopo il crollo del 2010, la Domus Aurea è chiusa al pubblico fino a nuovo ordine. Gli addetti ai lavori si occupano giornalmente degli affreschi e rimediano alle infiltrazioni d’acqua; simile a un culto, il loro lavoro a otto metri di profondità non viene notato dai passanti del parco.
Nelle immediate vicinanze, a sud-ovest di quest’ala della Domus e proprio sopra a quello che era il lago artificiale di Nerone, si trova il Colosseo. Famoso in tutto il mondo, l’anfiteatro costruito da Vespasiano negli anni che seguirono il suicidio di Nerone, sembra prenda il suo nome dal Colossus Neronis, la statua di bronzo che un tempo incombeva sulla valle: alta più di 30 metri raffigurava Nerone nelle vesti del dio Sole. Oggi più di 10 mila turisti visitano il Colosseo ogni giorno. L’imprenditore Diego Della Valle, attento alle pubbliche relazioni, ha donato 25 milioni di euro per il suo restauro. Una piccola parte delle vendite dei biglietti del Colosseo finanzia l’attuale restauro dell’umido palazzo in rovina dall’altro lato della strada.
A ovest del Colosseo si estendono le sontuose vestigia imperiali del Colle Palatino. In quest’area, nell’aprile del 2011, la Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Roma ha inaugurato una mostra, dedicata alla vita e ai lavori di Nerone. Sono stati esposti per la prima volta quelli che furono i molti contributi di carattere culturale e architettonico del re-mostro; sempre nell’area del Palatino, è stato aperto al pubblico un ambiente scavato di recente che molti credono sia la celebre coenatio rotunda, una sala da pranzo girevole con vista panoramica che spaziava fino ai colli Albani. Gli organizzatori sapevano che qualsiasi mostra sul famigerato Nerone avrebbe attratto visitatori. Non avevano però previsto un’affluenza così cospicua; da quando, dieci anni prima, la Soprintendenza ha iniziato a organizzare mostre, questa è stata la più visitata.
«Nerone fa cassetta», osserva lo scrittore Roberto Gervaso. Settantasette anni, calvo, sguardo penetrante, Gervaso è l’autore del libro Nerone, scritto nel 1978. «Hanno girato molti film su di lui, e ne hanno fatto una macchietta. Non ce n’era bisogno. Nerone era comunque un po’ caricaturale. Una simile pittoresca depravazione attira i biografi. Non potrei mai scrivere una biografia su San Francesco! E preferirei andare a cena con Nerone anziché con Adriano».
Stasera Gervaso è obbligato a cenare in mia compagnia. Ci sediamo fuori a un tavolo dell’osteria Nerone, uno dei pochi posti a Roma che portino il nome dell’imperatore, a un centinaio di metri dalla Domus Aurea. «Era un mostro. Ma non era solo questo. E coloro che vennero prima e dopo di lui non erano meglio. I veri mostri, come Hitler e Stalin, non avevano la sua immaginazione. Persino oggi Nerone sarebbe avant-garde, un precursore dei tempi», dice.
«Ho scritto il mio libro 35 anni fa proprio perché volevo riabilitarlo. Forse tu puoi fare di più».

BEH, È DIFFICILE “RIABILITARE” Un uomo che, secondo le fonti storiche, fece uccidere la sua prima moglie Ottavia, ammazzò a calci la seconda moglie Poppea quando era incinta, ordinò l’omicidio di sua madre Agrippina minore (probabilmente dopo esserci andato a letto), forse fece anche assassinare Britannico, suo fratellastro, ordinò a Seneca, suo mentore, di suicidarsi (cosa che il filosofo fece in modo solenne); castrò e poi sposò un ragazzino, organizzò l’incendio di Roma nel 64 d.C., dandone poi la colpa a uno stuolo di cristiani (inclusi San Pietro e Paolo) che furono di conseguenza presi, decapitati o crocifissi e messi al rogo per illuminare una delle feste imperiali. Il caso contro Nerone, come incarnazione del male, sembrerebbe aperto e chiuso. Eppure...
Quasi certamente il senato romano ordinò di cancellare la memoria di Nerone per ragioni politiche. Magari fu perché alla sua morte fece seguito una manifestazione di pubblico dolore così generale che Otone, suo successore, si affrettò a cambiare il suo nome con Otone Nerone.
Magari fu perché la gente continuò per molto tempo a portare fiori sulla sua tomba che si diceva fosse frequentata da fantasmi fino a quando nel 1099 una chiesa venne eretta sulle sue rovine a piazza del Popolo. O forse fu per via dei frequenti avvistamenti di “falsi Neroni”, e per la persistente credenza che il giovanissimo re sarebbe un giorno tornato al popolo che lo amava così tanto.
