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 2014  settembre 17 Mercoledì calendario

BRUNO, IL MEDIATORE IN ATTESA CHE PASSINO I VETI INCROCIATI

Ogni storia personale porta con sé simboli che finiscono per incontrarsi unendosi a incastro come le tessere di un puzzle. È così anche per Donato Bruno, candidato a essere eletto componente della Corte Costituzionale.

Primo indizio: il luogo di nascita. È Noci, provincia di Bari, città che ha come stemma proprio l’albero del frutto dalla scorza dura. Profezia di prove di resistenza. E la possibile elezione alla Consulta, che potrebbe arrivare dopo giorni di estenuanti rinvii, trattative, stop a un metro del traguardo, sarebbe un’indubbia chiamata alla virtù della sapiente e paziente attesa. Ma questo non basterebbe a descriverne doti e attitudini. Donato Bruno ha attraversato gli ultimi diciott’anni della politica berlusconiana, e Dio sa quanto gli possa essere servito un guscio resistente. Specie considerando che ha avuto a che fare con i nodi più complicati. Di solida formazione giuridica (è un avvocato di grido della Capitale), non poteva che intrecciare la sua esperienza politica con le (spinose) questioni della giustizia, tanto che se ne occupò, come capo dipartimento, nella Forza Italia "prima maniera", dopo il suo esordio in Parlamento, avvenuto dopo quelle elezioni del ’96 che videro il trionfo di Romano Prodi. E il crescendo dell’epopea giustizialista. Segnata, per citarne alcune, da robette come Sme, Imi – Sir, Lodo Mondadori. Processi monstre che hanno segnato lo scontro più duro tra la trincea berlusconiana e quella dei giudici di rito ambrosiano.

E pensare che Bruno tutto sembra tranne che un uomo da trincea. Voce baritonale da fumatore (alla Sandro Ciotti, scrisse anni fa il Corriere) che suscita simpatia di primo acchito. Sorriso frequente, a cornice dei modi e dell’abilità da mediatore. E proprio questo l’ha proiettato sull’altro pianeta parallelo che, insieme alla giustizia, ha rappresentato il tormento degli ultimi anni: le riforme. Per due legislature è stato presidente della Commissione Affari costituzionali alla Camera. Ergo: le ha viste tutte, dalla devolution alle leggi elettorali. E i dibattiti estenuanti e le montagne che, per colpe di tutti e di nessuno, hanno sempre partorito dei topolini. Anzi, ancora prima, ai tempi della famosa commissione bicamerale e del temporaneo abbraccio tra Berlusconi e D’Alema, era anche lì nell’arena. Nel frattempo, non si è fatto mancare neanche la guida della Commissione d’indagine sul G8 di Genova. Altra patata bollente per nulla semplice, quella, considerando che nacque sull’onda di quanto accadde nei giorni del Summit, cioè la morte di Carlo Giuliani, l’irruzione notturna delle Forze dell’Ordine alla scuola Diaz, gli arresti di Bolzaneto e il feroce scontro politico, giornalistico, culturale che ne conseguì. Donato Bruno, dunque, alla bisogna sempre presente. Tuttavia poco presenzialista. Segno ne è un’esposizione mediatica piuttosto discreta, in anni nei quali molti (forse i più) concepiscono l’esistenza politica nel rovesciare addosso all’opinione pubblica cisterne di dichiarazioni, interviste, ospitate in Tv. Lui no, compare quando il gioco si fa duro su argomenti importanti. Giustizia, e riforme, appunto. Qb, quanto basta, come in quelle genuine ricette di una volta. In quella del suo gesto politico gli ingredienti principali sembrano dunque pazienza e resistenza (e qui torna la scorza dura della noce). E la granitica fiducia del Capo, forse frutto dell’antica conoscenza tra i due, che risale al 1978. Anche se conoscersi da tanto, dalle parti di Palazzo Grazioli, di solito non è una garanzia, essendo i rapporti politici sempre sulle montagne russe. Regola a quanto pare non valida per Donato Bruno, che già ’98, alla vigilia del Primo Congresso di Forza Italia era annoverato dagli osservatori come uno dei consiglieri del leader, per quanto riguardava, ovviamente, le riforme.

E di acqua, sotto i ponti, da quei giorni, ne è passata tanta. Allora c’era il Polo delle libertà. Poi arrivò la Casa della libertà (2001), poi nel 2008 una coalizione che non aveva nome ma molta sostanza. Ora non c’è più neanche la coalizione. Ma Donato Bruno c’è, in primissima fila.
Pietro De Leo