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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

PORNO DIPENDENZA

È un uomo molto più giovane di quanto chi scrive si aspettasse, quello che si siede furtivamente a un tavolino di un bar milanese. Per questa intervista è stato scelto un locale che consente un po’ di privacy, e nel quale le poltrone sono ben distanziate. Nonostante le precauzioni, è evidente un certo imbarazzo.
G.C. ha circa trent’anni, un lavoro da commercialista e un fisico gradevole e prestante. D suo nome è stato segnalato da una psicologa che lavora in un centro di terapia cognitivo-comportamentale che cura pazienti come lui, affetti da dipendenza da sesso virtuale, meglio nota come pomo addiction, una patologia sulla cui esistenza c’è ancora, in realtà, un ampio dibattito scientifico. G.C., però, non condivide le perplessità degli scienziati su ciò che gli ha sconvolto la vita. «Non avrei mai immaginato che guardare un po’ di video pomo mi cambiasse la vita, e soprattutto che un giorno non avrei più potuto farne a meno».
Tutto comincia circa due anni prima del nostro colloquio: G.C. ha appena sposato la sua ragazza, con la quale è fidanzato dai tempi del liceo. È entrato da poco in uno studio di commercialisti molto noti e il lavoro che svolge è impegnativo e stressante. «Tornavo a casa la sera alle undici, e mia moglie già dormiva. Lei lavora in un negozio, e si alza molto presto». È così che inizia a navigare su Internet per passare il tempo.
«Mi sentivo frustrato, tra mia moglie e me non c’era mai stata una grande passione. È più che altro un rapporto sicuro, senza sorprese: siamo cresciuti insieme». Dopo qualche tentativo di trovare qualcuno con cui parlare di sesso su siti di chat e appuntamenti – «che non mi sono piaciuti perché ci sono molti più uomini che donne e perché spesso quelle presenti sono in realtà prostitute che cercano di adescare clienti» – G.C. approda su YouPom, il sito di video gratuiti più noto e frequentato del mondo. «Non avevo mai visto un film porno prima di allora, e nemmeno una rivista un po’ spinta. Sono cresciuto in una famiglia molto chiusa da questo punto di vista, e ho frequentato la parrocchia e gli scout fino ai 24 anni. D primo video è stato come una botta di adrenalina: il cuore batteva a mille, mi sentivo eccitato e felice. Mi rilassavo dello stress quotidiano e poi riuscivo a dormire tranquillo».
Col tempo, G.C. non si accontenta più dei video gratuiti: scopre che pagando può avere video di qualità migliore e di durata più lunga. «Avevo paura che qualcuno mi rintracciasse, quindi mi sono fatto fare una carta di credito ricaricabile, praticamente anonima, che usavo solo per acquistare video pornografici». La mezz’ora serale davanti al computer diventa un’ora, poi due. Nel giro di sei mesi G.C. va in deprivazione di sonno: «Ormai dormivo non più di tre ore per notte, e l’indomani, in ufficio, crollavo sulla scrivania». Anche le spese lievitano, man mano che G.C. scopre siti più raffinati o più spinti, e i costi aumentano. «Ho scoperto i video a sfondo sadomasochistico e ho cominciato a cercarli sui siti specializzati. Sono cari, e poco diffusi sui canali gratuiti. E soprattutto avevo bisogno di video sempre più estremi per ottenere soddisfazione».
Nel frattempo la vita coniugale è quasi inesistente: «Non avevo alcuna voglia di fare sesso con mia moglie, mi sembrava una cosa banale e poco eccitante. Non mi è nemmeno venuto in mente di proporle di cambiare le nostre abitudini e di provare qualcosa di nuovo: semplicemente, fare queste cose non mi interessa. Mi piace guardarle».
Gli ammanchi sul conto corrente comune si fanno importanti, e alla moglie viene qualche sospetto. Chiede spiegazioni, scopre che il denaro viene trasferito su una carta di credito prepagata e comincia a pensare che il marito abbia un’amante. «È in quel momento che ha iniziato a svegliarsi di notte e a venire a controllare cosa facevo al computer. Era frustrante, dovevo fare attenzione e tenere sempre la schermata di lavoro pronta per essere portata in primo piano al minimo rumore sospetto».
Il bisogno di vedere film porno diventa impellente anche di giorno. «Ho scoperto che in ufficio era più facile: avevo un iPad personale e una stanza tutta per me. Potevo anche chiudermi in bagno. È stato l’inizio della fine, perché ormai non riuscivo più a lavorare: ogni mezz’ora, tre quarti d’ora al massimo, avevo bisogno di guardare un video».