I morti non scrivono la propria storia. I due primi biografi di Nerone, Svetonio e Tacito, legati all’élite del Senato, descrissero il suo regno con esagerato disprezzo. L’idea di un possibile ritorno di Nerone assunse connotazioni malevole nella letteratura cristiana, con l’ammonimento di Isaia sul ritorno dell’anticristo: “Scenderà dal suo firmamento nella forma di uomo, un re di iniquità, un assassino di sua madre”. Più tardi arriveranno le condanne dello spettacolo; il Nerone pazzo e balbettante del comico Petrolini, il Nerone codardo e assassino di Peter Ustinov, e l’immortale raffigurazione di Nerone che suona la cetra mentre Roma brucia. Quello che avvenne nel tempo non fu una rimozione ma piuttosto una demonizzazione. Un sovrano di tale sconcertante complessità ora era diventato semplicemente una bestia.
«Oggi condanniamo il suo comportamento», dice la scrittrice ed esperta di archeologia Marisa Ranieri Panetta. «Ma pensiamo al grande imperatore cristiano Costantino. Ha fatto assassinare il suo primo figlio, la sua seconda moglie e suo suocero. Non si può considerare santo l’uno e diavolo l’altro. Prendiamo Augusto, che ha distrutto una classe dirigente con la sua lista nera. Roma andava avanti su fiumi di sangue ma Augusto lanciò un’efficiente propaganda a sostegno di quello che faceva. Conosceva i media. E così dicono che Augusto era grande. Non voglio dire che Nerone fosse un grande imperatore, piuttosto che era meglio di quello che si dice, e non peggio di quelli che sono venuti prima e dopo di lui».
Panieri Panetta è tra le voci energiche – la sua opinione condivisa da un crescente numero di studiosi – in favore di una rivalutazione di Nerone. Non tutti sono d’accordo. «Questa riabilitazione – il lavoro di un piccolo gruppo di storici che tentano di trasformare aristocratici in gentiluomini – a me sembra piuttosto stupida», dice il celebre archeologo romano Andrea Carandini. «Per esempio, importanti studiosi sostengono oggi che l’incendio non fu colpa di Nerone. Ma come avrebbe potuto costruire la Domus Aurea senza l’incendio? Che l’abbia provocato o no, ne ha certamente approfittato».
Vale la pena di soffermarsi un istante sulla logica di Carandini (Nerone trasse vantaggio dall’incendio, quindi fu lui a causarlo); in fin dei conti l’orribile fuoco che danneggiò o distrusse 10 delle 14 regiones di Roma è il perno centrale della mitologia neroniana. «Perfino Tacito, il grande accusatore di Nerone, scrisse che le cause dell’incendio non erano conosciute», controbatte Panetta. «Roma ai tempi di Nerone aveva strade molto strette», ed era piena di edifici alti, con i piani superiori costruiti in legno. «Il fuoco era essenziale per l’illuminazione, la cucina e il riscaldamento. Di conseguenza si verificarono grandi incendi durante il regno di quasi tutti gli imperatori». Nerone non era neanche a Roma quando divampò il Grande Incendio ma ad Antium, l’odierna Anzio, dove era nato. Mentre il fuoco si sviluppava con violenza, Nerone tornò di corsa a Roma e, benché sia quasi certo che amasse suonare la cetra, il primo a scrivere che l’imperatore suonava mentre le fiamme consumavano la città fu Cassio Dione, un secolo e mezzo dopo il fatto. Tacito, vissuto al tempo di Nerone, scrisse che l’imperatore diede ordine di accogliere i senzatetto nei rifugi, offrì denaro contante per incentivare la rapida ricostruzione della città e istituì e impose le norme di sicurezza antincendio...
...E radunò, condannò e crocifisse gli allora tanto odiati cristiani. E prese possesso delle rovine carbonizzate della Città Eterna per costruire la sua Domus Aurea. «Lasciò che lo bollassero come mostro», concede Ranieri Panetta. «Era un facile bersaglio».

«CHI PEGGIO DI NERONE?», scriveva il poeta Marziale, contemporaneo dell’imperatore. E nella riga successiva: «E che cosa c’è di meglio delle sue terme?».
