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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

SE RENZI FALLISCE, C’È MARCHIONNE

[Intervista a Gianpaolo Pansa] –
Ancora Giampaolo Pansa. Non si è spenta l’eco de La grande bugia, la sua rigorosa «controstoria della Resistenza», uscito in primavera per Rizzoli, ed eccolo che dà alle stampe Eia eia alalà, col medesimo editore, e ti aspetti un altro affondo revisionista, documentatissimo e polemico com’è l’autore.
E invece no. Stavolta, questo inquieto giornalista e scrittore monferrino, classe 1935, spiazza il lettore con un romanzo assai fedele alla storia del fascismo, ma narrato col pretesto di un racconto biografico ricco di amori e passioni.
Domanda. Pansa, il protagonista del suo romanzo, un agrario del Monferrato, comincia il suo racconto dall’Italia confusa e un po’ violenta del 1919. Lei, introducendo il libro, parla di assonanze col presente. Rischiamo un nuovo fascismo?
Risposta. Chi ha vissuto quell’epoca, trova oggi assonanze pazzesche con quel periodo. Era un’epoca particolare: c’era il predominio delle sinistre rivoluzionarie e violente, delle leghe rosse, c’era il fascismo nascente, eravamo un paese poverissimo, fondato di fatto dall’agricoltura, fatto di braccianti, salariati, gente che faticava a mettere insieme il pranzo con la cena.
D. Beh, siamo in crisi ma, grazie a Dio, non messi così male.
R. Sì, ma la crisi avanza, e c’era, anche allora, una casta politica, che non si chiamava ovviamente così, e c’erano partiti imbelli e incapaci ad affrontare la situazione. Un’altra assonanza.
D. Non mi dica che anche lei sta coi costituzionalisti alla Gustavo Zagrebelski che vedono nel premier, Matteo Renzi, un dittatore in potenza...
R. No, anche perché lo giudico inadatto a fare il premier, unfit, come disse Economist di Silvio Berlusconi, perché ha sbagliato l’agenda, partendo dalle cose di maggior consenso come la riforma del Senato. No, non credo alla svolta autoritaria, ma certo è terrorizzante che non riescano a eleggere due giudici costituzionali. Siamo impazziti?
D. All’attualità ci torniamo, Pansa. Ma ora parliamo un po’ del libro. Con la vicenda del protagonista, Edoardo Magni, lei rifà la storia di un ventennio.
R. È l’autobiografia della nazione: eravamo tutti fascisti, tranne una piccola minoranza di comunisti, socialisti o laici, come i fratelli Rosselli e Gobetti. Un’Italia che viveva il biennio rosso e le sue violenze, con una sinistra che voleva far la rivoluzione, almeno a parole, finché non arriva lo squadrismo fascista, la reazione, che procede coi fatti.
D. Una controrivoluzione preventiva, lei ricorda, citando il saggio di Luigi Fabbri.
R. Fu così. Anche il protagonista, è normotipo, un ufficiale della Grande Guerra, che si dedica alla sua fattoria e a scopare le donne. Un italiano perfetto. Finanzia le prime squadre fasciste perché gli sembrava positivo che qualcuno volesse fermare quel caos.
D. Poi, però, diventa un dissidente, come il ras fascista della Lomellina, Cesare Forni, la cui figura viene ricordata spesso. Un personaggio realmente esistito, che da fascista antemarcia si oppose a Mussolini.
R. Certo, si disamora di quella rivoluzione, perché vede arrivare mezze tacche, avventurieri di ogni risma, affaristi.
D. E poi, grazie a un amore, l’ultimo dei quattro che punteggiano la storia, conosce e capisce le leggi razziali e l’Olocausto. Infatti l’ultima parte del romanza ricostruisce in dettaglio tante storie di ebrei della sua Casale, finiti nelle camere a gas.
R. Non era la prima volte che ne scrivevo, ma volevo mettere lì qualcosa che mi ha sempre colpito: gli ebrei uccisi nell’indifferenza gelida. E guardi che Casale era una città piccola e civile anche allora, in cui io ebbi un’infanzia felice coi miei genitori. Mia madre che aveva un negozio di moda e la nostra casa, a sera, si riempiva di parenti e amici che discutevano di tutto. Eppure degli ebrei portati via, non li ho sentiti mai parlare.
D. Perché?
R. Perché l’essere umano è fatto così, le disgrazie altrui finge di non vederle. Si occupa del proprio particulare.
D. Il protagonista si rende conto, con orrore della realtà. Marianna, la sua compagna ebrea, ne cura una sorta di educazione sentimentale, gli apre gli occhi.
R. In realtà, anche gli effetti della guerra avevano contribuito. Il conflitto mondiale a fianco di Hitler è stato un errore fatale di Mussolini.
D. Anche lei è convinto che sarebbe morto nel suo letto, come il caudillo Franco?
R. Penso proprio di sì, perché la guerra arrivò a tutti coi bombardamenti. Non ci si rende conto di cosa sia, oggi. Io la paura più grande, in vita mia, l’ho avuta allora. Me ne sono sempre fregato di tutto, delle Brigate Rosse, della banda di Marco Barbone (quella che uccise Walter Tobagi, ndr) che mi aveva messo nel mirino, ma ricordo con terrore i bombardamenti su Casale, una domenica, in pieno giorno.
D. I suoi detrattori, quelli che l’hanno attaccata per i suoi libri su Salò, diranno che stavolta ha voluto fare un libro sul «fascismo perbene», come a un certo punto il protagonista dice di quello proclamato da Forni.
R. Forni fu uno squadrista, uno che menò e anche duramente, non era questo l’intento, anche se fu un personaggio a cui volevo dedicare un libro nel 1968. E comunque, sa cosa penso dei miei detrattori?
D. No, mi dica...
R. Che han fatto la mia fortuna, facendomi vendere migliaia e migliaia di copie. Anche ieri, ero con Adele (Adele Grisendi, scrittrice, già dirigente Cgil, ndr) a ritirare alcuni documenti, e ho trovato tre persone che, riconosciutomi, sono venute a ringraziarmi. Ultimamente, dei miei detrattori non me ne importa un cazzo.
D. Tanto per esser chiari. Ma torniamo all’Italia di oggi, Pansa. Come finisce?
R. Finisce che, se la crisi economica avanza, Renzi lo segano, altro che venti anni al governo.
D. E dopo chi viene? Mario Draghi?
R. No, dopo viene Sergio Marchionne.
D. Da Detroit? Non posso crederci.
R. Arriverà col pugno duro, che Renzi non ha, e senza gigli magici mediocri intorno. È freddo, crudele e farà le cose che vanno fatte. Speriamo che non sia come Mussolini, ovviamente.
Goffredo Pistelli, ItaliaOggi 17/9/2014