I conti di casa vanno in rosso, e la moglie impone un chiarimento. G.C. racconta con fatica che cosa gli sta succedendo e lei se ne va di casa. «È una donna molto credente e con un forte senso morale. Non poteva accettare ciò che le stavo raccontando». Nel frattempo, lo studio in cui lavora decide di ridimensionare il personale e ne approfitta per licenziarlo, data la sua scarsa produttività.
«A quel punto ho capito che stavo perdendo tutto e sono andato a chiedere aiuto. Ho incontrato una psicologa che ha diagnosticato una forte depressione combinata con una dipendenza da porno. Ora prendo farmaci e sto facendo una terapia di disintossicazione. Ho messo dei filtri nel computer per cui non posso accedere ai siti che usavo un tempo e non ho più una carta di credito. Sto seguendo una terapia comportamentale per tenere sotto controllo il desiderio di cercare altre fonti di video (una volta ci sono ricaduto e sono entrato in uno di quei sex shop con le cabine) e recentemente mia moglie ha accettato di partecipare alle sedute di psicoterapia nella speranza di poter rimettere insieme il nostro matrimonio. Ho aperto uno studio di commercialista per conto mio, ma i tempi sono difficili e non posso dire di stare bene economicamente».
G.C. è però sicuro di una cosa: la volontà, nella sua storia, c’entra solo in minima parte. «Per me il porno è come una droga, è qualcosa di indispensabile che mi fa sentire vivo. Senza mi sento come amputato. Ma capisco che il prezzo sociale da pagare per questa mia dipendenza è troppo elevato, e quindi cerco di liberarmene».
G.C. è in buona compagnia: già nel 2004, negli Stati Uniti, nel corso di un’audizione al Senato federale, un gruppo di esperti aveva affermato che la pornografia, specie quella online, è pericolosamente incline a produrre dipendenza in milioni di statunitensi. In quell’udienza, che doveva portare a una regolamentazione della materia, gli effetti del porno furono addirittura considerati «tossici» e confrontati con quelli della cocaina. Uno degli esperti interpellati, uno psicologo, affermò anche che «l’esposizione prolungata alla pornografia stimola la preferenza per il sesso di gruppo, per le pratiche sadomasochistiche e per le parafilie, come il sesso con animali». In sostanza il porno funziona come una droga anche perché induce ad aumentare continuamente la «dose», non solo in termini di tempo speso a guardarlo, ma anche di qualità e contenuti dei video. E il fenomeno è in crescita per via della disponibilità e accessibilità della merce: oltre mezzo milione di siti solo per adulti sulla rete. Quel che non è chiaro, però, è che cosa accade a livello biologico, cioè se davvero cambia qualcosa nel cervello di chi è dipendente dal porno, il che costituisce un presupposto per parlare di dipendenza in termini medici e biologici.
David Ley è uno psicologo clinico, e dirige New Mexico Solutions, un programma di salute sviluppato negli Stati Uniti. È anche Fautore della più recente e completa revisione sistematica della letteratura in materia di pornodipendenza, pubblicata nel febbraio scorso su Current Sexual Health Reports. «La dipendenza da pornografia non è stata inserita nella recente revisione del DSM, il manuale che raggruppa le patologie psichiatriche» spiega. «Tra le nuove dipendenze, solo quella da gioco d’azzardo ha le caratteri-tiche necessarie a definirla come tale, perché gli studi di imaging e le indagini epidemiologiche dimostrano che effettivamente, in quel caso, c’è un coinvolgimento delle aree cerebrali che regolano anche la dipendenza da droghe. Solo il 37 per cento delle ricerche sui comportamenti sessuali compulsivi li definisce come dipendenza. E solo il 27 per cento degli studi contiene dati aggiornati, mentre in questo settore abbondano ricerche con un disegno sperimentale povero, con scarso rigore metodologico e senza un chiaro modello di spiegazione del fenomeno al quale riferirsi dal punto di vista biologico».
Non solo: anche alcuni sintomi di tipo fisico, che secondo i sostenitori della dipendenza da porno sarebbero molto comuni, in realtà non vengono correlati, negli studi, alla visione di video pornografici. «Non vi sono dimostrazioni di un legame con la disfunzione erettile, ne soprattutto di cambiamenti, a livello cerebrale, riscontrabili con le tecniche di imaging. Infine una parola va spesa anche per gli adolescenti: malgrado le denunce che piovono da più parti sulla facilità di accesso a materiale esplicito sulla rete, non ci sono studi che dimostrino un cambiamento reale nelle abitudini sessuali degli adolescenti che possa essere attribuito a questo fattore. Se i giovani oggi fanno sesso in modo diverso o hanno comportamenti sessuali più disinibiti rispetto a qualche generazione fa, la ragione è da ricercare nell’educazione sociale e familiare, che è molto diversa».