Nel 2007, nel corso degli studi sull’impatto di una nuova linea metropolitana che avrebbe dovuto penetrare nel cuore della città, scavando direttamente sotto il trafficato corso Vittorio Emanuele II, Fedora Filippi, archeologa romana incaricata dal ministero dei Beni culturali, scoprì la base di una colonna. In seguito Filippi trovò un portico, e nelle vicinanze il lato di una piscina. Dopo più di un anno di analisi stratigrafiche e accurati studi dei testi storici, Filippi concluse di aver scoperto l’enorme ginnasio pubblico costruito da Nerone qualche anno prima del grande incendio del 64. Il progetto per la fermata della metropolitana venne immediatamente abbandonato, come anche gli scavi. Al di fuori del mondo accademico pochi sanno dell’importante scoperta della Filippi.
«Il ginnasio faceva parte del grande cambiamento che Nerone portò nella città di Roma», dice Filippi. «Nerone introdusse il concetto di cultura greca e con esso l’idea dell’educazione fisica e intellettuale dei giovani, che presto si diffuse in tutto l’impero. Usate in origine solo dagli aristocratici, le terme di Nerone misero tutti sullo stesso piano, dal senatore a chi si occupava dei cavalli, portando una trasformazione nelle relazioni sociali.
Nerone fu come una bomba lanciata in un ordine sociale già in crisi. Nonostante avesse legami di sangue con Augusto da parte materna e paterna, sembrava tutto tranne che romano: biondo, occhi azzurri e lentiggini, e un’inclinazione verso l’arte più che verso la guerra. Sua madre, la scaltra e ambiziosa Agrippina, venne accusata di aver complottato l’assassinio di suo fratello Caligola, e in seguito probabilmente uccise il suo terzo marito, Claudio, con funghi velenosi. Dopo averlo fatto educare dallo stoico Seneca, nel 54 d.C. mandò sul trono Nerone, che non aveva ancora compiuto 17 anni. Chiunque sia interessato a conoscere le intenzioni della madre, può trovare la risposta nelle monete dell’epoca, in cui la faccia del giovane imperatore non è più grande di quella di Agrippina.
Nei primi anni del suo regno l’impero prosperò. Nerone bandì i processi segreti di Claudio, concesse la grazia e, quando era costretto a firmare una sentenza di morte, usava dire con rammarico: “Quanto vorrei non saper scrivere!”. Riceveva i poeti per cene di lavoro, forse per rubare i loro versi, e si esercitava regolarmente con la cetra e con il canto, nonostante la sua voce non fosse delle migliori. “Era ossessionato dal desiderio di fama”, scriveva il suo biografo Svetonio, sebbene Edward Champlin, professore di studi classici alla Princeton University, ritenga la sua personalità molto più complessa. Nel libro revisionista Nerone, Champlin descrive l’imperatore come “un artista e interprete infaticabile che si era trovato a essere anche imperatore di Roma”, e “un precursore dei tempi, esperto di relazioni pubbliche, con un fiuto per quello che voleva la gente, spesso prima che la popolazione stessa lo sapesse”. Nerone introdusse ad esempio i Neronia, gare in stile olimpico di poesia, musica e atletica. Ma ciò che rendeva felici le masse non piaceva necessariamente all’élite. Quando Nerone si ostinò a far competere nei giochi pubblici i senatori con i comuni cittadini, la sua epoca d’oro cominciò a vacillare.
«Fu qualcosa di nuovo, come i giovani di oggi e i social network, dove a un tratto tutto ciò che è personale viene messo in rete e condiviso», dice l’archeologo Heinz-Jurgen Reste. «Nerone era l’artista, come Warhol e Lichtenstein, che incarnò questi cambiamenti. Come le sue terme e quello che Marziale ne scrisse: sono le contraddizioni della figura di Nerone. Creò qualcosa di mai visto prima: un luogo pubblico inondato di luce, per l’igiene ma non solo, dove c’erano statue, dipinti e libri, e dove si poteva passare il tempo ad ascoltare poesie recitate ad alta voce. Si trattava di una situazione sociale completamente nuova». Oltre al Gymnasium Neronis, i lavori pubblici del giovane imperatore includevano un anfiteatro, un mercato della carne e il progetto per un canale che avrebbe collegato Napoli al porto di Ostia, per aggirare le imprevedibili correnti marine e assicurare il passaggio delle provviste alimentari della città. Queste imprese costavano soldi, che gli imperatori romani normalmente si procuravano saccheggiando altri paesi. Ma il regno privo di guerre di Nerone precluse questa opzione. (Anzi, Nerone aveva liberato la Grecia dal controllo romano, dichiarando che il suo contributo culturale la dispensava dal pagare le tasse all’impero). Decise invece di spremere i ricchi con tasse sulle proprietà (patrimoniali ante litteram), e nel caso del grande canale per la navigazione di impossessarsi anche delle loro terre.
