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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

IL BANCHIERE CHE DISSE NO A CUCCIA

Con Emilio Botin scompare uno degli ultimi grandi banchieri d’Europa. Non un top manager, ma un vero «padre-padrone», un’azionista-imprenditore-manager che ha portato una banca spagnola a diventare tra i global player del banking mondiale. Forse solo il numero uno di Bnp Paribas Michel Pébereau, pur con tratti diversi, può essere paragonato a Botin per la capacità di costruire negli anni uno dei più grandi gruppi europei e mondiali del credito. Ma che personaggio è stato Botin, erede di una dinastia del credito, banchiere rispettato e temuto? E come nasce la passione per l’Italia dello scomparso «el presidente?»
La vera grande ascesa di Emilio Botin nel ranking bancario europeo, e poi internazionale, ha inizio nel gennaio del 1999 quando il «suo» Banco Santander annuncia la prima grande fusione bancaria in Spagna con i madrileni del Central Hispano. Per realizzare l’operazione, Botin acconsente a una governance basata sull’idea di un merger of equals. A partire dal nome del nuovo istituto: Bsch, che tiene insieme le due anime del nuovo gruppo. In pochi anni, però, Botin trasforma la fusione in un’acquisizione. Assume il controllo totale dei vertici del gruppo e il marchio diventa Santander. Ed è proprio nel periodo della fusione tra Central Hispano e Santander che nascono i rapporti di Botin con l’Italia. Pochi mesi prima, nel corso del 1998, il Santander aveva stabilito un incorocio azionario con il Sanpaolo-Imi guidato all’epoca da Luigi Arcuti. Il Santander era salito al 5,5% della banca italiana che, a sua volta, aveva acquistato l’1% del gruppo spagnolo (con l’idea di una rappresentanza reciproca nel board, mai rispettata dagli spagnoli che mai concessero un consigliere agli italiani). Ma un nuovo legame finanziario in Italia si profilava grazie alla dote ereditata dal Central Hispano, legato da una partecipazione incrociata con le Generali, all’epoca ancora sotto il rigido controllo della Mediobanca di Enrico Cuccia. Due «mondi finanziari» diversi, il Botin cattolico vicino all’Opus Dei (che scelse come rappresentante in Italia il banchiere Ettore Gotti Tedeschi) e il laico Cuccia, venivano così a contatto. E, per poco, non andarono subito allo scontro. A marzo del 1999 scattò la «grande guerra» bancaria italiana con la doppia Opa di UniCredit sulla Comit e del Sanpaolo-Imi sulla Banca di Roma. E il Santander, malgrado i tentativi di Piazzetta Cuccia di indurre Botin ad ostacolare l’operazione, dette invece pieno appoggio all’iniziativa di Arcuti. La doppia Opa poi fallì per l’opposizione dell’allora Governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio. Ma nel sistema finanziario italiano rimase grande diffidenza verso le velleità espansionistiche del Santander di Botin. Se dopo la scomparsa di Cuccia e Vincenzo Maranghi, il nuovo corso di Mediobanca costruì negli anni un rapporto di collaborazione con gli spagnoli, che poi portò all’ingresso nel board delle Generali della figlia Ana Paola Botin, timori e diffidenze continuarono a caratterizzare la presenza del Santander nel Sanpaolo-Imi. Soprattutto quando la quota in mano a Botin salì al 10%. Proprio la paura che gli spagnoli lanciassero un’Opa, indurrà nel 2006 il Sanpaolo a scegliere la fusione difensiva con la Banca Intesa di Giovanni Bazoli. E sempre «grazie» ai timori di un’Opa spagnola, la Banca Lombarda si aggregò con la bergamasca Bpu dando vita a Ubi Banca.
A quel punto per Botin la strada dell’ingresso in Italia, per cui ha sempre avuto una passione come dimostra il maxi-accordo di collaborazione con la Ferrari, ormai sembrava sbarrata definitivamente. A sorpresa, invece, nel 2008 il Santander si ritrovò a essere il proprietario del 100% della Banca AntonVeneta. Ottenuta nell’ambito della spartizione di Abn Amro, dopo la maxi-Opa che Santander aveva lanciato insieme a Royal Bank of Scotland e i belgi-olandesi di Fortis, l’AntonVeneta per pochi mesi sembrava l’avamposto su cui Botin avrebbe costruito il grande polo italiano del Santander. Ma il grande banchiere spagnolo vedeva avanzare la crisi finanziaria e, a sorpresa, decise di vendere AntonVeneta al Monte Paschi che la strapagò. Grazie a quella mossa, che riduceva i costi dell’acquisizione di Abn Amro, il Santander evitò di fare la fine dei compagni di scalata (sia Rbs che Fortis furono salvati d’urgenza dagli Stati). E lasciò a Mps una banca strapagata, che ha poi portato il Monte a chiedere anch’esso gli aiuti di Stato. Ora c’è chi sostiene che Mps (con dentro AntonVeneta) poteva essere il nuovo target di Santander. Scomparso Don Emilio, da ieri il dossier finirà in mano alla figlia Ana Patricia.
Alessandro Graziani, Il Sole 24 Ore 11/9/2014