Non solo: David Ley si spinge fino a ipotizzare un effetto benefico della visione di immagini pornografiche nell’età dell’educazione sentimentale, perché aumenterebbe l’interesse verso la sessualità invece di reprimerlo, migliorerebbe la qualità della vita e la varietà delle pratiche sessuali, aumentando il piacere anche nelle relazioni stabili. «Inoltre la pornografia fornisce uno sfogo legale a comportamenti o desideri sessuali illegali», dice ancora l’esperto, che per queste opinioni è stato vivacemente criticato sia nel mondo scientifico sia in quello politico: «Il consumo e la disponibilità di pornografia si correla con una diminuzione delle molestie sessuali, in particolare verso i bambini, e non il contrario».
I medici e gli psicologi, quindi, dovrebbero fare attenzione a usare il termine dipendenza per definire una categoria di soggetti che presenta caratteristiche molto omogenee: sono quasi tutti maschi, molti non eterosessuali alle scale di valutazione dell’orientamento sessuale (sebbene lo siano nel comportamento quotidiano), oppure con un elevato livello di libido che entra in conflitto con valori religiosi o morali.
Quest’ultimo punto è confermato anche da una ricerca condotta recentemente da Joshua Grubbs, della Case Western Reserve University, e pubblicata su Archives of Sexual Be- haviors, secondo la quale sono le persone con un background religioso le più convinte di soffrire di una forma di dipendenza da porno. «Nella nostra indagine abbiamo notato come molti uomini con una forte identità cristiana tendono a ritenere la loro abitudine a consumare pornografia come un dipendenza, per superare il senso di colpa che trovano nel non riuscire, con la sola volontà, a limitare un comportamento che percepiscono come deviante anche quando non lo è», spiega Grubbs.
La principale difficoltà incontrata dai ricercatori sta nella definizione stessa del disturbo: in assenza di una classificazione certa, i criteri per la diagnosi vengono derivati da altre forme di dipendenza. Per esempio si considera la visione di video porno come patologica solo quando diventa compulsiva (cioè quando anche il lavoro o gli impegni familiari non bastano a rimandare l’impulso a collegarsi a Internet), oppure quando porta a una disorganizzazione dei ritmi di vita quotidiani che impatta sulla qualità del lavoro e sulla vita di relazione.
Le persone che ne soffrono, così come G.C., riferiscono spesso una diagnosi concomitante di depressione, difficoltà matrimoniali o di coppia e gravi perdite finanziarie legate all’abitudine stessa. Su questa base sono stati condotti anche i pochi studi epidemiologici disponibili, secondo i quali soffrirebbe di pornodipendenza circa il 5 per cento della popolazione di un paese avanzato con accesso diffuso alla rete. Un altro studio, condotto in Gran Bretagna usando una scala ad hoc per la misura dei comportamenti sessuali compulsivi, afferma che il 17 per cento di coloro che accedono ai siti di porno ha un problema di controllo di questa abitudine, anche quando gli effetti sulla vita quotidiana sono circoscritti. Infine, un sondaggio effettuato nel 2008 su un campione di studenti di college americani dimostra che per molti di loro (dal 20 al 60 per cento a seconda del campione selezionato) questa abitudine non è vissuta come normale, ma è la manifestazione di un disagio.
Vi è poi un ulteriore problema di classificazione legato al fatto che secondo molti psicologi esisterebbe una dipendenza da Internet come mezzo, indipendentemente dal contenuto. Anche questo disturbo non è stato accettato nel novero delle malattie riconosciute dal DSMV, ma nella stragrande maggioranza dei casi di Intenet addiction il materiale consultato più di frequente è quello pornografico, rendendo impossibile distinguere statisticamente i due fenomeni. A seconda degli studi esaminati, la dipendenza da internet colpisce dall’1,5 all’8 per cento di europei e statunitensi. «Abbiamo bisogno di metodi migliori per aiutare le persone che combattono con l’abitudine di usare troppi stimoli sessuali di tipo visivo senza per questo renderli tutti malati in potenza. Invece di aiutarli a controllare gli impulsi in maniera sana, l’idea che esista una pornodipendenza foraggia un’industria che si basa proprio sulla deresponsabilizzazione: sei un "tossico", per cui non sei nel pieno delle tue facoltà di scelta quando accedi ai video», continua Ley, che ha scritto la sua revisione anche per bloccare la diffusione di pratiche pseudoscientifiche ma molto lucrative, che promettono di «liberare» in pornodipendenti dal loro disturbo.
