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 2014  settembre 12 Venerdì calendario

COSI’ SI STA POLVERIZZANDO LA FAMIGLIA CINESE

Per millenni la famiglia cinese è stata nu­merosa, multi generazionale, unita. I nonni vivevano a stretto contatto con i ni­poti, i vincoli familiari, così come le tradizioni, erano fortissimi. Oggi quel tipo di famiglia è stata letteralmente polverizzata. Un vero cataclisma sociale, tanto più grave perché intacca quello che il grande sinologo francese Marcel Granet aveva identificato come l’ingrediente base dell’intera ci­viltà: la pietà filiale. Quel retaggio simbolico ri­schia l’estinzione. Semplicemente perché le fa­miglie non ci sono più. O perché si sono rimpic­ciolite. Tanto che sono sempre più numerose le voci – come quella del professore Zhi Xiefei – che percepiscono la destrutturazione della famiglia come una vera emergenza sociale che rischia di azzoppare la stessa crescita economica.
Ad alzare il velo sul terremoto che sta investendo il Dragone è stato il Rapporto sullo sviluppo del­le famiglie cinesi 2014, pubblicato dalla Com­missione nazionale per la sanità e la pianificazio­ne. Siamo dinnanzi a quella che il sito Cinaforum ha definito «la prima analisi ufficiale sulla strut­tura demografica e familiare della popolazione ci­nese resa pubblica dalle autorità». I numeri sono impressionanti. Nel 1950 ogni famiglia era com­posta da 5,3 persone. Nel 1990 si era passati a 3,96, a 3,2 nel 2012. Oggi si stima che 160 milioni di fa­miglie – circa il 40% del totale – siano composte da non più di due persone. Nel 2000 la percentuale era solo del 25%. In un decennio, il numero di famiglie unipersonali è raddoppiato, quello dei nuclei composti da due persone è schizzato del 68 per cento. Nelle aree urbane il 45,4 per cento dei residenti vive solo. Di pari passo procede l’al­tro fenomeno macroscopico: l’invecchiamento della popolazione. In Cina oggi si contano 88 mi­lioni di famiglie composte da persone con più di 65 anni, un quinto del totale.
Quali sono le cause che hanno prodotto questo sbriciolamento della famiglia cinese? Secondo la rivista Foreign Policy, la trasformazione è sfuggi­ta di mano agli stessi “ingegneri sociali” cinesi, andando oltre i risultati che il Partito si era prefis­sato con la “legge del figlio unico”. Oggi molti gio­vani scelgono di ritardare il momento del matri­monio, o addirittura di non avere figli «per perse­guire obiettivi personali, di carriera» o per “fron­teggiare” le difficoltà economiche.
Un altro fattore determinante è costituito dalle migrazioni interne, un fenomeno massiccio che sta scolpendo il volto del­la società cinese. Si cal­cola che siano circa 300 milioni i lavoratori mi­granti rurali che vivono lontano dalla loro città di origine, catapultati in u­na realtà urbana difficile, spesso ostile.
Con una duplice ricadu­te. Le campagna si spo­polano (e gli anziani si ri­trovano soli). Mentre in città si fa sempre più lar­go un altro caso: la micro criminalità che finisce per catturare proprio i figli dei migranti. La rivista cinese Beijing Review ha reso noto i risultati del Libro bianco sulla criminalità minorile a Pechi­no. Il documento ha rivelato che su un totale di 1.097 casi di violenza, il 65,3 era stato commesso da ragazzi non originari di Pechino, il 77,4 per cen­to da minori dimenticati dal sistema scolastico. Lapidario il commento del professore Zhi Xiefei della University of Information Science and Technology di Pechino: «Così è a rischio la crescita».