Il Senato glielo impedì. Nerone s’inventò di tutto per aggirare i senatori. «Creava false accuse per portare i ricchi in giudizio ed estorcergli i soldi con multe salate», dice Beste. Nerone però si stava facendo rapidamente molti nemici. Tra questi sua madre Agrippina che, indignata per aver perso la sua influenza, probabilmente tramò per insediare Britannico, suo figliastro, come legittimo erede al trono. Un altro fu Seneca, consigliere dell’imperatore, coinvolto presumibilmente in un complotto per uccidere Nerone. Nel 65 d.C. madre, fratellastro e consigliere erano stati tutti assassinati.
Nerone fu libero di essere Nerone. In questo modo finirono i cosiddetti “anni buoni” del suo regno, seguiti da un periodo in cui – scrive la storica Miriam Griffin, della facoltà di studi classici di Oxford – “Nerone si rifugiò sempre più in un mondo di fantasia”, fino a quando venne schiacciato dalla realtà.

PARLANDO DELL’ULTIMO IMPERATORE della dinastia Giulio-Claudia con studiosi e politici, in una Roma di oggi ancora grande, seppure colpita dalla recessione, si è tentati di paragonare la grandiosità di Nerone alle qualità da show man di un leader decaduto più di recente.
«Nerone era un pazzo megalomane, ma un pazzo può anche essere affascinante e interessante», dice Andrea Carandini. «Teneva conto delle masse, questa è la cosa che inventò e che venne riproposta da tutti i demagoghi che vennero dopo di lui. Fece l’incredibile gesto di invitare l’intera popolazione romana nella sua Domus Aurea, che si estendeva per un terzo della città, facendo sfoggio di tutta la sua opulenza. Questa è televisione! E Silvio Berlusconi ha fatto esattamente la stessa cosa, usando i media per comunicare con la gente».
L’ex sindaco di Roma ed ex ministro dei Beni culturali e ambientali Walter Veltroni rifiuta di fare paragoni tra Nerone e l’ex presidente del consiglio perseguitato dagli scandali, perché a Berlusconi mancavano totalmente gli appetiti culturali che aveva Nerone. «Berlusconi non era interessato all’archeologia, non era una cosa che aveva in testa», dice Veltroni. Al contrario, dice, «per me la Domus Aurea è il più bel posto della città, il più misterioso, dove si intrecciano periodi di storia differenti. Quando, alla fine degli anni Novanta, ero ministro della cultura, ci portai Martin Scorsese, che rimase veramente colpito dalle grottesche; e anche lan McEwan che ricorda la Domus Aurea nel suo libro Sabato». L’intero complesso fu pensato come una scena teatrale, con boschi, laghi e passeggiate accessibili a tutti.
In ogni modo, riconosce Ranieri Panetta, «che una sola persona avesse così larga parte della città era uno scandalo. Non era tanto il lusso sfarzoso, a Roma c’erano stati palazzi per secoli. Erano le sue immense dimensioni. Sui graffiti si leggeva: “Romani, non c’è più posto per voi, dovete andare a Veio” [un villaggio vicino a Roma]». Nonostante gli enormi spazi aperti, la Domus alla fine esprimeva il potere illimitato di un solo uomo, persino nei materiali utilizzati per costruirla. «Ha usato così tanto marmo non solo per sfoggiare la propria ricchezza», dice Irene Bragantini, esperta di pitture romane. «Tutto questo marmo colorato veniva dal resto dell’impero, dall’Asia Minore, dall’Africa, dalla Grecia. L’idea era di controllare non solo il popolo ma anche le sue risorse. Penso che al tempo di Nerone si venne a creare per la prima volta un forte divario tra classe media e ceto alto, perché solo l’imperatore aveva il potere di procurare il marmo».
Un paradosso cominciò a definire il regno di Nerone: l’imperatore era diventato capo intrattenitore, ma al tempo stesso sempre più regale. «Nel separarsi dal Senato per avvicinarsi alla popolazione, Nerone concentrò il potere su se stesso come un faraone», dice Ranieri Panetta. Un imperatore, tuttavia, può avvicinarsi al popolo solo fino a un certo punto. «Era completamente isolato, come in una bolla, per arrivare a lui dovevi passare attraverso una marea di gente», sottolinea Beste. «Voleva essere vicino al popolo», dice Alessandro Viscogliosi, professore di storia dell’architettura antica e medievale alla Sapienza, che ha progettato una straordinaria ricostruzione in 3-D della Domus Aurea. «Ma come dio, non come amico».