Il fenomeno è molto diffuso negli Stati Uniti – anche per la pubblicità indiretta apportata da celebrità come Michael Douglas, che hanno fatto outing sulla loro situazione quando sono stati ricoverati in costose cliniche – ma anche in Italia non mancano siti e specialisti che promettono terapie rapide proprio puntando sul concetto di dipendenza.
Qualche prova a sostegno dell’esistenza della dipendenza vera e propria potrebbe però venire dall’imaging cerebrale combinato con le conoscenze che abbiamo sulla biochimica del cervello. Più di dieci anni fa una sessuologa molto controversa, Judith Reisman, fiera oppositrice delle ricerche di Kinsey sulla sessualità umana, arrivò a ipotizzare l’esistenza di «erototossine», sostanze sintetizzate dal cervello durante la visione di immagini pornografiche, che avrebbero un effetto negativo sulle funzioni cognitive. Le opinioni della Reisman sono influenzate dalla sua appartenenza all’ala più conservatrice della psicologia statunitense, ma alcune ricerche recenti potrebbero offrire un supporto all’ipotesi di una dipendenza di tipo biochimico dai video pornografici.
Valerie Voon, una neuropsichiatra di Cambridge, ha dimostrato con la risonanza magnetica funzionale che nelle persone che guardano molti porno si attivano, alla vista di fotografie a sfondo sessuale, le stesse aree cerebrali che si attivano negli alcolisti alla vista delle bottiglie di liquori, in particolare lo striato ventrale e l’amigdala. Il suo lavoro è stato recentemente confermato da un ulteriore studio su 19 persone con dipendenza da sesso (non necessariamente virtuale, perché nel campione erano presenti anche soggetti affetti da ipersessualità) e 19 controlli.
Chi è dipendente dal sesso mostra una dissociazione tra il desiderio di guardare i video pornografici e il piacere che ne trae, che non è superiore (ma spesso è persino inferiore) a quello che ne traggono i soggetti di controllo: esattamente come avviene nel caso di sostanze da abuso, la cui dose deve essere continuamente aumentata per fornire un livello di piacere analogo al precedente.
D’altronde molti neurotrasmettitori sono risultati coinvolti nel cosiddetto «circuito del porno», anche se la loro presenza non giustifica resistenza di una dipendenza, dato che il piacere sessuale è un bisogno biologico, e come tale esistono nel cervello strutture deputate a ricercarlo e apprezzarlo. Distinguere quanto certe attivazioni cerebrali dipendano da un tratto biologicamente determinato e quanto da modificazioni indotte dall’abitudine è qua-si impossibile, e ciò rende difficile capire se vi sia una predisposizione biologica all’uso compulsivo del sesso o se questo sia il risultato degli avvenimenti della propria vita,.
Un altro elemento a sostegno di un ipotetico substrato biologico viene dalla cosiddetta dipendenza crociata: poiché alcool, cibo, droghe, sesso, gioco d’azzardo, acquisti compulsivi e fumo di sigaretta agiscono sul medesimo circuito cerebrale del piacere (lo striato ventrale, il cingolo dorsale anteriore, il pallido e lo striato ventrale) è facile che un individuo presenti più dipendenze concomitanti o che passi da una dipendenza all’altra.
«Che sia di origine biologica o comportamentale, l’abitudine a guardare troppi video porno fa parte delle "dipendenze senza so- stanza", nelle quali non sono presenti agenti chimici introdotti dall’estemo», afferma Piergiorgio Zuccaro, dell’Istituto superiore di Sanità, che si occupa di formare i medici di medicina generale perché facciano diagnosi di dipendenza (in particolare di tossicodipendenza) in modo tempestivo. «Ritengo importante valutare l’impatto di un’abitudine sulla vita della persona. Se guardare film porno impedisce di formare una coppia stabile oppure di lavorare, allora si tratta di una patologia, qualsiasi sia l’origine. E ha bisogno di un intervento terapeutico di sostegno. Infine mi pare molto importante considerare la compresenza di altre patologie, in particolare ansia e depressione: è possibile che l’abitudine di consumare quantità eccessive di video a sfondo sessuale sia solo una manifestazione di un disagio più grande».