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 2014  settembre 11 Giovedì calendario

MA AL MONDO ARABO MANCA UN MODELLO DI SVILUPPO

Non era questo che si aspettava di dire all’Islam, cinque anni dopo il grande discorso di riappacificazione all’Università al Azhar del Cairo. Forse un giorno lontano la Storia spiegherà che furono le parole del giugno 2009 ad avviare un lento e sanguinoso processo di democratizzazione del mondo arabo. Ma quello che ieri ha detto Barack Obama non è stato altro che un appello a una nuova mobilitazione, soprattutto militare.
Cosa è accaduto in quasi un mandato presidenziale e mezzo perché il Medio Oriente sia più caotico e minaccioso di prima? Il nostro senso di colpa ci costringe a pensare che gli Stati Uniti abbiano sbagliato perché privi di strategia coerente, e ci spinge ad andare più lontano nel tempo: alla destabilizzazione provocata dall’invasione americana dell’Iraq di Saddam Hussein. E ancora più indietro al colonialismo e agli accordi Sykes-Picot, un alto funzionario inglese e uno francese, che nel 1916 spartirono i resti dell’impero ottomano, creando sfere d’influenza dalle quali sarebbero nate realtà mai esistite prima: Libano, Giordania, Iraq, Palestina, Israele, regni ed emirati
nel Golfo.
È vero. Ed è vero che solo nel 1971 gli ultimi Paesi del Golfo si sono liberati del colonialismo. Ma il tempo e le condizioni per creare stabilità, sistemi politici, sociali ed economici, ci sono stati. Quello che è mancato fra i due discorsi di Obama non è tanto l’America quanto il mondo arabo-iraniano. Non c’è nella regione un solo modello statuale moderno, efficiente, capace di essere un esempio come negli anni ’50 il Giappone fu per l’Estremo Oriente.
Il fallimento è ancora più devastante rilevando che il problema non è una crescita mai avvenuta ma il dissesto di uno sviluppo che appariva più promettente che altrove. Nel 1965 il Pil procapite egiziano era di 406 dollari, il cinese di 110; oggi il primo è di 1.566, il secondo di 3.583. Quelli di Iran e Corea del Sud erano uguali e oggi sono 24mila dollari a 3mila. La regione importa il 4% del mercato globale, meno che nel 1983. La base della ricchezza europea sono le esportazioni all’interno nella regione: due terzi del totale del nostro export. Gli scambi all’interno del Medio Oriente non superano il 16 per cento.
Gli indici di sviluppo umano delle Nazioni Unite non sono meno deprimenti: la regione ha il più basso tasso di scolarizzazione femminile e di libri pubblicati, per citare due esempi. In un anno la Spagna pubblica più titoli dell’intero Medio Oriente vessato dalle censure dei nuovi regimi come ai tempi dei vecchi. Anziché promuovere lo spirito d’impresa, i governi della regione controllano l’economia, cercando consensi immediati e non investimenti sul futuro. Nel 2007 lo Stato egiziano dava lavoro a 6 milioni di cittadini: con polizia e forze armate erano più di 8. Anche il ricco Qatar che punta sul futuro ha aumentato del 60% i salari del pubblico impiego: del 120 quelli dei militari. E in Arabia Saudita recentemente re Abdullah ha investito 130 miliardi in stipendi, infrastrutture e nuovi lavori nel settore pubblico.
Quello che manca alla regione è l’inclusività economica, sociale e politica: mancava prima e in maniera ancora più drammatica dopo le rivoluzioni.
Ugo Tramballi, Il Sole 24 Ore 11/9/2014