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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

LA MADRE DI FOLEY CRITICA IL GOVERNO «CAMBIATE LA POLITICA SUGLI OSTAGGI»


«L’Fbi non ci ha aiutato molto, dobbiamo ammetterlo. Il nostro governo è stato molto chiaro nel dire che non si sarebbe dovuto pagare alcun riscatto. È stato orribile, e continua ad essere orribile. È come trovarsi tra l’incudine e il martello». In un’intervista al New York Times , Diane Foley, la madre del giornalista americano decapitato il mese scorso dallo Stato Islamico in Siria, torna a criticare la gestione della crisi da parte del governo degli Stati Uniti e chiede di cambiare politica, per il bene delle famiglie degli altri ostaggi ancora in vita. L’accusa è di non aver mai trattato come una vera priorità il rapimento, a differenza di quanto fecero altri governi occidentali, e di aver lasciato le famiglie ad agire da sole tra informazioni carenti e contraddittorie. Quando, lo scorso novembre, ai Foley arrivò via email la richiesta di 100 milioni di euro e della liberazione di prigionieri musulmani negli Stati Uniti in cambio della vita del figlio James, l’Fbi li avvertì che il governo non avrebbe accettato uno scambio né di versare alcun riscatto. All’inizio, inoltre, i genitori furono informati che, se avessero pagato privatamente, avrebbero commesso un crimine; poi, più avanti, furono informati invece dall’Fbi che difficilmente avrebbero rischiato un’incriminazione, e così la famiglia cercò di raccogliere una parte del denaro. Il Global Post , il sito per cui il giornalista lavorava, spese milioni di dollari per pagare dei contractors che lo localizzassero. Poi, quando, lo scorso maggio, si seppe del rilascio di Bowe Bergdahl, il sergente Usa in mano ai talebani in cambio della scarcerazione di 5 detenuti di Guantanamo, la famiglia di Foley trasecolò. Fu spiegato loro che, trattandosi di un prigioniero di guerra, i negoziati erano legittimi: un’eccezione che però loro non riuscirono ad accettare. La madre di Foley, che in passato ha detto al Corriere di essere «delusa» per «gli errori» del suo governo, è oggi ancora pi ù dura. Si definisce «sconvolta»: «Jim era nelle mani di un gruppo brutale e pieno di odio, ma era chiaro che volevano negoziare, era ovvio che volevano parlare con il governo. Non capisco perché noi non siamo stati disposti a farlo. Questo li ha resi sempre più arrabbiati». Fonti Usa si sono difese ricordando l’operazione «top secret» per liberare James Foley a luglio. Ma i familiari criticano il governo anche per non averli informati che, negli stessi mesi in cui loro erano stati contattati, altre richieste erano state ricevute da paesi tra cui l’Italia (per Federico Motka) che «hanno affrontato la crisi in modo migliore».