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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

CHAGALL L’AMORE SOPRA OGNI COSA


«Nessun luogo è sicuro», ha scritto Bruno Zevi in un saggio sull’architettura ebraica. E nessun luogo è saldo qui, nelle sale di Palazzo Reale, che da oggi ospitano mucche volanti, torri in bilico, amanti sospesi nel vuoto, madonne vestite da sposa, angeli colti nella sorpresa della caduta. Nessun luogo è sicuro in Chagall, poeta del simbolo, cantore della mistica ebraica in un linguaggio universale, riconoscibilissimo — iconico?
E la mostra che si apre al pubblico, «Marc Chagall. Una retrospettiva 1908-1985», è un lungo racconto di immagini che sgretolano la realtà immanente, in un andante gioioso tra fiaba e storia. La curatrice, Claudia Zevi, parla di «un rigoroso ordine cronologico per ricostruire la coerenza di questo grande artista» e così si parte dalle origini, da quella Vitebsk (nell’attuale Bielorussia) dove Moishe Segal nacque nel 1887. Educazione chassidica, cresciuto tra i pogrom , radici religiose e popolari che si incarnano sin dai primi dipinti, come Nudo rosso del 1909.
Ma si osservino le scene rubate al quotidiano: una coppia a tavola, un rabbino, le galline che passeggiano per le strade dissestate. Sta qui la poesia di quello che l’amico poeta Blaise Cendrars definirà «un genio, spaccato come una pesca». La memoria diventerà serbatoio di immagini ricorrenti: il pendolo, le case con l’occhio, il gallo, il rabbino, il violino, la tavolozza. Compaiono figure che sembrano ibridi tra uomini e animali: un escamotage per aggirare il fermo divieto religioso a riprodurre la figura umana? Sì, secondo i curatori (oltre a Zevi, c’è Meret Meyer), ma anche un senso «insulare», dell’utopia, un mondo che non c’è, è vero, ma che conserva una ferma coerenza.
Del 1915 (l’anno del matrimonio con Bella) sono tre quadri proposti in mostra, solo apparentemente distanti l’uno dall’altro: Il compleanno , dove Marc si dipinge sospeso a baciare l’amata moglie in una posizione, dirà lei, «impossibile eppure leggera» (come l’amore?); L’ebreo in rosso e Il poeta giacente . In tutti e tre affiora una meticolosa ricerca dell’utopia, nervo dello chassidismo puntellato di favole (Marc aveva letto le fiabe di Ivan Krylov), parabole, racconti, metafore. È così che la gallina razzolante diventa un volatile a testa in giù (metafora di vitalità in caduta?) e la mucca bianca si eleva in cielo. «Dio verrà», è la promessa che sta dietro questo universo popolare. E la speranza senza fine è la benzina che porterà questo artista ad attraversare due guerre mondiali, la persecuzione dei nazisti, l’ostilità dei sovietici, nonché la morte della compagna di vita, senza mai perdere la tenerezza . E il gioco.
Perché questa raffinatissima scelta di 220 opere (molte inedite in Italia) racconta anche un altro aspetto: il profondo retroterra gioioso e giocoso che sta alla base della sapienza ebraica. Recita la Bibbia: «Davide danzava con tutte le forze davanti al Signore».
Ecco perché, anche quando lascerà Vitebsk per Parigi e poi per Berlino, in ogni città cercherà di rintracciare l’immagine di una danza amorosa, un abbraccio tra amanti, il sorriso di una donna, il violinista. Certo, anche Chagall diventerà «pittore del popolo» e realizzò scene e costumi per il Teatro Ebraico di Mosca (1920, in mostra). Ma i vertici rivoluzionari gli chiedevano di snaturare la sua pittura e così, nel ‘22, se ne andò.
Parigi. Nuova vita, memoria antica: ritratti più solidi, si fa più chiara l’impronta dei classici e di Rembrandt. C’è la sempre presente Bella e arriva una commissione importante. Ambroise Vollard gli chiede di illustrare con acqueforti una preziosa edizione delle favole di La Fontaine, titillando la corda più segreta dell’artista, l’immaginario fiabesco del mondo animale. Ne nacque uno scandalo (un ebreo russo che interpreta la classicità francese?), ma anche una serie bellissima, poetica. Spiccano in mostra: piccioni che si baciano, rane, galli.
Nessun messaggio moralizzatore: l’amore vibra libero, tutto non è ma è Pa’am Achat , «c’era una volta». Così la spiritualità e la favola si fondono in un unico linguaggio che trae forza dalle radici comuni. La caduta dell’angelo , capolavoro che a Palazzo Reale è accompagnato da studi e bozzetti e al quale il pittore lavorerà per un ventennio, è una sintesi perfetta di fede, amore, dolore, castigo, gloria, promessa, metafora. Alla fine degli anni Trenta la distanza dalla realtà si fa sempre più consistente, come se l’artista avvertisse un presagio oscuro: e infatti arriveranno presto gli orrori della Seconda guerra mondiale e, in seguito, nel 1944, morirà Bella.
Come sarà diverso, da allora. Resterà in America, poi si trasferirà nel sud della Francia, approfondirà l’analisi sul linguaggio biblico (interessante la mostra «parallela» ospitata al Museo Diocesano di Milano, che propone 60 tra dipinti, sculture e disegni ispirati alla Bibbia). Accrescerà l’interesse per la ceramica e l’incisione. Insomma, sarà leggermente più inquieto, ma forse mai realmente infelice. Dipingerà meravigliosi cristi in croce, scriverà poesia, si incupirà nei colori e affollerà le tele di rossi, aranci, fiori, arlecchini, angeli.
Eppure in ogni sua opera, si potrà sempre ritrovare quel «poeta sdraiato» che tanto somiglia al Pascoli de L’ora di Barga : «Ma un poco ancora lascia che guardi/ l’albero, il ragno, l’ape, lo stelo,/ cose che han molti secoli o un anno/ o un’ora, e quelle nubi che vanno».