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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

VECCHIONI: «MI ISPIRA LINTERISMO, MENO LA POLITICA»

Professor Vecchioni è già in edicola “Scrivi Vecchioni, scrivi canzoni”, 166 brani, una collezione dedicata a quello che chiamano repertorio minore, che minore non è.
(Sorride) «Vero, sono minori solo perché meno ascoltate. L’80% delle mie canzoni sono riflessioni culturali, sociali, non sempre trasmesse in radio... Una minoranza di qualità che le conosce c’è... Ora c’è anche questa collana, canzoni per me fondamentali, legate ad affetti importanti, che ho sofferto a scrivere: Le rose blu, L’ultimo spettacolo, La stazione di Zima, Le lettere d’amore. Le amo, le adoro, sono la mia vita, 40 anni di carriera. È bello ripubblicarle».
Ed è straordinario come l’amore cantato in epoche diverse, sia sempre attuale: perché lei come pochi riesce a mettere in musica i contenuti o perché i contenuti sono più resistenti al tempo che passa?
«Tutte e due. La mia è stata una generazione pioneristica che, sulla scia della più nobile arte di De André, ha posto al centro di tutto la cultura. Se non c’è quella base, le cose si sperdono. Certe canzoni dopo un anno spariscono».
Nell’epoca dell’effimero, riesce ad avere feeling anche coi giovani. E non sembra merito della sua moderna newsletter.
«È miracoloso, ma è pur vero che insegno dal ‘69. Ho ascoltato intere generazioni, cercato di interpretare sogni, desideri, speranze. Ho visto stelle cadere e risalire. Sono un propagandista di bellezze inutili nella praticità della vita, che aiutano però a difendersi dagli orrori della vita stessa».
L’Inter è rimasta senza inno per due anni: questione di diritti con la signora Celentano appena risolta. Il suo “Inter spaziale” cantato da Bertini è del ‘71. Vecchiotto. Non ha mai pensato di colmare il vuoto?
«L’inno non è roba per me. Quello era bruttissimo. Non l’avrei dovuto fare, ero giovincello. Mi piace Pazza Inter, è l’identikit dell’interista, siamo proprio noi. Era un peccato non averlo più: ci ha trascinato come il trombettiere prima della battaglia. Un tempo a San Siro anche l’Inter aveva un trombettiere. Tutto cambia».
Tranne l’interista.
«Ecco, più che l’Inter mi ispira l’interismo, l’essere interista: insicuro, debole, masochista, incazzato più con la sua squadra che con le altre. Ma è l’unico critico e il più appassionato di tutti. Più che un inno ci vorrebbe un saggio, ma io non riesco a scrivere di Inter, mi emoziona troppo. Seppur di straforo, l’Inter però è nelle mie canzoni, anche in questa collezione, citate con amore in Gli anni e Ho sognato di vivere».
Luci a San Siro. Si sono riaccese con i 7 gol al Sassuolo?
«Non ho grandi attese. Devo capire... Non abbiamo un leader: uno è troppo giovane, l’altro è appena arrivato (Kovacic ed Hernanes). Tanti avventizzi. Ranocchia potrebbe esserlo, ma gli serve tempo».
Un tempo si rivedeva nella serenità di Toldo e nella spregiudicatezza di Recoba...
«Non abbiamo più quella fisionomia: eravamo tutto o niente ma mai mediocri. Adesso assestati su un livello medio alto, non piace a nessuno».
Compiti per casa?
(Ride) «Ripassare a memoria la lezione sulla grandissima tradizione dell’Inter che vuol dire onestà, sportività, grande passione per la rivincita e soprattutto signorilità. Non dobbiamo neppure sembrare una squadra di pallone».
Si ritrova almeno in questa nuova sinistra?
«Ultimamente non parlo di politica. Sono al balcone e guardo cosa succede. Come dice una mia canzone “Io non appartengo più alle cose del mio tempo”, alle cose sbagliate e di cui non capisco la verità. Non ci sono le persone, preferisco la cultura, i libri, cose più universali. Non ho tempo per le piccolezze di tutti i giorni, la politichetta». Musica maestro!