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 2014  settembre 12 Venerdì calendario

ROSSI, L’ESATTRICE AZZURRA: PAGATE O NIENTE SEGGIO


ROMA — «Io ho preso in mano le casse del partito in uno dei momenti più difficili. Qua c’è chi è impegnato a parlare con Renzi, chi si oppone a tutto e tutti, e alla fine i problemi sono solo i miei. Non posso fare tutto da sola e voi non potete lasciarmi da sola». Tra i big di Forza Italia che ieri l’altro ascoltano in silenzio il j’accuse di Mariarosaria Rossi, più d’uno per un attimo trattiene il fiato. Infatti i toni della neo-amministratrice del partito sono tali che qualcuno, a un certo punto, teme di ritrovarsi a un passo dal remake di quello che accadde all’assemblea dell’Onu nell’ottobre del 1960, quando il primo segretario del Partito comunista sovietico Nikita Krusciov aveva finito per levarsi una scarpa e sbatterla sul tavolo, tant’era arrabbiato.
La Rossi, che su mandato berlusconiano ha preso per i capelli un partito economicamente «con l’acqua alla gola» (il copyright è dell’ex Cavaliere), si sta muovendo in più direzioni. Ha avviato una campagna di fundraising , a base di cene di autofinanziamento. E poi taglia, dicono dal partito, «che manco Cottarelli». Fosse per lei, sostengono i suoi amici, si priverebbe senza batter ciglio anche della sede di Piazza San Lorenzo in Lucina, che un anno fa ha preso il posto del vecchio (e più costoso) quartier generale di via dell’Umiltà. Ma l’ex premier sul punto la frena, visto che, dice ai suoi, «un partito ha bisogno di una sede e quella ce l’abbiamo da troppo poco per poterla cambiare».
A fronte di un debito di decine di milioni di euro, e di fronte al rischio di dover mandare a casa (o in cassa integrazione) qualche dipendente, la Rossi s’è messa in testa di dare la caccia ai «morosi». E cioè ai tanti parlamentari italiani ed europei, nonché ai tanti consiglieri regionali, che non versano regolarmente la quota di 800 euro mensili al partito. L’ammanco, stando ad alcune stime, sarebbe di due milioni e duecentomila euro, rapida somma tra quote versate a singhiozzo, debiti pregressi e in qualche caso — si parla del 15 per cento dei parlamentari, ma tra i consiglieri regionali la cifra va rivista al rialzo — di «eletti» che non hanno mai versato un centesimo.
È vero, è arrabbiata, la Rossi. E chiede di non essere lasciata sola nell’ingrato compito di esigere il dovuto. Ma ha già in mente due contromosse. Un uno-due che sarà messo nero su bianco nei prossimi giorni, con due circolari che saranno recapitate nella posta elettronica dei morosi. Per la prima si pensa a un testo soft, tipo «Caro collega, ti ricordiamo che...». La seconda, che sarà indirizzata a coloro che nel frattempo non avranno «regolarizzato la propria posizione», dovrebbe contenere un messaggio molto più duro. Come a dire, «Cara/o amica/o, sappi che per accedere alle prossime candidature alle Regionali e alle Politiche sarà necessario mettersi in regola col pagamento delle quote». E non è una mossa da poco conto, se si pensa che da qui a pochi mesi — a cominciare da novembre con le elezioni in Emilia Romagna e Calabria — ci sarà una maxi-tornata di regionali.
Chi è che non paga, o paga saltuariamente, o non paga più? Chi sono i morosi? Sulla compilazione definitiva della lista, gli sherpa al servizio della Rossi ci stanno lavorando. Ma c’è un dettaglio politico che non può essere sfuggito. Tra dissidenti rispetto alla linea dell’«accordone perenne» con Renzi e malpancisti che chiedono le primarie, c’è una percentuale — forse superiore al 50 per cento — di parlamentari nazionali che sono certi della non ricandidatura. Uno di loro, dietro la garanzia dell’anonimato, ammette: «Tra Camera e Senato siamo in 121. E veniamo da un’elezione in cui, nonostante il premio di maggioranza perso per pochissimo, a Forza Italia è andata decisamente bene. Di questi faccia conto che 70/75 non condividono la linea politica, sono convinti che in futuro ci saranno meno seggiole in Parlamento e sono certi che, quelle seggiole, non saranno le loro. Secondo lei, pagheranno gli arretrati?». La controprova numerica offerta ieri dal voto sulla Consulta — quando il forzista eterodosso Donato Bruno ha preso 120 voti mentre Violante (candidato Pd ufficialmente sostenuto anche da Forza Italia) ha avuto soli 39 voti in più di quanti non ne avesse avuti prima dell’accordo con Pd-Berlusconi — sembra avvalorare la tesi del deputato ignoto. Centoventuno forzisti meno i 39 che hanno mantenuto la promessa di votare Violante fa 82. Considerando la dispersione, gi assenti e qualche franco tiratore del Pd, si torna a quella cifra di possibile dissenso. Tra i settanta e i settantacinque, insomma.