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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

SUL FRONTE ORIENTALE MUORE ANCHE IL CALCIO

O’Dea non gioca più, se n’è andato. Era arrivato a luglio, con la sua fama di discreto difensore centrale della nazionale irlandese, ingaggiato dal Metalurh Donetsk. Dopo un mese ha capito che non poteva gestire la paura ed è tornato a Dublino, rinunciando a due anni di ingaggio. Invece a Edmar Halovskyi de Lacerda, brasiliano naturalizzato ucraino, attaccante del Metalist Kharkiv, una mattina è venuto un colpo: si è trovato tra le mani la cartolina militare, lo chiamavano alle armi sul fronte orientale. Panico, urla, pianti. Poi gli hanno detto ci scusi tanto, dev’essere stato un errore: i calciatori, almeno loro, non vanno in guerra. Quanto ai cinque brasiliani dello Shakhtar, hanno provato a non presentarsi dopo le vacanze, terrorizzati per le notizie dei morti nelle strade: ma il club li ha obbligati a tener fede ai contratti, e poi lo Shakhtar non sta più a Donetsk, ora si è trasferito a Kiev e fa tutto qui, allenamenti e partite, anche se le prime due della stagione le ha giocate a Leopoli, dove disputerà anche le gare di Champions, ma intanto ha vinto sei gare su sei del campionato. La meravigliosa Donbass Arena di Donetsk, uno degli stadi più belli d’Europa, è stata ripetutamente bombardata, mentre la sede del club è stata occupata dai militari russi. Il magnate Akhmetov, presidente dello Shakhtar, un tempo filorusso e finanziatore di Yanukovich, ora è in grave imbarazzo e cerca mediazioni col governo ucraino. Al pari dello Shakhtar, nel frattempo si sono trasferiti a Kiev anche il Metalurh Donetsk, l’Olimpik Donetsk e il Metalurh Lugansk, perché le loro città sono zone di guerra. L’Illichivets di Mariupol, sul mare di Azov, altro centro sotto assedio e col coprifuoco notturno, ha scelto di giocare sempre e solo in trasferta. Il Dnipro gioca ancora nella sua città, che però è pericolosamente vicina alle zone calde del conflitto. Così l’Uefa ha deciso che le gare di Europa League dovrà disputarle a Kiev, unica sede considerata sicura a livello internazionale insieme a Leopoli, e per questo l’Inter domani sarà di scena qui, nel grande stadio Olimpico, quello di Spagna-Italia 4-0, finale degli ultimi Europei. I tre club della Crimea (Yalta, Sevastopol e Simferopol) hanno proprio salutato la compagnia, e sono stati assorbiti dal campionato russo (ma in terza serie), cambiando pure la denominazione sociale.
Così lentamente muore, insieme alle persone sotto i bombardamenti nel Donbass, anche il torneo ucraino, un tempo considerato il settimo d’Europa per valore tecnico ed economico. Era così ricca, la Premier League di qui, che aveva ingaggiato Pierluigi Collina come supervisore degli arbitri, e con Luciano Luci come consulente, con un contratto fino al 2015. Ora sono rimaste 14 squadre, ma molte di loro vivono in trasferta. Si giocheranno in tutto 26 partite, senza playoff di alcun genere, e la si chiuderà lì. Dicono che di questo passo il campionato verrà sospeso per almeno un paio d’anni, anzi è già un vero miracolo che si giochi ancora e chissà se dopo la sosta invernale ci sarà modo di continuare. Il pubblico è in fuga, gli stadi sono semivuoti. Anche per colpa della micidiale crisi economica che la guerra ha acuito, ma che era già in atto da anni, anche se qui, oltre alle risorse del sottosuolo, c’è la terra più ricca e grassa d’Europa, la mitica Chernozem, nera come la pece, che ingolosì Napoleone e Hitler. L’Ucraina non cresce più dal 2007, la grivnia è continuamente svalutata, quest’anno il Pil farà registrare un terrificante - 7,5. Il biglietto più costoso per Dnipro-Inter, tribuna centrale con tanto di buffet per i vip, viene venduto a 180 grivnie, circa 10 euro, ma in pochissimi lo acquisteranno. E occhio ai tifosi di curva del Dnipro: nel preliminare di Champions contro il Copenaghen hanno aggredito i tifosi rivali, sostenendo che la loro era stata una reazione perché i danesi li avevano provocati, esibendo una bandiera russa. Il Dnipro è stato multato e diffidato: altre intemperanze e la prossima si giocherà a porte chiuse, cioè quasi come adesso.
A proposito degli ultrà, Euromaidan aveva unito le curve di tutti i club del paese. Avevano marciato insieme a Kiev rivendicando il nazionalismo ucraino, poi ci hanno provato anche nel Donbass, quando è esploso il conflitto, ma lì hanno trovato l’esercito filorusso ed è finita malissimo: di alcuni ultras dello Shakhtar nessuno ha saputo più nulla, dopo che li hanno visti arrestare e sparire in un palazzo occupato dai militari. Ora Euromaidan è finita, hanno tolto gli ultimi presidi alla fine di agosto, nella grande piazza dell’Indipendenza sono rimaste le gigantografie dei morti, un paio di camionette militari raccolgono offerte per quelli che stanno al fronte. A Kiev i negozi e i ristoranti sono vuoti, molti chiedono l’elemosina, ci si prepara a un inverno forse terribile: già ora in quasi metà delle case manca l’acqua calda e si sa che dall’autunno il riscaldamento sarà razionato, anche se qui da dicembre si può scendere facilmente a - 15.
Eppure nella povera e disperata Ucraina il pallone rotola ancora in qualche modo, facendosi largo a fatica tra le buche e l’inquietudine di un popolo. Rotola come i marroni che cadono ormai maturi dai castagni sui marciapiedi della Volodymyrska, l’enorme viale che lambisce le guglie d’oro delle cattedrali di Santa Sofia e San Michele. Mettono allegria sotto questo sole di fine estate, ma nessuno li degna di uno sguardo. C’è altro a cui pensare.