UNA SERA MI STAVO GUSTANDO la cena a Casa Bleve, una splendida enoteca vicino a Piazza Navona, quando il manager si è offerto di portarmi in cantina. Tra gli scaffali di Barolo e Chianti mi ha mostrato i resti in pietra di un’antica struttura. L’archeologa Filippi mi ha spiegato che sotto quell’area «c’è Campo Marzio, una parte della città dove Nerone stava costruendo». La sua scoperta viene però lasciata al caso: agli scavi per la metropolitana o ai lavori di ristrutturazione dei seminterrati. La grandezza architettonica del regno di Nerone potrebbe altrimenti rimanere sepolta sotto secoli di storia romana. Perfino a Subiaco, dove Nerone cominciò a costruire una villa nel 54 d.C., facendo erigere una diga sul fiume Aniene per creare tre laghi vicino al suo patio, le rovine riposano dietro a un cancello chiuso, ignorate dalle orde di turisti che passano di là per raggiungere il vicino monastero benedettino.
In tutto l’ex impero c’è un posto che ha scelto di celebrare Nerone: Anzio, celebre testa di sbarco delle truppe americane nella seconda guerra mondiale. Qui Nerone è nato, qui c’era un’altra sua villa, ora quasi tutta sommersa, dalla quale provengono diversi manufatti attualmente conservati nel museo della cittadina laziale. Nel 2009 Luciano Bruschini, nuovo sindaco di Anzio, rese nota la sua intenzione di commissionare una statua – scoperta nel 2010 – del famigerato figlio della città.
Oggi quella statua si trova davanti al mare. Alta circa due metri, una rappresentazione alquanto misteriosa dell’imperatore ventenne in piedi su una colonna, vestito con la toga, lo sguardo assorto mentre con il braccio destro alzato indica verso l’acqua. La placca riporta il suo nome per intero in italiano, Nerone Claudio Cesare Augusto Germanico, e commemora la sua data di nascita: Anzio, 15 dicembre 37 d.C. Poi, dopo aver descritto il suo lignaggio, recita: “Durante il suo regno l’impero conobbe un periodo di pace, di grande splendore e d’importanti riforme”.
«Quando ero ragazzo venivo a nuotare tra le rovine della villa», mi ha detto il sindaco Bruschini in una mattina di primavera, mentre eravamo seduti nel suo ufficio che affaccia sul mare. «Da bambini ci hanno insegnato che Nerone era malvagio, che era uno dei peggiori imperatori. Ma facendo qualche ricerca sono arrivato alla conclusione che non è vero. Credo che Nerone sia stato un buon imperatore, se non addirittura un grande imperatore. Forse il più amato di tutto l’impero. È stato un grande riformista. I senatori erano ricchi e avevano gli schiavi. Nerone prese da loro per dare ai poveri. È stato il primo socialista!».
Bruschini, orgoglioso socialista, ha proseguito sorridendo: «Dopo essere stato eletto ho deciso di fare questa riabilitazione di Nerone. Abbiamo affisso poster con la scritta: “Anzio, città di Nerone”. Qualcuno mi ha detto “ma sindaco, ha ammazzato un sacco di cristiani”. Io gli ho risposto, “solo alcuni. Niente rispetto alle migliaia di cristiani massacrati dagli imperatori che vennero dopo di lui”. Abbiamo valutato le proposte di due scultori: quella che ritraeva Nerone come un folle è stata scartata. L’altra è la statua che vedi oggi. Ora è il posto più fotografato della città. D’estate, sotto il monumento, si raduna una folla di gente».
A volte il sindaco esce a fare due passi in direzione della statua, dove si ferma ad ascoltare quello che dicono i turisti. Ogni tanto li sente leggere la placca che parla di pace, grande splendore e importanti riforme. “Un mucchio di balle”, mormorano. Sostenitori del mito fino alla fine, conclude Bruschini, gli stessi che credono nella stupida leggenda dell’imperatore che suona la cetra mentre Roma brucia, e che non si rendono conto di quanto sia stato tragico il suo ultimo giorno di vita: un sovrano perseguitato, in fuga, convinto dai suoi traditori a rifugiarsi non ad Anzio o in Egitto, ma in una villa a nord di Roma, inseguito dai suoi nemici e disperato, perché l’unica cosa che gli è rimasta da scegliere è il modo ili cui morire.
Non importa.
Adesso il re ragazzo è a casa, circondato ancora una volta dal suo popolo.